N. 44 estate 2013

IN COPERTINA:

Guido Martinotti, olio su carta, matite e carboncino

RICORDO DI GUIDO

Eravamo insieme la sera del 12 dicembre 1969, alla manifestazione seguita alla strage di Piazza Fontana, subito convinti che la strage era di stato.

Eravamo insieme anche la sera del 13 maggio 1974 alla manifestazione per festeggiare l’esito negativo del referendum per abrogare la legge sul divorzio, convinti che fosse l’inizio della fine del regime DC. (Nel primo caso avevano ragione, nel secondo no).

Siamo stati insieme, con Eva e con tanti amici comuni, negli anni Settanta, durante tante sere passate tra via del Caravaggio e via San Barnaba (dove io allora vivevo con Claudia) e poi via via negli anni successivi, seguendo e commentando gli episodi che hanno caratterizzato la storia politica del paese o discutendo sui grandi eventi della politica internazionale, oppure di grandi e piccoli temi di sociologia e di politica urbana.

Infine, abbiamo avuto in comune la ricerca sulle bancarelle d’Italia dei saggi Einaudi con il dorso rosso pubblicati fino al 1943 con il numero progressivo in caratteri romani sul dorso (ora introvabili), scambiandoci i volumi doppi; e anche una stupenda Moto Guzzi.

A Guido questo numero è dedicato. Le segnalazioni sui libri da leggere sono questa volta a cura anche di alcuni suoi amici.

IN QUESTO NUMERO

Alla vicenda dei bambini cecoslovacchi salvati, nell’agosto del 1939, dai Winston Transports (di cui ho parlato nei testi infedeli dell’inverno 2009) segue, in questo numero, un’altra storia simile: il trasferimento di centinaia di bambini dalla Spagna al Messico alla conclusione della guerra civile, rimasti noti come los ninos de Morelia.

C’è ancora un testo dedicato allo sport: la storia di Alfonsina Strada. C’è anche un ritratto di uno dei personaggi più interessanti ed eretici nella prima generazione dei dirigenti sovietici: Anatolyi Lunaciarsky. Ne è autore Curzio Malaparte. C’è poi una canzone di John Lennon dedicata a Riccardo. Infine, c’è un pensiero su verità e infedeltà di Susan Sontag.

Per il consueto appuntamento con la poesia, ci sono opere di due poco noti autori spagnoli, Eloy Sànchez Rosillo e Miguel d’Ors; poi alcune poesie di Maria Liscio de Lauretis.

Le segnalazioni dei libri da leggere o da rileggere sono questa volta di Augusto Bianchi, Eva Cantarella, Sabino Cassese, Luciana Castellina, Gherardo Colombo, Joseph DiMento, Stefano Draghi, Giulia Gavagnin, Marina Nespor, Pasquale Pasquino, Michele Salvati, Roberto Satolli, Armando Spataro, Serena Vicari, Francesca Zajczyk. Un grazie a tutti.

IL PROTETTORE DELLE ARTI

Lunaciarsky era un uomo fra i cinquanta e i sessant’anni, tutto coperto da un folto pelo nero che già cominciava qua e là a sbianchirsi e a diradarsi; macchie paonazze gli apparivano tra il pelame sul dorso delle mani; il vello caprino della fronte, fitto e ritorto come lana, si apriva in chiazze. Aveva il viso pallido, più pallido intorno ai rossi zigomi da tisico. Il colletto floscio e largo gli scopriva la gola bianca, dalla pelle vizza sparsa di grossi peli grigi.

Parlava afferrandosi con ambo le mani ai braccioli  della poltrona e ogni tanto si gettava all’indietro  sulla spalliera con una mossa improvvisa che faceva  rimbalzare, sotto il panciotto, il ventre adiposo.  Gli alti funzionari sovietici hanno una passione  morbosa per i panciotti, più forte di quella per le  borse di cuoio (nel giornale umoristico Krokodil la  burocrazia sovietica ha per emblema sia il panciotto  che la borsa di cuoio). Dai taschini del panciotto  (un gilet Louis-Philippe di velluto color verde bottiglia con grandi bottoni di madreperla che avrebbe fatto invidia a Theophile Gautier) spuntavano cinque o sei matite di diverso colore, due penne stilografiche, un pettine, un taccuino e un pacchetto di Erezegovina Flor, le sigarette preferite dai grandi dirigenti sovietici. Lunaciarsky era il solo tra i capi sovietici che non giudicasse borghesi o controrivoluzionari gli scrittori e gli artisti e non temesse la libertà dell’arte come un grave pericolo per lo Stato. Pur temendo di compromettersi e di esporsi alle critiche dei giacobini comunisti, non rifiutava mai agli artisti sovietici la sua protezione di Commissario del popolo per l’Istruzione pubblica e le Belle arti. I maligni insinuavano che egli proteggesse solo gli artisti graditi a sua moglie, attrice del Teatro di Meyerhold e una delle donne più eleganti di Mosca. Ma Lunaciarsky non si preoccupava delle malignità che correvano sul suo conto: aveva troppa paura delle pugnalate alla schiena per curarsi delle punture di spillo. Aveva un senso molto acuto di ciò che distingue un’aristocrazia di parvenus qual è la nobiltà marxista di Mosca dove nulla è in gioco fuorché la testa da un’autentica nobiltà di sangue dove, fuorché la testa, tutto è in gioco: il Capo del protocollo del Commissariato del popolo per gli Affari esteri, il biondo e roseo Florinski, il più celebre omosessuale di Mosca, soleva dire che in un’autentica nobiltà “il y a parfois des morts, mais jamais des cadavres”.

