Quelli contrari alle vaccinazioni

Ho pubblicato questa nota sul mio sito di FB tempo fa.

Riguarda le squallide giustificazioni di coloro che rifiutano di sottoporre sé o i propri figli alle vaccinazioni (salvo poi correre a farle quando si verifica un’emergenza).
Nessuna vaccinazione è, esente da rischi, sia per coloro che sono sottoposti alla vaccinazione, sia per il personale medico e infermieristico che le effettua, sia infine, in taluni casi, per i soggetti (per lo più i parenti stretti) che si vengono a trovare in contatto con chi viene vaccinato.
Prendiamo malattie quali la poliomielite, il morbillo e la pertosse. Si tratta di malattie di differente gravità, ciascuna delle quali, in mancanza di vaccinazione estesa a tutti gli appartenenti a una determinata collettività, colpirebbe migliaia di soggetti, provocando lesioni permanenti e, spesso, la morte (consiglio di leggere il bellissimo romanzo breve di Philip Roth ambientato mentre divampava una epidemia di poliomielite negli Stati Uniti).
La vaccinazione evita, o riduce enormemente, il prodursi del rischio “naturale” consistente nella contrazione della malattia e nei suoi probabili o possibili effetti dannosi.
In cambio, crea un rischio “legale”, dovuto alla sottoposizione al vaccino.
Per esempio, ogni milione di soggetti vaccinati contro il morbillo, uno subisce gravi e permanenti lesioni cerebrali. E’ un rischio assai inferiore a quello di contrarre la malattia: secondo dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità muoiono ancora ogni anno nel mondo di morbillo decine di migliaia di bambini non vaccinati). Per effetto della vaccinazione, la mortalità per questa malattia è scesa, tra il 2000 e il 2008, del 78%.La vaccinazione contro il morbillo di circa 700 milioni di bambini ha evitato 4,3 milioni di decessi nell’arco di un decennio.
Lo stesso può dirsi per la poliomielite. Per ogni due milioni di vaccini antipolio erogati si verificano tre casi di polio tra i soggetti vaccinati, e un caso tra soggetti adulti non vaccinati che si siano trovati in stretto contatto con i soggetti vaccinati. Ma molte milioni di persone sono state salvate da questa malattia.
Dal un punto di vista di interesse pubblico generale e di politica sanitaria, non v’è alcun dubbio sulla opportunità di eliminare o ridurre il rischio naturale costituito dalla diffusione della malattia, sottoponendo la collettività all’infinitamente più modesto rischio legale della vaccinazione obbligatoria.
Il caso del vaiolo è emblematico: il vaiolo è praticamente scomparso e la vaccinazione antivaiolosa non è più obbligatoria. È stato quindi eliminato non solo il rischio naturale posto dal vaiolo, ma anche il rischio legale posto dall’obbligatorietà della vaccinazione antivaiolosa.
Quelli che sottraggono sé o i propri figli – con i più vari motivi – al rischio della vaccinazione, lo fanno ben sapendo di essere protetti dal fatto che la maggioranza si vaccina (e corre, anche per loro, quel piccolo rischio che la vaccinazione comporta). Appartengono alla sgradevole categoria dei free riders, insieme a quelli che non pagano il biglietto del tram, un servizio pubblico che può essere erogato se gli utenti rispettano le regole e acquistano il biglietto. Se la maggioranza non paga il biglietto, finisce il servizio pubblico.
E così, se la maggioranza fa prevalere la scelta egoistica in materia di vaccinazioni, torneranno poliomielite, difterite e pertosse per tutti.

Quanto dura una legge elettorale

Le leggi elettoriali possono essere di molti tipi; nel mondo occidentale, ce ne sono in vigore diecine, diverse tra di loro. Tutte con l’obiettivo di garantire un compromesso tra rappresentatività e governabilità. C’è però un principio che deve essere rispettato: quello della stabilità nel tempo, in modo da non creare il sospetto che lalegge è modificata per favorire i governi in carica. La stabilità crea l’affidabilità della legge e l’affidabilità crea la fiducia degli elettori di avere a disposizione una buona legge per eleggere i propri rappresentanti. In Francia, la legge elettorale a doppio turno risale al 1830; nel Regno Unito, l’attuale legge elettorale è in vigore dal 1832; negli Stati Uniti, dal 1842; in Germania non è mai stata cambiata nel dopoguerra. In Italia, abbiamo avuto dodici diverse leggi elettorali dal 1861 a oggi.

Dove vanno i rifugiati?

