L’accesso alla giustizia nelle controversie giudiziarie in materia ambientale: considerazioni su due recenti volumi

ABSTRACT

L’articolo esamina i caratteri e i limiti dell’accesso alla giustizia delle associazioni e organizzazioni ambientaliste nell’ambito dell’Unione europea, utilizzando e ponendo a confronto i dati e i risultati che emergono da due volumi di recente pubblicazione: una ricerca condotta su numerosi paesi dell’Unione europea, e uno studio sulle controversie ambientali in India, Pakistan e Bangladesh.

This paper examines the content and the limits of the access to justice in environmental matters of the environmental organizations in the European Union. The exam is based on the comparative analysis of the results of two recent publications, the first concerning the access to justice of the environmental organizations in several countries within the European Union, the other the development of the environmental litigation in India, Pakistan and Bangladesh.

1.

Nel diritto ambientale internazionale con il termine PIEL (public interest environmental litigation) sono indicati i giudizi in materia ambientale promossi da persone fisiche o giuridiche (gruppi di cittadini, associazioni, organizzazioni ambientaliste, NGO) al fine di perseguire interessi generali, interessi diffusi o interessi di particolari categorie di soggetti che non sono in grado di agire in giudizio.
Uno dei temi più ricorrenti e più dibattuti ovunque questi giudizi siano ammessi è costituito dall’ampiezza e dai limiti dell’accesso alla giustizia di queste organizzazioni (quindi, i temi di legittimazione o di standing).
Una recente ricerca sull’accesso alla giustizia di organizzazioni ambientalistiche e di associazioni con finalità di carattere ambientale finanziata dall’Unione europea ha messo in evidenza caratteristiche e tendenze comuni, sia pur all’interno di differenze tra i paesi sottoposti ad esame , dipendenti dalle diverse culture e tradizioni giuridiche per ciò che riguarda gli aspetti processuali dell’ammissibilità delle azioni, dell’interesse e della legittimazione ad agire, ma anche per ciò che riguarda la stessa definizione di materia ambientale .
In particolare, dai vari studi settoriali è emerso che a partire dagli anni Ottanta in tutti gli Stati oggetto della ricerca sono state emanate norme volte ad agevolare con apposite regole l’accesso alla giustizia delle organizzazioni ambientaliste e si sono sviluppati – sia pure con rilevanti differenze tra stato e stato – orientamenti giurisprudenziali più favorevoli che non in passato all’ammissibilità di questi giudizi. La conseguenza è stata una crescita costante della quantità dei giudizi promossi da queste organizzazioni, secondo una linea di tendenza che non si è ancora esaurita.
Tuttavia – e contrariamente alle aspettative – questi giudizi sono tuttora, in tutti i paesi esaminati, in numero assai ridotto, e costituiscono anche una piccola percentuale delle complessive cause in materia ambientale. L’aspetto più interessante della ricerca è stato quindi che è risultata priva di fondamento la diffusa opinione secondo cui una agevolazione dell’accesso alla giustizia delle organizzazioni ambientaliste avrebbe prodotto una inflazione di giudizi in materia ambientale: il quantitativo di giudizi proposti non sembra infatti dipendere direttamente dalla normativa e dalla giurisprudenza in materia di accesso alla giustizia. Per esempio, assai ridotti di numero sono i giudizi proposti in Portogallo, ove attualmente vige una normativa estremamente tollerante in materia di ammissibilità delle azioni proposte dalle associazioni ambientaliste; anche nel Regno Unito (la ricerca non si è però estesa alla Scozia) ove si richiede soltanto la prova di un «sufficient interest» per proporre l’azione , i giudizi proposti sono in numero inferiore di quelli proposti in altri paesi (tra cui l’Italia), ove vigono criteri per l’accesso alla giustizia più restrittivi.
L’incremento dell’accesso alla giustizia delle associazioni ambientaliste sembra essere stata più seriamente influenzata – secondo il rapporto – da altri fattori di carattere concreto quali la capacità organizzativa e finanziaria e la credibilità delle associazioni ambientaliste, la durata e il costo dei giudizi, l’atteggiamento e la sensibilità dell’opinione pubblica (soprattutto a livello locale) verso i temi ambientali.
Infine, è risultato che in tutti i paesi esaminati le azioni promosse dalle organizzazioni ambientaliste hanno avuto un ruolo positivo.
Infatti, in una situazione di sostanziale disinteresse della maggior parte dei governi dei paesi dell’Unione europea per la protezione dell’ambiente – ancora recentemente l’Agenzia europea per l’ambiente ha confessato l’insuccesso degli sforzi compiuti dall’Unione per raggiungere l’obiettivo di una conservazione e una valorizzazione dell’ambiente europeo – queste organizzazioni hanno attivamente operato, promuovendo azioni giudiziarie e, prima ancora, per il solo fatto di poterle promuovere, nell’ottenere l’applicazione della normativa ambientale, soprattutto comunitaria.
Inoltre, svolgendo un ruolo di supplenza e di sostituzione degli organismi che istituzionalmente avrebbero dovuto occuparsene, hanno offerto anche due tipi di benefici economici): da un lato, assumendo a proprio carico costi di vigilanza, di controllo e di intervento di spettanza di organismi pubblici; d’altro lato, evitando danni all’ambiente spesso di rilevante impatto economico.
Infine, dal Rapporto è emerso che l’allargamento dell’accesso alla giustizia delle organizzazioni ambientaliste, verificatosi nel corso degli ultimi due decenni, ha contribuito ad accrescere e a potenziare la sensibilizzazione dell’opinione pubblica ai temi della tutela dell’ambiente e del territorio e al delicato rapporto tra tutela e esigenze di sviluppo oltre a promuovere meccanismi di partecipazione e di informazione con la Pubblica amministrazione .