Nei pressi di Mentone, poco oltre il confine italiano, c’è una lapide che ricorda il luogo dove è morto Lunaciarsky mentre era diretto in Spagna dove avrebbe dovuto assumere la carica di ambasciatore dell’Unione sovietica, assegnatagli da Stalin per tenere lontano un personaggio divenuto sgradito in patria.

Anatoly Lunacharsky, nato in Ucraina, ha studiato filosofia e scienze naturali a Zurigo. Tra il 1909 e il 1913 ha diretto, insieme a Gorky e a Bogdanov, prima a Capri poi a Bologna, una scuola per lavoratori russi. Nel 1917, allo scoppio della rivoluzione, torna in Russia, aderisce, tra dubbi e incertezze (espresse nelle sue lettere alla moglie), al partito bolscevico ed è nominato Commissario per l’educazione e le arti del nuovo governo sovietico. Si batte, spesso con successo, per salvare il patrimonio artistico contro coloro che vogliono eliminare le vestigia del passato zarista. Nella battaglia culturale che si svolge nella Mosca degli anni Venti Lunaciarsky cerca di salvaguardare il pluralismo e protegge molti scrittori, artisti e scienziati non allineati con il regime. Diviene noto come “il protettore delle arti”. È in contatto con vari personaggi della cultura europea tra cui Bernard Shaw, Herbert G. Wells, Romain. Rolland, Stefan Zweig. Anche per questi suoi rapporti nel 1929 Stalin lo allontanò dalla carica inviandolo come rappresentante dell’Unione sovietica alla Lega delle Nazioni. Nel 1933 fu nominato ambasciatore in Spagna ma morì prima di assumere la carica. Nel 1936 il suo nome fu cancellato dalla storia ufficiale del partito comunista e le sue foto furono eliminate. Oltre a numerosi saggi letterari, ha scritto una raccolta di brevi scritti e aneddoti sulla rivoluzione e sui suoi protagonisti.

Il brano che ho riportato è tratto da Il ballo al Cremlino. Materiali per un romanzo di Curzio Malaparte (Adelphi 2012). Kurt Suckert, noto come Curzio Malaparte, di padre tedesco e madre italiana, nasce a Prato nel 1898. All’età di sedici anni si arruola nella legione garibaldina per combattere in Francia, poi, entrata l’Italia in guerra contro l’Austria, passa nell’esercito italiano. Aderisce al fascismo e partecipa alla Marcia su Roma. Dal 1929 al 1931 è direttore de La Stampa: viene allontanato per le critiche al regime. Nel 1931, a seguito della pubblicazione in Francia di Tecnica del colpo di stato ove attacca Mussolini, è condannato a cinque anni di confino sull’isola di Lipari. Liberato, diviene, insieme a Dino Buzzati, corrispondente di guerra del «Corriere della Sera». È inviato in Francia, Russia e Finlandia e sulle sue esperienze scrive Kaputt (1944) e La Pelle (1949). Del 1949 è anche il suo saggio su Coppi e Bartali. Nel 1957 parte per la Russia ma rientra pochi mesi dopo e muore a Roma.

DUE POESIE DI ELOY SÁNCHEZ ROSILLO

Le cicale

È incredibile la tenacità

che in queste terre vinte dall’estate

mostrano le cicale.

Mai un dubbio, sicure

che il loro canto sia il migliore del mondo,

con una convinzione che vorrebbero avere tutti quelli

che hanno una certezza. Sono creature

dalla laboriosità ineludibile

(anche se non so perché si suol dire il contrario)

e fanno il loro dovere ogni giorno

senza nessun malumore, con gioia,

senza la pensierosa serietà

della quale le formiche, ad esempio,

in obbedienti fila vanno fiere.

Appaiono indispensabili al sole

per poter forgiare imperi egemonici.

E quando cessa il loro crepitare

viene meno di colpo anche l’estate.

La spiaggia

Nessuno potrà togliermi l’illusione

che è esistita questa mattina.

Si è fermato il tempo: sento il tuo ridere,

le tue parole di bambino. Mai sono stato

così in pace con tutto, così certo

della mia gioia. Sei lì che giochi vicino all’acqua,

ti aiuto a raccoglier conchiglie, a costruire castelli

con la sabbia. Corri da un posto all’altro,

sguazzi, gridi, cadi, corri di nuovo,

quindi ti fermi accanto a me e mi abbracci

e io bacio i tuoi occhi, le tue guance, i tuoi capelli,

la tua infanzia gioiosa. Il mare è

molto azzurro e molto calmo. Lontano,

alcune vele bianche. Il sole lascia

il suo oro violento sulla nostra pelle.

Credo che sia tutto vero,

l’immobile fluire della quieta mattina,

il luogo dolcissimo in cui ci troviamo come creature

contente di esser vive, felici di stare insieme

e di abitare la luce.

Ma sento, d’un tratto,

il rumore terribile e oscuro e velocissimo

del tempo quando passa e la fermezza

del mio sogno si rompe; va in frantumi

– come un cristallo molto fragile – l’illusione

di essere qui, con te, vicino all’acqua.

Il cielo si fa scuro, il mare si agita.

Sento nel mio sangue la vertigine tremenda

dell’età: in un istante trascorrono molti anni.

E ti vedo crescere e andartene.

Non sei più

il bimbo che giocava col padre sulla spiaggia.

Adesso sei un uomo, e anche tu capisci

che mai ci fu, né c’è, né ci sarà questo giorno,

la bella favola dei miei occhi che ti guardano,

la leggenda impossibile della tua infanzia.

Eloy Sánchez Rosillo (Murcia 1948) insegna letteratura spagnola. È autore di molti volumi di poesie, tra cui Autorretratos (1989) da cui sono tratte le due poesie qui pubblicate. Ha tradotto le poesie di Giacomo Leopardi.