Nove rifugiati su dieci (17,6 milioni su un totale mondiale di 19,6 milioni) hanno trovato ricovero nel 2015 in un altro paese in via di sviluppo; più di due terzi (il 68%) si sono trasferiti in un paese africano o mediorientale, il 6% in Europa e il 12% nel Nordamerica. I cinque paesi in cui, in quell’anno, viveva il maggior numero di rifugiati erano la Turchia (2,5 milioni), il Pakistan (1,6), il Libano (1,1), l’Iran (979.400), l’Etiopia (736.100) e la Giordania (664.100). (Da Trends in International Migrant Stock: The 2015 Revision).
Questi dati sono riportati nel libro di Manlio Graziano, Frontiere, Il Mulino 2017 (anche su Kindle).

Il testo della riforma costituzionale commentato

IL BICAMERALISMO  

L’art.55 cancella il sistema del bicameralismo perfetto, sgradito alla Costituente dalla maggior parte dei tecnici ma gradito – tenuto conto delle – allora – diverse età previste per i votanti, da coloro che volevano contenere il pericolo di un PCI al Governo.

L’eliminazione del bicameralismo perfetto non è un’idea nuova, è in discussione sin dagli anni Ottanta, cioè da quando ci si è resi conto degli svantaggi che il sistema provocava.

La situazione nell’Unione europea

  1. la maggioranza dei paesi della Unione Europea  ha una sola camera (Danimarca, Croazia, Estonia, Lituania, Lettonia, Finlandia, Grecia, Norvegia, Portogallo, Svezia, Cipro, Bulgaria, Islanda)
  2. Hanno una seconda camera tutti i paesi del G8: Canada, Francia, Italia, Germania, Giappone, Regno Unito, Russia e Stati Uniti
  3. Tra i  paesi che hanno una seconda camera solo in 5 paesi i suoi membri sono eletti direttamente dai cittadini.
  4. Tra questi 5 paesi solo in Italia, Polonia e Romania la seconda camera ha dei poteri legislativi rilevanti.
  5. Solo l’Italia ha un sistema parlamentare in cui il Senato ha esattamente gli stessi poteri della Camera.

 Negli Stati Uniti vige in effetti un sistema di bicameralismo, nel senso che ciascuna legge deve essere approvata dalla Camera e dal Senato.

Tuttavia:
a) Camera e Senato hanno poteri parzialmente differenti. Per esempio, solo il Senato approva i trattati internazionali e approva la scelta del Presidente sulle nomine dei giudici federali e della corte suprema

b) se il Senato o la Camera introducono modifiche a un testo già approvato, non si torna quasi mai indietro, ma si affida a un apposito organismo di raccordo il compito di trovare un testo conforme (un sistema analogo vige in Francia).
c) inoltre, Camera e Senato sono formati in modo assai diverso: la Camera in proporzione alla popolazione di ciascuno Stato; il Senato, con due Senatori per ciascuno Stato, indipendentemente dalla popolazione. Se si affidasse alla sola Camera il potere di approvare le leggi, i piccoli Stati (Rhode Island, Delaware, Vermont) e quelli con poca popolazione (Wyoming, Maine) non avrebbero mai voce in capitolo.

Ecco il testo dell’articolo in questione.
ART.55
Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.
Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione.
La Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo.
Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali. Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabilite dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle
funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e tra questi ultimi e l’Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Concorre alla valutazione delle politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni, alla verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato nonché all’espressione dei pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge.
Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione. Molti mi hanno chiesto chiarimenti sul primo capitolo di illustrazione della riforma costituzionale. 

Se la riforma è approvata: 
a) I deputati rappresentano la Nazione – Il senato rappresenta le istituzioni territoriali.

b) la fiducia al Governo viene votata solo dalla Camera;

c) solo la Camera approva in via generale le leggi, salvo che nei casi e con i limiti espressamente previsti;
c) il Senato, tra i vari compiti, rappresenta Regioni e Comuni in sede di discussione delle leggi e dell’attuazione delle politiche comunitarie; non partecipando all’approvazione delle leggi, salvo che nei casi espressamente previsti, può incrementare le funzioni di studio, di controllo e di impulso sui progetti di legge, anche a sostegno delle esigenze regionali.

I Vantaggi di questa soluzione.

  1. Si evita il ping-pong nell’approvazione delle leggi
  2. C’è una specializzazione del senato in tutte le questioni regionali e comunali
  3. Si riducono i costi: i senatori sono meno e non ricevono compensi oltre a quelli già previsti dalle regioni e dai comuni

Sarebbe stato meglio il monocameralismo?

Molti hanno sostenuto che si sarebbe potuto fare a meno del Senato e passare a una sola Camera.
Fu soprattutto il Pci a proporre l’eliminazione del Senato (dopo aver sostenuto anche alla Costituente la tesi del monocameralismo).

Vantaggi: ulteriore riduzione dei costi

Svantaggi: mancanza di rappresentanza a livello centrale degli interessi locali

Tutti i paesi con un’organizzazione di tipo federale o comunque decentrato hanno una camera che rappresenta gli interessi locali. (G8).

va tenuto presente che, concentrandosi a seguito della riforma quasi tutta l’attività legislativa sulla Camera, il mantenimento del numero dei deputati oggi previsto – 630 – corrisponde a quello esistente in altri paesi dove la Camera ha analoghi poteri:

in Germania i deputati sono 622,

un po’ meno in Francia dove sono 577.

Nel Regno Unito, in sostanza un sistema monocamerale, i deputati sono 650.

Sono solo 435 negli Stati Uniti, ma non va dimenticato che lì il Governo federale si occupa di un ristretto numero di questioni rispetto agli Stati.
Infine, l’obiettivo di ridurre le spese va commisurato con l’obiettivo di garantire il principio democratico di un’adeguata rappresentanza, e quindi il rapporto tra parlamentari e popolazione.

La soluzione italiana è in linea con il rapporto esistente in molti paesi europei.

Se si considera il numero complessivo (deputati + senatori) previsti dalla riforma costituzionale , avremmo 730 parlamentari, quindi 1,2 ogni 100.000 abitanti.

Secondo un calcolo pubblicato qualche mese fa su Il Sole 24 ore, in questa classifica l’Italia è al 22esimo posto in Europa: 21 paesi hanno quindi un numero complessivo di deputati superiore a quello italiano, in rapporto con la popolazione

Una domanda per chiudere su questo punto
il nostro bicameralismo perfetto ha consentito di fare leggi perfette, o più democratiche, comunque migliori di quelle dei paesi dove il bicameralismo non c’è o è imperfetto?

LA CAMERA DEI DEPUTATI NELLA RIFORMA

Alla nuova Camera sono attribuite anche due nuove funzioni:
a) la funzione di controllo sull’operato del Governo, quindi con possibilità di interagire sulle scelte del Governo: è un potere più ampio del potere di sfiduciare il Governo, finalizzato ad accentuare il controllo democratico, dell’organo elettivo sul potere esecutivo
b) esercita la funzione di indirizzo politico.

Nella Costituzione vigente, la Camera non ha questa funzione. Si parla di indirizzo politico solo nell’art.95 ove si attribuisce al Presidente del consiglio dei ministri il compito di “mantenere l’unità di indirizzo politico e amministrativo”. Anche questa è un’innovazione che aumenta il potere dell’organo elettivo rispetto all’esecutivo, limitando i poteri del Presidente del consiglio dei ministri. Se mai, c’è quindi una riduzione dei poteri del Presidente del Consiglio, non una “deriva autoritaria”

IL SENATO NELLA RIFORMA

L’Art.57 della Costituzione nella riforma costituzionale
“Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica.
I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori”.

Questo articolo:
a) riduce il numero dei senatori da 315 a 95, oltre a 5 nominati dal Presidente della repubblica.
b) prevede un metodo di elezione indiretto per i 95 senatori. Non è quindi vero che i senatori sono “nominati”.
c) prevede che l’elezione avvenga con metodo proporzionale (per tutelare le minoranze).

per l’elezione dei senatori è prevista un elezione di secondo grado. Questo significa che non sono direttamente eletti dal popolo, ma sono eletti da rappresentanti di organismi regionali eletti dal popolo.
L’elezione di secondo grado è comune in tutti i paesi nei quali il Senato rappresenta interessi e esigenze regionali
Alcuni esempi.

In Germania i membri del Bundesrat – equivalente al nostro senato – rappresentano i Lander (mi spiace, ho una tastiera senza Umlaut) e i governi regionali, sono eletti dal Bundesrat che può anche revocarli
In Austria il senato è composto da membri che rappresentano i 9 Lander e sono da questi eletti
In Francia i senatori vengono designati da un collegio di elettori su base dipartimentale, composto dai deputati di quel dipartimento, dai consiglieri regionali eletti nello stesso ambito dipartimentale e dai consiglieri del dipartimento stesso.
In Belgio (dove il bicameralismo perfetto è stato abolito nel 1995), i senatori sono in parte eletti a suffragio diretto, in parte designati dalle comunità confederate ed in parte cooptati.

La scelta operata dalla riforma di introdurre un Senato rappresentativo degli interessi regionali e di utilizzare un’elezione di secondo grado è quindi più o meno in linea con quella di molti paesi europei con una forte organizzazione regionale.

LA FORMAZIONE DELLE LEGGI

Un sistema di bicameralismo perfetto ha bisogno di sintetiche disposizioni che stabiliscono la formazione delle leggi, e lo stesso può dirsi per un sistema monocamerale.

Il sistema bicamerale che prevede diversi poteri a livello legislativo, deve stabilire i poteri di ciascuna camera.

La disciplina quindi è più complessa.
L’art.70 nella nuova stesura disciplina le modalità di predisporre le leggi nel nuovo sistema.
Prima di tutto, l’articolo indica i casi in cui la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.