ALFONSINA STRADA

Alfonsina Morini nasce in una famiglia di contadini nella campagna emiliana. Il padre le regala una bicicletta e lei si appassiona al ciclismo e partecipa alle prime competizioni locali. La famiglia se ne vergogna, i compaesani la deridono. Così a sedici anni si trasferisce a Milano, unico luogo allora dove si organizzano corse ciclistiche alle quali sono ammesse le donne. Nel 1915 sposa il cesellatore Luigi Strada: come regalo di nozze riceve una bicicletta da corsa nuova. Partecipa nel 1917 al Giro di Lombardia. Arriva al traguardo ultima, un’ora e mezza dopo il vincitore. L’anno dopo ci riprova e arriva penultima. Ma non si dà per vinta. Nel 1924 è ammessa in via straordinaria, unica donna, a partecipare al Giro d’Italia. Sono dodici tappe per un totale di 3618 chilometri. Vince Giuseppe Enrici. Dei 90 corridori partiti solo 30 arrivano a Milano. Alfonsina è tra loro anche se nella quinta tappa L’Aquila-Perugia arriva fuori tempo massimo. Ma il direttore della Gazzetta, Emilio Colombo le consente di proseguire la corsa, non più in gara. Ormai è famosa: partecipa a numerose altre competizioni finché nel 1938, a Longchamp, conquista il record femminile dell’ora (35,28 km). Gira per i velodromi del mondo, si esibisce nei circhi, partecipa a gare di veterani. Ritiratasi dalle competizioni, apre una scuola di ciclismo in Via Varesina a Milano (dove vive con il secondo marito) e poi un negozio di biciclette con una piccola officina per le riparazioni. Muore il 13 settembre del 1959 all’età di 68 anni, a causa di un incidente con la sua moto Guzzi 500 cmc.

Su Alfonsina Strada: Paolo Facchinetti, Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada (Ediciclo editore); il gruppo Têtes de Bois ha dedicato a Alfonsina una canzone inserita nell’album Goodbike.

QUATTRO POESIE DI MIGUEL D’ORS

Mistero

Chi sono?

– L’intervallo di mistero

tra la rosa luminosa che taglio per te

e la rosa spenta che la mia mano ti tende.

Strana la vita

Strana la vita: io che potevo nascere nel 1529,

o a Pittsburg o arciduca, io che potevo

essere Chesterton o un bonzo, nasco

invece in Galizia e sono d’Ors e tutto il resto.

Strana la vita

che tra la moltitudine dei secoli,

esistendo l’illimitata Cina,

e la Bosnia e le crociate, e gli Incas,

dovesse capitare proprio a me

questo lavoro amaro di essere io.

Progetti per il passato

Un’altra volta intrecciando e disfando

memoria, sogno, oblio.

Un’altra volta raccontando

quel che sempre smetteva di succederti.

Cercando

quel che è più vero della verità.

Un’altra volta mentendo

con la maggior sincerità del mondo.

Un’altra volta facendo

progetti per il passato.

Mezza vita

Nella cena mi avanza

mezza pizza.

Che sensazione strana.

Dietro al vetro, la notte, il mare, agosto.

Che tristezza

mi avanza mezza notte,

mi avanza mezza luna,

mezzo mare: la parte

che spettava a te di quel nostro noi.

E mi avanza e mi manca mezzo io

perché mi manchi tu, mia mezza vita.

Miguel d’Ors (Santiago de Compostela 1946) ha insegnato letteratura spagnola all’Università di Granada. Ha scritto numerose raccolte di poesie. Strana la vita è tratta da Es cielo y es azul (1984); Mistero da Curso superior de ignorancia (1987); Le due ultime poesie da da Sol de noviembre (2005).

I BAMBINI DI MORELIA

Nel volume dell’inverno 2009 ho raccontato la storia dei 669 bambini cecoslovacchi, tra i 6 e i 12 anni, posti in salvo in Gran Bretagna con i “Winton Transports”: sette trasferimenti in treno organizzati da due inglesi tra il 14 marzo 1939 e l’agosto del 1939 (l’ottavo, programmato per i primi di settembre, fu bloccato dall’invasione nazista). Ho recentemente scoperto che, due anni prima, si è verificata una vicenda analoga: mentre infuriava la guerra civile 456 bambini, per lo più orfani di combattenti della Repubblica, provenienti da zone già occupate dalle truppe franchiste furono imbarcati a Barcellona accompagnati da un gruppo di insegnanti spagnoli; giunsero il 7 giugno del 1937 nel porto di Vera Cruz, in Messico, accolti dal Presidente Lazaro Càrdenas del Rìo. Il Messico fu l’unico paese democratico ad opporsi alla linea di non interventismo sostenuto da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia e ad aiutare attivamente il Governo repubblicano. I bambini furono collocati nella città di Morelia, in un collegio appositamente organizzato per ospitarli. Da allora furono noti come i ninos de Morelia. Qui rimasero per vari anni, in condizioni che molti hanno considerato di privilegio, altri invece disagiate e di semi-prigionia. In effetti le loro condizioni peggiorarono dopo la sconfitta dei repubblicani (anche se non bisogna dimenticare che il Messico ha sempre riconosciuto il governo repubblicano come unico governo legittimo fino al ritorno della democrazia in Spagna nel 1977) e la sostituzione di Càrdenas nel 1940 alla Presidenza della Repubblica. Ma a quell’epoca diecine di migliaia di bambini messicani vivevano in condizioni ben peggiori e senza ricevere – a differenza dei bambini di Morelia – alcuna istruzione. Né va dimenticato che in condizioni spesso peggiori furono costretti i vivere i figli degli emigrati spagnoli in Francia, rinchiusi per lunghi periodi con i genitori in campi di concentramento in condizioni durissime. Pochi sono ancora vivi dei bambini di Morelia, ma molti oggi sono i figli e i nipoti che vivono in Messico e sono grati al paese che ha offerto ospitalità ai loro genitori o ai loro nonni. Oltre ai bambini di Morelia, il Messico accolse oltre 30.000 profughi della guerra civili, tra cui molti docenti universitari, medici e scienziati raccolti nella Casa de Espana, divenuta nel 1940 il Colegio de México.