I casi più importanti sono:
le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali;
le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche,

i referendum popolari,
le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni,
le leggi che stabiliscono le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.

In sintesi, è richiesta l’approvazione anche del Senato (come accade ora) per tutte queste leggi:
• leggi di attuazione costituzione su talune materie indicate
• leggi riguardanti l’ordinamento degli enti locali
• leggi di principio sulle associazioni fra comuni
• leggi di attuazione del diritto comunitario
• leggi di ratifica trattati UE
• leggi su prerogative dei senatori e sulla legge elettorale del Senato
• leggi di attuazione del titolo V (poteri delle regioni e degli enti locali).

Tutte le altre leggi sono approvate soltanto dalla Camera dei deputati.
Tuttavia, il Senato può richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di un disegno di legge e la Camera è tenuta a pronunciarsi.
Oppure il Senato può anche decidere di esaminare i disegni di legge approvati dalla Camera e proporre modifiche al testo che vengono sottoposte all’esame della Camera che si pronuncia in via definitiva.

In conclusione, ci sono quattro ipotesi:
a) casi in cui la legge è approvata dalla sola Camera;

b) casi in cui si ristabilisce il precedente bicameralismo perfetto

c) casi in cui il Senato può promuovere l’adozione di una legge da parte della Camera; d)

d) casi in cui il Senato può proporre modifiche ad un testo di legge approvato dalla Camera.
Questi due ultimi casi corrispondono a casi analoghi previsti dalla Costituzione tedesca: l’artt.76 prevede che il Bundesrat – l’equivalente del Senato presenti un disegno di legge al Bundestag, l’equivalente della Camera, mentre l’art.77 prevede un potere di proporre modifiche da parte del Bundesrat ai disegni di legge del Bundestag.

L’IMMUNITA

È prevista da un articolo che non è stato modificato e, proprio per questo, ha sollevato molte critiche.
Si tratta dell’art.68 che proprio perché non è stato modificato, anche ai senatori nel nuovo senato.
è giusto?

Bisogna considerare che l’immunità parlamentare è una forma di garanzia per tutelare il potere legislativo dal potere esecutivo e da quello giudiziario, che potrebbero impedire a un parlamentare di esprimere le sue idee e di svolgere la sua attività politica.

È quindi particolarmente utile in Paesi – come il nostro – in cui la magistratura è totalmente indipendente dal potere esecutivo.
L’art.68 tutela i membri del parlamento per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni. È una tutela che garantisce l’indipendenza e l’autonomia del singolo Parlamentare, anche al di fuori dell’attività parlamentare.

La tutela non si estende a opinioni espresse al di fuori dell’esercizio delle funzioni: la distinzione spesso è difficile e la Corte costituzionale si è spesso occupata della questione.
Questa tutela si estende anche ai senatori del nuovo senato, ovviamente limitatamente alle opinioni espresse in quanto senatori, non in quanto consiglieri regionali o sindaci.

Poi, l’art.68 prevede la necessità di un’autorizzazione della Camera di appartenenza per

a) perquisizioni personali o domiciliari;

b) arresto, salvo i casi di flagranza di reato o sentenze definitive.
Tutti i paesi europei prevedono forme di immunità per i membri del Parlamento: alcuni paesi (Spagna, Germania, Belgio e Francia) hanno sistemi più garantisti di quello italiano, altri (Olanda, Svezia, Regno Unito) sistemi più limitati.
Quale che sia l’estensione della tutela (che, ripeto, non è oggetto della riforma), la sua estensione anche ai membri del nuovo Senato è giustificata anche dal fatto che essi partecipano all’attività legislativa nei vari modi che ho indicato nel terzo capitolo.
IL CONTROLLO PREVENTIVO DI COSTITUZIONALITÀ SULLE LEGGI ELETTORALI

L’art.73 prevedeva, nel vecchio testo e prevede ancora nel testo della riforma che “le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione”.

Quindi, una legge viene approvata, viene trasmessa al Presidente della repubblica e, salvo incidenti, entra in vigore e viene applicata fino a che non viene abrogata, o sostituita da un’altra legge o viene dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale.

La riforma introduce un secondo comma, che prevede un controllo preventivo sulla costituzionalità della legge prima che entri in vigore, in una specifica ipotesi

Questo controllo preventivo, riguardando la conformità della legge alla Costituzione, è affidato alla Corte costituzionale.

Nel nostro ordinamento, la Corte costituzionale interviene in due ipotesi base:

a) a seguito di rinvio da parte di un Giudice, per decidere se una norma di legge è conforme alla Costituzione (quindi, non c’è la possibilità, prevista in Spagna e negli ordinamenti di derivazione spagnola, del recurso de amparo, in base al quale chiunque – senza mediazione di un Giudice – può adire direttamente la Corte costituzionale per contestare decisioni del parlamento o del governo dalle quali si ritenga leso, dopo aver percorso i vari gradi di giudizio);

b) per risolvere conflitti tra i poteri dello Stato (quindi, come è accaduto recentemente, tra magistratura e governo in merito alla portata del segreto di stato) o quelli tra lo Stato e le Regioni, o quelli tra le regioni.

Queste ipotesi, di intervento successivo, sono rimaste invariate.

A queste si è aggiunto un giudizio preventivo di legittimità – quindi, prima dell’entrata in vigore della legge – sulle leggi elettorali: quindi sulle “leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, se l’esame preventivo venga richiesto “da almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o da almeno un terzo dei componenti del Senato della Repubblica entro dieci giorni dall’approvazione della legge”.

In questo modo si evita di utilizzare leggi elettorali per eleggere dei rappresentanti alla Camera o al Senato se vi sia il sospetto che possano essere dichiarate: è la situazione verificatasi con la legge elettorale n. 270 del 21 dicembre 2005, comunemente nota come legge Calderoli o Porcellum, dichiarata incostituzionale dopo che era stata utilizzata dal 2005 per eleggere la Camera dei deputati.

La legge elettorale entra quindi in vigore se nessuno chieda l’esame preventivo alla Corte costituzionale o se quest’ultima ne dichiara la compatibilità con la Costituzione.

LA RIPARTIZIONE DEL POTERE LEGISLATIVO TRA STATO E REGIONE
Uno dei temi più discussi della riforma è costituito dal nuovo assetto del potere legislativo. Ecco alcuni chiarimenti anche se chi vuole approfondire deve leggersi l’art.117 comparando il vecchio testo con il testo della riforma.
Va subito chiarito che la riforma interviene non sul testo originario della Costituzione, ma su quello introdotto dalla precedente riforma del 2001.

Quella riforma aveva previsto – art.117 –

materie con legislazione esclusiva dello Stato,

materie con legislazione esclusiva delle Regioni e

materie con legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni. In queste ultime, l’attività legislativa spetta alle Regioni, la fissazione dei principi generali spetta allo Stato.

Soprattutto questa terza categoria e l’incertezza derivante dal “concorso” di Stato e regioni aveva incrementato in modo consistente i conflitti tra le Regioni e lo Stato e, di conseguenza, il carico della Corte costituzionale.

Un esempio tra i molti della difficoltà di stabilire una demarcazione: la materia ambiente riservata allo Stato e le materie di protezione del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali riservate alla legislazione concorrente sono state oggetto di continui dissidi e litigi tra regioni e stato.

L’art.117 nella sua precedente formulazione assegnava poi alle Regioni il potere legislativo “in riferimento a ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.

La riforma:
a) elimina la legislazione concorrente. Quindi il potere legislativo diventa per alcune materie dello Stato, per altre delle Regioni.
b) Specifica le materia di legislazione esclusiva dello Stato (per esempio: attualmente rientrano nel potere legislativo dello stato (punto n) le “norme generali sull’istruzione” ; la riforma prevede “disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica”;
c) In alcuni casi attribuisce allo stato materie prima di legislazione concorrente (è il caso della valorizzazione dei beni culturali e dell’energia)
d) Individua alcune materie che rientrano nella potestà legislativa delle regioni,
e) mantiene ferma la competenza delle Regioni nelle materie non assegnate al potere legislativo dello Stato.

La riforma introduce inoltre la c.d. clausola di supremazia: lo Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
Quindi, non è sufficiente “un interesse pubblico generale”, ma qualcosa di più, la “tutela dell’interesse nazionale”

Valutazioni 

In generale, si può ritenere positiva l’eliminazione della legislazione concorrente che non ha dato buona prova in questi 15 anni
Vi è un accentramento di funzioni allo Stato, anche se non così importante come molti affermano, compensato dalla presenza di un Senato che è portavoce degli interessi regionali.