Sui Ninos de Morelia: Dolores Pla Brugat, Los niños de Morelia: un estudio sobre los primeros refugiados españoles en México, Consejo Nacional para la Cultura y las Artes,Instituto Nacional de Antropología e Historia, 1999. Vedi anche http:// gatopardo.blogia.com/2007/010701-los-ninos-demorelia. php. Sui sostenitori della repubblica in esilio: Manuel Rivas e altri, Exilio. La historia olvidada, El Paìs 2012.

Su Lázaro Cárdenas del Río, tuttora uno dei presidenti più amati dai messicani, e sulle sue riforme vedi www.pbs.org/itvs/storm-that-swept-mexico/ the- revolution/ faces-revolution/lazaro-cardenas/

TRE POESIE DI MARIA LISCIO DE LAURETIS

Farfalla Notturna

Sei venuta come un pensiero

farfalla notturna

come un’ospite in visita inattesa

che reca saluti

da qualcuno lontano

la cui assenza è vuoto

Sei venuta

come un pensiero amaro

portando su di te

credenze infauste antiche

ma io ti ho accolta come un’amica.

Dolmen

Fu per dire:

“Anche noi siamo stati”

che popoli lontani nel tempo

presero con fatica grandi massi

e ne fecero

primordiali segni di ricordo

E già dentro caverne

avevano dipinto artisti ignoti

scene di caccia: “fummo così!”

lo dissero a noi lontani

di là da venire

perché ci ricordassimo

che anch’essi erano stati

e si aspettavano almeno

un nostro stupefatto pensiero.

Non del suo

La meraviglia di un fiore

di campo che stavi per mettere

sotto la scarpa

ti ha preso lo sguardo

e ti ha immobilizzata

sull’azzurro della sua luce

Se ti ha parlato

ti ha detto del tuo nulla

non del suo.

MARIA LISCIO DE LAURETIS è di Ortanova (Foggia); dal 1935 vive a Perugia, dove ha insegnato materie letterarie in un istituto superiore. Ha pubblicato undici libri di poesia tra il 1973 e il 2009, fra i quali Cono d’ombra (1999), dal quale sono tratte le prime due poesie e L’ora tarda, (2008), ove è inserita la terza. Nel 2009 ha pubblicato il romanzo Infanzia: toccata e fuga.

UNA RIFLESSIONE DI SUSAN SONTAG

Ci sono alcuni momenti nei quali, più che bisogno di verità, c’è bisogno di approfondire il senso della realtà e di ampliare l’immaginazione. Non c’è dubbio che la corretta visione del mondo sia quella che ricerca la verità. Eppure, non sempre è quello di cui, in determinati periodi, si va alla ricerca. Il bisogno di verità non è sempre uguale e costante: non è più costante di quanto non lo sia il bisogno di riposo. Così un’idea che non è fedele alla verità può avere un effetto intellettuale assai maggiore della verità e può meglio soddisfare i variabili bisogni dello spirito. La verità è equilibrio; ma l’opposto della verità, lo squilibrio, non sempre è una bugia. Da Susan Sontag, Saggi scelti di Simone Weil, in New York Review of Books, aprile 1963.

BEAUTIFUL BOY: UNA CANZONE DI JOHN LENNON

Chiudi gli occhi

non aver paura

i mostri sono scomparsi

stanno fuggendo, ma il tuo papà è qui

stupendo, stupendo, stupendo

stupendo bambino

prima di andare a dormire

fai un piccolo pensiero:

ogni giorno, ogni giorno

c’è la possibilità di fare meglio

Andrò lontano per il mare,

non potrò aspettare

di vederti diventare grande:

c’è molta strada da fare

e difficili scogli da superare

si, c’è molta strada da fare

ma nello stesso tempo

adesso che cominci il tuo cammino

prendi la mia mano

non dimenticare mai

di sentire la vita che scorre per te

mentre stai facendo progetti

stupendo, stupendo, stupendo

stupendo bambino.

Questa canzone è dedicata a Riccardo.

LIBRI DA LEGGERE

Giuliano Amato – Andrea Graziosi, Grandi Illusioni. Ragionando sull’Italia, Il Mulino, 2013, pp. 283.