DEMOCRAZIA DIRETTA

Referendum abrogativo e referendum consultivo: art.75 e art.71 della proposta di riforma.
La riforma introduce due modifiche che ampliano in modo significativo gli istituti di democrazia diretta già previsti dalla Costituzione.
La prima modifica riguarda l’art.75 che disciplina il referendum abrogativo.
Nel testo attuale, la richiesta di referendum è ammissibile se sottoscritta da 500.000 elettori o 5 consigli regionali. La proposta è poi approvata a due condizioni: se ha partecipato al voto la maggioranza degli elettori aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validi espressi.
Lo scoglio divenuto quasi insormontabile è costituito dal quorum previsto per la validità della consultazione.
La disposizione che prevede un quorum della maggioranza degli elettori aventi diritto era infatti ragionevole finché la partecipazione al voto era elevata: fino agli anni Novanta, partecipavano alle votazioni oltre l’80% degli elettori. Dagli anni Novanta, la partecipazione al voto è progressivamente calata ed è aumentato l’astensionismo (come in tutte le democrazie occidentali): attualmente la media nazionale dei votanti per le elezioni politiche si aggira sul 60% degli aventi diritto (con forti differenze nelle varie aree geografiche).
Così, poiché gli elettori sono circa 50 milioni, in base alla norma vigente, il referendum è approvato se partecipano al voto almeno 25 milioni di elettori.
Poiché al voto in occasione di un referendum partecipano prevedibilmente circa 35 milioni di elettori. Il superamento della soglia della maggioranza degli elettori aventi diritto è quindi un’impresa assai ardua, soprattutto se gli elettori contrari scelgono di non andare a votare. In questo modo, è sufficiente che il 15\20% degli elettori sia contrario alla proposta e non voti perché il referendum fallisca.
Infatti, l’ultima volta in cui è stato raggiunto il quorum per un referendum abrogativo è nel 1995, oltre venti anni fa.
Con la norma introdotta dalla riforma, è prevista una importante modifica che da maggior spazio al referendum e quindi alla democrazia diretta. Resta ferma la vecchia regola se la richiesta è sottoscritta da 500.000 elettori. Ma si aggiunge una nuova disposizione, in base alla quale, se la richiesta è sottoscritta da 800.000 elettori, è sufficiente che il referendum sia approvato dalla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati. Il quorum è così ridotto in modo significativo. Alle ultime elezioni politiche del 2013 hanno votato circa il 75% degli aventi diritto, quindi circa 36 milioni di elettori. Il referendum, se richiesto da 800.000 elettori, potrà essere approvato se partecipano al voto 18 milioni di elettori e la proposta è approvata da 9 milioni.
È prevedibile quindi che l’istituto del referendum abrogativo avrà una nuova vita.
La seconda modifica riguarda due istituti: l’iniziativa popolare e il referendum propositivo.
Il primo istituto – l’iniziativa popolare delle leggi – era già disciplinato dall’art.71. Finora l’iniziativa popolare delle leggi consisteva in una proposta sottoscritta da almeno 50.000 elettori, ma non vi era alcun obbligo da parte del Parlamento di esaminarla o di prenderla in considerazione. Per questo, l’istituto era praticamente inutilizzato. Il nuovo art.71 prevede che la proposta di legge di iniziativa popolare sia sottoscritta da un maggior numero di elettori, 150.000. Ma stabilisce anche che la proposta sia obbligatoriamente esaminata nei tempi e nelle forme stabiliti dai regolamenti parlamentari.
Il nuovo testo dell’art.71 prevede inoltre un istituto completamente nuovo, i “referendum popolari propositivi e d’indirizzo”, rinviando a una apposita legge costituzionale la determinazione delle condizioni e degli effetti.
In definitiva, la “voce” degli elettori potrà farsi sentire, oltreché partecipando al voto, anche in tre diverse modalità: nel tradizionale referndum abrogativo, con ampliamento dellepossibilità di successo; nell’iniziativa popolare delle leggi, già esistenti, ma ora sostenuta dall’obbligo di esame da parte del Parlamento; infine, da un nuovo istituto, il referendum propositivo o di indirizzo, con cui potrà essere introdotta una nuova legge o indicato un indirizzo politico da seguire (per esempio, in materia di politica energetica o ambientale).

 

I DECRETI GOVERNATIVI

Molte innovazioni porta la proposta di riforma al sistema dei decreti governativi previsto dall’art.77 della Cost. e cioè i provvedimenti adottati dal Governo  aventi forza di legge ordinaria, esercitando quindi il potere legislativo che spetta al Parlamento.

Si tratta di provvedimenti consentiti dal vigente testo in due circostanze:

  1. Decreti adottati su delega delle Camere
  2. Decreti adottati in caso di straordinaria necessità e urgenza, noti come decreti- legge. Un decreto legge è stato recentemente utilizzato dal Governo per disporre gli interventi e i finanziamenti in occasione del terremoto nel Centro Italia. In questo caso, le Camere devono convertire il decreto in legge entro 60 giorni. Se la conversione non avviene, il decreto perde automaticamente efficacia, restando salva la possibilità del Parlamento di regolare la sorte dei rapporti giuridici sorti durante la vigente del decreto-legge (si pensi a un decreto fiscale, per esempio di aumento del prezzo della benzina, che non viene convertito. Le somme pagate da ciascun automobilista  in eccesso dovrebbero essere restituite, a meno che con una legge non si disponga altrimenti).

In entrambi i casi le innovazioni sono nel senso di limitare le possibilità del Governo di utilizzare lo strumento del decreto.

Nel primo caso, è previsto che la delega delle Camere possa avvenire solo con legge: precisazione utile, anche se superflua in quanto la delega è già solitamente avvenuta mediante legge, anche se molti ritengono che, in base al testo vigente, la delega potrebbe avvenire mediante semplice deliberazione del parlamento. La riforma preclude questa possibilità.