Questo libro sarebbe piaciuto al Guido studioso e forse avrebbe fatto arrabbiare il Guido partigiano. Sarebbe piaciuto al primo perché è un saggio con tesi forti e ben documentate –inconsueto il robusto apparato statistico. Perché in meno di 300 pagine offre una interpretazione dello sviluppo politico ed economico del nostro Paese dal dopoguerra ad oggi molto convincente: tra i libri (relativamente) brevi e leggibili anche da non specialisti è quello che consiglierei a chi voglia capire la gravità della crisi odierna e perché ci siamo arrivati. Forse avrebbe fatto arrabbiare il Guido partigiano perché non c’è un colpevole che sovrasti gli altri: a partire dagli anni 70 del secolo scorso i politici di destra o sinistra non hanno fatto capire ai cittadini che l’età dell’oro era finita, e ciò perché i cittadini avrebbero penalizzato elettoralmente chi avesse cercato di farglielo capire. Oggi Mario Monti, ieri Ugo La Malfa o Nino Andreatta: un paese si merita i suoi Cirino Pomicino, i suoi Fausto Bertinotti, i suoi Berlusconi e li assimilo solo per i disastri delle politiche da loro sostenute. Ma credo che Guido non avrebbe gradito il modo in cui i due autori liquidano il ’68 o la cultura dei diritti, quando la mancanza di risorse per sostenerli può condurre a catastrofi ben peggiori –per i ceti più poveri- che la condizione di asfissia in cui viviamo. E non avrebbe gradito il ruolo ritagliato a Berlusconi, solo un primus inter pares nella lunga lista di colpevoli che ci hanno condotto dove siamo ora. Ma la colpa, e più in generale valutazioni morali, non fanno parte delle categorie di uno storico, e questo è un libro di storia. Naturalmente tiene conto delle valutazioni morali, delle passioni, dei convincimenti, degli interessi che muovono i soggetti individuali o collettivi che popolano la scena, ma più per mostrare le conseguenze cui hanno condotto che per misurare la loro congruenza ad un ideale etico. Ed è per questo che consiglierei Grandi Illusioni soprattutto a coloro che considerano e vivono la politica come una branca di etica applicata, senza tener conto degli effetti –spesso imprevisti o perversi- di azioni motivate eticamente. Quando lo sono.

Michele Salvati

Richard Sennett, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, 2012.

C’è un futuro per società sempre più competitive e meno collaborative? Può la “mano invisibile” della competizione garantire più efficienza o produrre più solidarietà? Si può e in che modo rafforzare la collaborazione? Richard Sennett, sociologo statunitense che insegna alla New York University e alla London School of Economics, cerca di capire perché il capitalismo riduca la capacità di collaborazione tra gli individui e ne esalti invece lo spirito competitivo. E perché le persone, in tanti contesti diversi (nella vita di tutti i giorni, in un’azienda, in un partito, tra etnie e religioni), collaborino molto meno di quanto sanno e potrebbero fare, se pensiamo che proprio il collaborare è alla base dello sviluppo umano e sin dall’infanzia prima di imparare a essere individui impariamo a stare insieme. L’analisi di Sennett sui fattori storici e sociali che hanno indebolito la collaborazione e sulla possibilità di un diverso equilibrio tra collaborazione e competizione (la Rete?) ha l’autorevolezza di un trattato e la leggerezza di un racconto, scritto in stile assai più dialogico che assertivo, in coerenza con il principio che collaborazione significa in primo luogo capacità di ascolto e di dialogo. Guido, che di Sennett era amico ed estimatore, l’avrebbe scelto per la sua personale antologia “The pleasure of sociology”.

Stefano Draghi

Guido Martinotti e Stefano Forbici (a cura), La metropoli contemporanea, Guerini Associati, Milano, 2012.

Il volume raccoglie i contributi di sociologi urbani, dell’ambiente e del territorio, ma anche di agronomi, agrari e geologi, che affrontano temi oggi centrali nel dibattito teorico e politico relativi all’organizzazione urbana, al governo locale, alla costituzione delle reti, al fenomeno dello sprawl e della mobilità. In particolare, riprendendo gli spunti offerti da David Owen in Green Metropolis (la cui traduzione era stata curata dallo stesso Guido Martinotti per EGEA, 2010), il libro raccoglie ricerche e testimonianze originali su argomenti di stretta attualità come il verde in città, i parchi agricoli metropolitani, la definizione di una visione multifunzionale dell’agricoltura, l’uso delle risorse idriche e la loro salvaguardia e, infine, la definizione di nuovi stili di consumo collegati all’evoluzione dell’agricoltura. Il volume, che si snoda attraverso l’attualizzazione da prospettive diverse del rapporto fra città e campagna, risulta in realtà come una rilettura dei molti studi sulla città, sull’area metropolitana e sulla società contemporanea condotti nel corso della sua attività dallo stesso Guido.

Francesca Zajczyk

Irving Yalom, Le lacrime di Nietzsche, Neri Pozza 2006.

Ho riletto di recente “Le lacrime di Nietzsche” un libro di Irving Yalom di una ventina di anni fa. E’ una storia straordinaria sulla fragilità anche delle intelligenze più grandi e di come l’incontro tra due persone aiuti entrambe a ritrovare il senso della vita. Questa volta, però, mi ha colpito il rapporto maestro/allievo che gioca, invece, un ruolo marginale nella storia: il maestro è Breuer, che prenderà in cura Nietzsche, il suo allievo è il giovane Sigmund Freud. Dai loro ripetuti incontri traspaiono i caratteri della relazione. Breuer lo fa partecipe delle sue riflessioni e accoglie con genuino interesse i suggerimenti e le idee che germogliano nella mente del giovane Freud, il quale si sente tanto a suo agio da esprimerle con la più grande libertà e di confrontarsi, per così dire, alla pari, con il maestro. Questa relazione si nutre di una familiarità affettuosa (la moglie di Breuer si rivolge a Freud chiamandolo “Siggy” ), come se il riconoscimento delle comuni passioni e interessi scientifici fossero inscindibili da sentimenti di amicizia e di affetto.

Serena Vicari

Albert Hirschman, Le passioni e gli interessi. Argomenti politici in favore del capitalismo prima del suo trionfo, Feltrinelli, 2010 in e-book – Gianni Mura, Tanti amori. Conversazioni con Marco Manzoni, Feltrinelli 2013.

In almeno due occasioni, molti anni fa, avevo discusso con Guido del libro di Hirschman. Non ricordo il tema preciso della discussione, ma ricordo che eravamo entrambi ammirati dalla capacità di Hirschman – su cui si sofferma anche Cass Sunstein in un recente saggio pubblicato sulla New York Review of Books – di sviluppare considerazioni di vasta portata partendo da particolari insignificanti e di scoprire il nesso che lega fenomeni sociali apparentemente indipendenti. Mi era sembrata quindi una scelta appropriata includere il libro, pubblicato quasi cinquant’anni fa, tra i libri da rileggere. Hirschman osserva che il significato dei due termini passione e interesse è mutato nel tempo, portando con sé nuovi valori, nuove prescrizioni morali e politiche. Così il perseguire razionalmente il proprio interesse è prima un comportamento peccaminoso, poi diviene uno strumento positivo che sostituisce la trattativa al conflitto e si pone alla base dell’etica del capitalismo, poi assume nuovamente la connotazione negativa che ne fa il simbolo della sopraffazione capitalistica. A differenza delle passioni che spingono l’uomo a scelte istintive e irrazionali, le azioni guidate dagli interessi sono trasparenti, costanti nel tempo e quindi prevedibili: chi segue l’interesse non sbaglia mai, si diceva nel Settecento, a differenza di chi segue le passioni. Poi, aspettando un treno, ho acquistato il libro di Mura e non ho potuto fare a meno di abbinarlo, un po’ provocatoriamente, accanto al libro di Hirschman.

Perche Mura, da giornalista che ci ha raccontato tante storie di sport e di impegno civile, capovolge il discorso di Hirschman e ci mostra come spesso sbagli proprio chi segue l’interesse, mentre non sbaglia chi segue la passione: ci mostra come la centralità acquisita dal calcolo, dai costi, dal profitto abbia distrutto molti valori e abbia sgretolato la dimensione etica e solidaristica del comportamento. Sono certo che a Guido questo abbinamento sarebbe piaciuto.

Stefano Nespor

Antonella Meniconi, Storia della magistratura italiana, Il Mulino, 2012 – Umberto Gentiloni Silveri, Contro scettici e disfattisti, Gli anni di Ciampi 1992 – 2006, Laterza, 2013.

Due libri che tutti gli interessati alle istituzioni italiane dovrebbero leggere. Sono due libri completamente diversi. Il primo è una storia che copre tutto l’arco della vicenda storica italiana, dal 1861 ai nostri giorni. Il secondo è una ricostruzione minuziosa del quindicennio 1992 – 2006. Ambedue i libri, con tecniche diverse, insegnano molto sulla formazione delle istituzioni italiane e sul comportamento dei principali agenti, quali partiti, giudici, Parlamento, governo. Il libro sulla storia della magistratura è scandito in tre parti, dedicate rispettivamente all’età liberale, al periodo fascista e alla Repubblica e illustra gli sforzi compiuti per liberare la magistratura dall’abbraccio della politica e per renderla indipendente, ma anche i costi pagati in tale processo, in termini di “autarchia” dei giudici e di loro conquista di uno spazio politico, con conseguente ulteriore perdita di indipendenza. Il libro dedicato all’esame dell’esperienza di governo di Ciampi percorre tre periodi, quello del governo Ciampi, quello dei governi nei quali Ciampi è stato ministro del tesoro e quello della presidenza Ciampi. Il libro è redatto sulla base sia degli appunti e dei diari di Ciampi, sia di interviste fatte al protagonista, ed è quindi, dal punto di vista metodologico, un esempio misto, di storia orale e di storia fatta su materiale di archivio. Molte pagine sono illuminanti, perché consentono di valutare lo stile, gli interessi, le strategie dei protagonisti, nonché di ammirare l’acume delle diagnosi, la sicurezza nel decidere e la superiore moralità di Ciampi.

Sabino Cassese

Su Tong, La berge, Gallimard, 2012.

Con La riva (il romanzo è stato pubblicato per ora solo nella traduzione francese) Su Tong, dopo Mogli e concubine, firma il racconto di un’altra tragica storia, questa volta sullo sfondo della rivoluzione “culturale”, per antifrasi. I personaggi della vicenda non sono però, come nella forma classica di questo genere letterario, eroi o principi coronati, ma figure dell’immensa commedia umana della Cina del secolo scorso. Un padre e figlio, quello che è rimasto di una famiglia poverissima che si ritira a vivere su una chiatta del Fiume dei Passeri, con complessi e violenti rapporti fra di loro e con gli abitanti della terra ferma. L’eroina c’è, ma è morta da tempo. E la discendenza disputata da quella figura gloriosa è all’origine delle vicende e delle sventure che si narrano nel libro. Huixian la trovatella della flottiglia delle barche del fiume è il fiore di girasole che attraversa la storia di quella famiglia. Con il suo stile intenso e senza concessioni alla grazia letteraria, Su ci trasporta attraverso le passioni dure, le emozioni forti e le gioie effimere di una Cina ancora presente eppure già molto lontana.

Pasquale Pasquino

Giuseppe Marotta, E i bambini osservano muti, Corbaccio, 2013.

È la storia della famiglia di un boss della camorra vista da un bambino. Gli occhi che osservano sono di Remì, dieci anni, gli osservati sono il nonno cui tutto il quartiere è assoggettato; il papà, che proprio non ha la stoffa del malavitoso; la mamma, che sopporta fino a un certo punto le angherie del marito e della sua famiglia; la gente della banda e quella del quartiere, immersi tutti, chi più e chi meno, nella “cultura” della camorra, che ha le sue regole e i suoi riti. Giuseppe Marotta riesce a descrivere l’ambiente di Remì ponendosi dal suo punto di vista, e perciò con la leggerezza e la naturalezza di chi sente quell’ambiente come se fosse l’unico possibile, perché è stato educato fin dall’infanzia a farne parte. Il libro ha qualche parentela con il thriller, e il finale è a sorpresa.