Più importanti le limitazioni introdotte nel secondo caso. Spesso, nel passato, si sono verificati eccessi o abusi nell’utilizzo della decretazione d’urgenza. Nei sistemi maggioritari, come è il caso italiano dall’inizio degli anni Novanta, gli abusi e gli eccessi sono molto diminuiti, essendovi di norma una continuità tra Governo e Parlamento.

La riforma prevede:

  • il divieto di utilizzare il decreto legge in materia costituzionale ed elettorale,  per autorizzare la ratifica dei internazionali e per l’approvazione di bilanci e consuntivi;
  • il divieto di reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi; la reiterazione dei decreti legge era una prassi frequentemente utilizzata in passato: alcuni decreti-legge sono stati reiterati per diecine di volte; il record è stato 26 volte. Dal 1996 questa prassi è stata abbandonata a seguito della sentenza della Corte costituzionale n° 360 del 1996. Con la riforma, diviene un atto contrario alla costituzione.
  • il divieto di ripristinare l’efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi per questioni di merito.

La riforma vieta inoltre una prassi assai utilizzata in passato e cioè l’utilizzazione da parte del Parlamento di utilizzare la conversione del decreto legge per introdurre anche altre disposizioni. SI stabilisce così che “nel corso dell’esame di disegni di legge di conversione dei decreti non possono essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto”.

Denaro e giustizia: come si fa ad avere un giudice indipendente?

Negli ultimi tempi è stata ancora riproposta l’idea di introdurre anche in Italia un sistema in cui i giudici vengono eletti dal popolo. Può  essere utile illustrare quanto sta accadendo nella patria di origine delle selezione elettiva dei giudici, gli Stati, Uniti. Partiamo da una vicenda di qualche anno fa.

Nel 2004 una società operante nello stato di West Virginia offrì un contributo di 3 milioni di dollari per la campagna elettorale di Brent Benjamin, un candidato al posto di giudice della Corte suprema di quello Stato. Il candidato fu eletto e nel 2007 partecipò ad una decisione che di stretta misura (5 giudici dei nove della Corte) annullò la sentenza dei giudici di merito di condanna di quella società al pagamento a favore di una società concorrente di un risarcimento di 50 milioni di dollari.

Quest’ultima ha impugnato la decisione davanti alla Corte Suprema federale, sostenendo di non aver avuto un giudizio imparziale, così come garantito dalla Costituzione degli Stati Uniti. L’8 giugno 2009 la Corte Suprema federale, prendendo in esame per la prima volta il problema della rilevanza dei contributi sulla campagna elettorale dei giudici per favorirne l’elezione, ha annullato la decisione (ancora una volta, con una ristretta maggioranza), sostenendo che il consistente importo del contributo ricevuto e il fatto che il contribuente avesse un giudizio in corso proprio davanti alla Corte Suprema del West Virginia avrebbe imposto al giudice Benjamin di astenersi (la decisione è: Caperton v.Massey)

Ma nei sistemi che prevedono l’elezione dei giudici, la questione non è così semplice come sembra e la decisione della Corte Suprema pone molti più interrogativi di quanti non ne risolva.

Per esempio: i giudici eletti devono astenersi solo se debbono giudicare una controversia ove sia parte chi abbia versato un contributo consistente, così come deciso adalla Corte, o qualunque sia l’importo del contributo versato? E poi:  per quanto tempo dura l’obbligo di astensione? Ancora: se il contributo è stato offerto da una associazione o da una organizzazione di tendenza (per esempio, un associazione ambientalista o un sindacato di lavoratori pubblici) l’obbligo di astensione riguarda anche tutte le controversie dove siano parti non l’organizzazione finanziatrice ma coloro che ad essa fanno riferimento? Infine, questione ancor più complessa:  bisogna astenersi anche se si giudica chi abbia finanziato i candidati concorrenti, o addirittura chi non abbia concesso alcun finanziamento, per evitare il sospetto di nutrire avversioni o pregiudizi?

È chiaro che la decisione della Corte Suprema si avventura su un terreno minato, e c’è da aspettarsi un fiorire di cause che andranno a contestare le decisioni assumendo la non indipendenza del giudice nei confronti di una delle parti.

La decisione sta anche offrendo un’occasione agli oppositori del sistema elettivo per sostenere che esso non è adatto per selezionare i giudici in quanto non garantisce l’indipendenza e l’autonomia degli eletti.

Si tratta di una riforma, tuttavia, non semplice sia perché ben trentanove dei cinquanta stati prevedono forme di elezione dei giudici, assai diverse tra loro, sia perché circa il 90% delle controversie giudiziarie degli Stati Uniti sono trattati da giudici statali, e solo il 10% residuo ricade nella competenza dei giudici federali (tutti designati dal potere esecutivo e confermati dal potere legislativo).