Gherardo Colombo

Adam Johnson, The Orphan Master’s Son: A Novel, Random House, 2012.

Dear Readers, gather round your loudspeakers because Testi Infedeli brings you important news about a book about the Dear Leader! “Though the jet’s engines screamed with takeoff power, Commander Ga summoned his Korean fortitude, and using Juche strength, he chased the plane down and leaped on to its wing. As the jet rose from the runway rising over Pyongyang,” Ga used blood from his wounds to write backwards on the window a reminder of the Dear Leader’s eternal love for every citizen of the Democratic Republic of Korea. So ends the last chapter of this Pulitzer Prize winning almost indescribable novel, based on Johnson’s extensive research including in North Korea. The story centers on Jun Do, the orphan master’s son, a North Korean whom we follow from his introduction as an immensely multi-talented kidnapper for his government until his final acts, trying to save his love, Sun Moon, an actress “so pure, she didn’t know what starving people looked like.” On one level The Orphan Master’s Son describes the bizarre relationship the Kim dynasty has with The United States, including scenes on a ranch where Texans and North Koreans share black beans, tacos, and tiger in a back door diplomacy effort. On that level the book could be dismissed as phantasmagorical propaganda about propaganda. But the work is an intensely personal story about relationships among people, not nations, set mainly in the least known and most cartooned contemporary society. Pulitzer judges said the work “carries the reader on an adventuresome journey into the depths of totalitarian North Korea and into the most intimate spaces of the human heart”.

Joseph DiMento

Rossella Pastorino, Il corpo docile, Einaudi 2013.

Perché fra tanti autori posti in competizione al premio Strega non è stata ancora inclusa Rossella Pastorino? Stranezze degli editori. Me lo sono chiesto già quando ho letto per la prima volta un suo libro, “La stanza di sopra”, pubblicato nel 2007 da Neri Pozza. Lo trovai bellissimo,nuovo per la scrittura e il disegno della protagonista. Mi colpì molto. Torno a chiedermi dello Strega adesso che ho appena letto la sua ultima opera,questa volta edita da Einaudi (Stile libero, la fortunata collana diretta da Severino Cesari.) E’ una conferma, qualcosa che non accade sempre. Perché, come si sa, difficile è durare, restare sorprendenti anche dopo la prima prova. Anche questo romanzo è una storia struggente, ma mai davvero triste, perché chi la anima è anche in questo caso un essere umano di inaspettata vitalità.

Luciana Castellina

Vanna De Angelis, Il bambino con la fionda, Piemme 2012

Marek ha nove anni. E vive solo nel ghetto di Varsavia. Con la sua fionda e una promessa da mantenere. Una promessa fatta alla mamma mentre i nazisti la trascinavano via. Una promessa che e’ tutta la sua vita. Un eccellente romanzo, documentato e commovente. Un libro di quelli che si leggono d’un fiato.

Augusto Bianchi

Gianluigi Melega, Viceversa, Gaffi editore, Roma, 2013

Uno scrittore cileno, Rodomiro Calaman, convinto di essere il vero erede di Borges, dopo aver scritto un romanzo giovanile di successo e dopo un lungo periodo di depressione entra in un vortice di follia utopistica e comincia a raccogliere materiale per un’opera enciclopedica intitolata “L’umanità come letteratura e viceversa”. È (vorrebbe essere) la raccolta di tutte le storie umane che Calaman può raccogliere (direttamente, riferite da conoscenti diretti, di terza mano…). Ci lavora per 15 anni, con una folta schiera di collaboratori, raccogliendo un numero di schede che riempiono 57.000 dischetti, ciascuno dei quali contiene 10.000 storie. Alla sua morte un giovane studioso, mandato dall’Università di Yale a prenderne visione, redige un rapporto accompagnato da un assaggio di quanto trovato: un labirinto di schede, ciascuna delle quali è una storia o un frammento di una vita: amori e tradimenti, bambini e guerra, fiabe e sesso… Una sorta di antologia di un archivio universale, e una domanda incessante sul rapporto tra vita umana e letteratura. Secondo Calaman infatti solo ciò che è scritto è: cosa resta di una persona, dopo una o due generazioni , se non ciò che è stato scritto? Un libro difficile da descrivere, che regala il piacere di una straordinaria scrittura a chi si avventura e si perde tra le sue storie.

Eva Cantarella

Mark Tedeschi, Eugenia, Simon & Schuster 2012.

L’autore è un eclettico e famoso avvocato della corte suprema australiana che fa anche il fotografo. Una storia affascinante di una donna che vive la vita di un uomo. La sua vita è una tragedia di discriminazione e crimini nella Nuova Zelanda e nell’Australia della fine dell’ Ottocento e inizi del Novecento. Eugenia Falleni riesce a convincere molti di essere un uomo, tra cui due donne che ha sposato: la seconda dopo avere ammazzato la prima. Tedeschi descrive in modo splendido la tragedia intima di qualcuno che si sente nel sesso sbagliato. A qualcuno potrà interessare di più l’aspetto legale di questa storia fuori dal comune.

Marina Nespor

Boris Johnson, Johnson’s Life of London, Harper Collins, 2012.

Boris Johnson è il sindaco di Londra: etoniano, guascone, burlone, spregiudicato, molto biondo, si proclama “tory dalla nascita” ma del conservatorismo inglese detesta l’ostentato grigiore. Ama visceralmente la sua città e ha deciso di renderlo noto al mondo con questo libro che è una esilarante raccolta di impressioni molto personali sugli uomini che hanno reso Londra celebre nel mondo. Shakespeare non è solo uno dei più grandi autori mondiali ma ‘our guy’. Churchill è ‘the unsung father of the welfare state’. L’acme viene raggiunto nella comica descrizione delle giornate trascorse dal sedicenne Boris nel tentativo di imitare Keith Richards: “It was Keith I pathetically aimed to emulate at the age of about 16 when I bought a pair of tight purple cords (a sheen of sweat appears on my brow as I write these words) and tried with fat and fumbling fingers to plink out Satisfaction on a borrowed guitar; and my abysmal failure to become a rock star only deepened my hero worship”. Da quelle giornate parossistiche è nata però la convinzione che “Start me up” sia la vera, grande colonna sonora della Londra attuale.

Giulia Gavagnin

Julie Otsuka, Venivamo tutte per mare, Bollati Boringhieri, 2011.

“E’ vero che in America le donne non devono inginocchiarsi davanti al marito né coprirsi la bocca quando ridono?”. Charles contempló una nave all’orizzonte, poi sospiró e disse “purtroppo sì”. Sono giapponesi le donne che pongono questa domanda ad un inglese alto e rubizzo che tutti i pomeriggi si avvicinava al parapetto e guardava il mare. Siamo all’inizio del ‘900 e le donne attraversano l’oceano sognando e temendo insieme l’America verso cui si dirigono. Hanno con sé foto e indirizzi di connazionali sconosciuti che, emigrati prima di loro, saranno i loro mariti. E’ una voce collettiva quella che, in questo breve libro racconta un pezzo di storia poco conosciuta, ancora una volta storia di umanità sofferente: “Sulla nave eravamo quasi tutte vergini…ci chiedevamo spesso: ci piaceranno, li ameremo?”. Tutte quelle donne sperano, tra loro c’è chi sarà fortunata, chi si pentirà di aver lasciato il Giappone, chi morirà per il dolore. Le navi approdano a San Francisco e le donne si ricongiungono agli uomini che le attendono, finendo nelle loro baracche fatiscenti. E tutte iniziano a costruire le loro vite lavorando nei campi e nei frutteti, nelle lavanderie e nei mercati, sul mare e nelle botteghe, ovunque sia possibile: “partorimmo sotto una quercia.. sotto una tenda.. lungo una strada dissestata..”. C’è chi manda i figli a scuola, chi subito a lavorare, e tutti sognano nella Japantown, anche se gli americani non li vogliono come amici, né come vicini. Solo con gli anni, mentre i kimono piegati finiscono nei bauli e le donne dimenticano i nomi dei fiori dell’infanzia, la diffidenza sembra svanire. Ma arriva Pearl Harbour e i giapponesi, dopo pochi giorni, tornano stranieri, anzi spie, traditori, nemici. Finiscono sulle liste, inizia la loro deportazione di massa verso luoghi impervi e sconosciuti. Figli strappati ai genitori, famiglie frantumate. Nessuno seppe più nulla di loro e le giornate si raffreddarono rapidamente. Ecco che, nel libro, l’io narrante collettivo muta identità: “ I giapponesi sono scomparsi dalla nostra città. Le loro case sono sprangate e vuote.. i più turbati sono i nostri figli”. Un bel libro che narra mille storie vere, scuote l’anima e il cuore ed è diverso da ogni cosa letta prima.

Armando Spataro

William Shakespeare, Julius Caesar, Garzanti 2008.

“… and then the end is known”. La frase pronunciata da Bruto nell’ultimo atto del Giulio Cesare mi ha sempre intrigato. Anni fa, ci vedevo una metafora del mondo reale come macchina che computa se stessa. Per calcolare esattamente come andrà a finire una giornata occorre giusto una giornata, “it sufficeth that the day will end”. Potrà mai esistere un computer che ci metta di meno? Se sì, forse quel computer infrangerebbe il muro del tempo, forse sarebbe dio. Ora però, dopo aver visto il film “Cesare deve morire”, girato dai fratelli Taviani nel carcere di Rebibbia con attori detenuti, sono stato colpito da un’altra frase di Bruto che, con il pugnale insanguinato in mano, si ferma a immaginare quante volte la stessa scena verrà recitata di nuovo, in epoche a venire e “in states unborn and accents yet unknown”. Dunque il Giulio Cesare è la tragedia dell’accadere, e del suo ripetersi, in un continuo ribaltamento tra ciò che l’uomo sa e ciò che vorrebbe sapere, con in mezzo il tempo come schermo: perché “that we shall die we know, it’s but the time (…) that men stand upon”. All’inizio del terzo atto Cesare compare in scena e pronuncia solennemente queste parole, per lui prive di senso: “The Ides of March are come”. Quale magnifica ironia: per tutti secoli a venire sarà questa l’antonomasia della resa dei conti, destinata a ripetersi infinite volte, e non solo sulle scene.

Roberto Satolli

Questo quarantatreesimo volume dei Testi Infedeli è stato stampato nel giugno del 2013 in duecentocinquanta copie non numerate e fuori commercio da Grafiche Porpora srl di Cernusco sul Naviglio, Milano. Come sempre, ho liberamente e infedelmente tradotti e talvolta riscritti la maggior parte dei testi, spesso rispettando – ma non sempre integralmente – il pensiero dell’autore.

Il volume non sarà più inviato a chi non ne accusa ricevuta per due volte consecutive.

I Testi Infedeli escono dal 1989. Ringrazio per la revisione del testo Salvatore Giannella, Marina Nespor e Giulia Gavagnin.

Finito di stampare da Grafiche Porpora nel mese di giugno 2013