Il metodo elettivo per i giudici, che tuttora riscuote un diffuso appoggio popolare, si è diffuso verso la metà del XIX secolo come conseguenza del populismo democratico del Presidente Jackson (il cui motto era  “lasciate governare il popolo”), con l’obiettivo di sottrarre la scelta ai gruppi di potere nei vari stati.

Nello spazio di pochi decenni, due terzi degli Stati avevano adottato metodi elettivi per la scelta dei giudici, da quelli locali fino a quelli delle Corti supreme statali (può essere interessante ricordare che, nell’ambito della stessa campagna di populismo giudiziario, erano stati aboliti tutti i requisiti per esercitare la professione di avvocato, compreso il possesso della laurea in legge: tutti, superando semplicissimi esami, potevano esercitare la professione legale. È così che  ha potuto fare prima carriera come avvocato, poi passare alla politica e, infine, divenire presidente degli Stati Uniti un povero agricoltore dell’Illinois: Abraham Lincoln).

Ma il metodo elettivo aveva i suoi lati negativi; soprattutto, non garantiva affatto l’indipendenza del giudice,  la cui elezione dipendeva dal sostegno e dai contributi dei partiti politici, o dei vari potentati economici locali (come risulta dai molti film western che ritraggono giudici ossequiosamente pronti a far valere gli interessi dei loro elettori).

Per converso, una candidatura veramente indipendente aveva ben poche possibilità di riuscita, a meno che il divieto di ricevere contributi o di affiliazione a partiti politici di non fosse resa obbligatoria (soluzione adottata da vari stati nel corso del secolo appena passato): ma, in questo caso, i candidati restavano perfetti sconosciuti e nessuno sapeva per chi andava a votare.

Nei primi decenni del secolo scorso cominciò ad affermarsi un’altra modalità per designare i giudici, la c.d. selezione per merito, utilizzata per la prima volta dallo Stato del Missouri nel 1940: la copertura di un posto vacante è affidata al governatore che sceglie tra una rosa di candidati predisposta da un comitato di esperti. Alla scadenza del mandato, è prevista una procedura di conferma  affidata all’elettorato.

Lo schema del Missouri (noto come Missouri Plan) è stato ripreso da vari altri Stati: negli anni Cinquanta  del secolo scorso 18 stati lo avevano adottato con modifiche e adattamenti.

Il sistema elettivo, preferito ancora nella maggioranza degli Stati, è tuttavia da qualche anno al centro di aspre polemiche.  Le elezioni  sono divenute veri e propri scontri dove tutti i colpi sono ammessi mentre i costi per la campagna elettorale aumentano vorticosamente di anno in anno, coperti per lo più da gruppi economici che intendono garantire i loro interessi  o organizzazioni politiche che intendono garantire i loro progetti o obiettivi  nel caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie (tra le più attive nel finanziare le campagne elettorali dei giudici sono le organizzazioni pro-life che si oppongono alle norme che consentono l’aborto, o le organizzazioni favorevoli al diritto di comprare, detenere o portare armi senza controlli).

Il costo medio per una campagna elettorale per divenire giudice di una Corte suprema statale è così attualmente di circa 900.000 dollari.

Naturalmente, ben difficilmente i giudici elettivi riescono poi a rimanere davvero imparziali allorché debbano decidere una controversia che coinvolga interessi, economici o meno, di coloro che hanno finanziato la loro elezione. Infatti, un recente approfondito studio sulle decisioni assunte da tutte le corti supreme statali nel periodo dal 1995 al 1998 a livello nazionale dimostra che i giudici abitualmente adattano le loro decisioni in modo da attirare voti e finanziamenti. Non solo: la stessa ricerca dimostra che l’orientamento dei giudici su molte questioni tende a modificarsi a seconda del modificarsi delle propensioni politiche dell’elettorato ( i risultati dello studio sono presentati da Joanna M. Shepherd nell’articolo Money, Politics and Impartial Justice, in Duke Law Journal, n. 58, 2009, p.623).

Nei prossimi mesi, anche a seguito della sentenza della Corte Suprema che abbiamo ricordato, assisteremo sicuramente a sviluppi di questo dibattito negli Stati Uniti e vedremo se riprenderà vigore la campagna per selezionare i giudici in base al merito, e non in base al consenso dell’elettorato.

Vi è, tuttavia, un fatto curioso che deve essere segnalato. Nella plurisecolare ricerca di un modo per designare giudici imparziali, gli Stati Uniti non hanno mai sperimentato l’unico sistema che, nell’esperienza europea, garantisce l’indipendenza del giudice sia dai poteri forti, che dalle lobbies economiche, che, infine, dai variabili umori degli elettori: il pubblico concorso.