2.

E’ proprio il dato sostanziale dell’importanza di questi aspetti positivi che è lentamente prevalso sulle innumerevoli questioni di carattere processuale nelle faticose e spesso tortuose storie dell’accesso alla giustizia delle organizzazioni ambientaliste della maggior parte dei paesi dell’Unione europea e del suo graduale allargamento.
Infatti, nonostante l’incompatibilità di fondo tra organismi (autoproclamatisi) rappresentativi di interessi generali e concezione della tutela giudiziaria basata su un diretto rapporto tra soggetto ammesso ad agire e interessi lesi, nonostante le indubbie difficoltà di calare le azioni proposte da questi soggetti nell’ambito di strutture processuali costruite senza prevederne l’esistenza (ed anzi, in modo da escludere rigidamente soggetti non previsti dall’accesso), e nonostante gli interrogativi che queste organizzazioni spesso pongono sul rispetto dei principi di democrazia all’interno della loro organizzazione, la tendenza legislativa e giurisprudenziale è stata ovunque – anche se tra mille esitazioni e ripensamenti – quella di riconoscere i benefici e l’efficacia dell’accesso alla giustizia delle associazioni ambientaliste come legittime rappresentanti dell’interesse in materia ambientale delle collettività interessate e di agevolarne, sia pure entro limiti predeterminati, l’accesso.

3.

L’affermazione di questa tendenza di fondo manifestatasi nei paesi dell’Unione europea (e, più in generale, nel mondo occidentale) si iscrive in un contesto assai più ampio di affermazione del valore fondamentale della tutela dell’ambiente, non solo nei suoi aspetti conservativi, naturalistici o patrimoniali, ma anche come fondamentale diritto dei singoli e delle collettività direttamente interessate.
In effetti, una valutazione globale del fenomeno permette di concludere che laddove si raggiungono le condizioni materiali, economiche e politiche che permettono il sorgere e il manifestarsi nelle collettività di un bisogno di tutela ambientale, lì cominciano ad essere presenti e a trovare sostegno e ascolto gruppi, associazioni e organizzazioni che rappresentano questi bisogni nei confronti dello Stato, delle istituzioni pubbliche e di enti privati; e a questo punto inevitabilmente e gradualmente si affermano soluzioni processuali che ammettono le PIEL, allargando i preesistenti criteri di legittimazione ad agire.
Proprio questa dimensione globale rende evidente che l’allargamento dell’accesso alla giustizia delle organizzazioni ambientaliste non costituisce – come molti ritengono, in modo troppo provincialmente eurocentrico – il punto di arrivo di una elaborazione normativa e giurisprudenziale propria dei paesi già sviluppati.
Al contrario vi sono molti paesi tradizionalmente collocati nella categoria dei paesi in via di sviluppo ove l’importanza dell’accesso alla giustizia delle organizzazioni ambientaliste è stata compresa con largo anticipo, nelle sue potenzialità di sostegno e di supplenza dell’azione pubblica, di freno a scelte di sviluppo distruttive dell’ambiente, e di garanzia del diritto all’ambiente sano e alla salute dei cittadini.

4.

Il caso più noto, e più attentamente studiato sotto questo aspetto, è quello dei paesi dell’Asia del Sud-est e, specificatamente, di India, Pakistan e Bangladesh. Questi tre paesi, e non gli Stati Uniti e l’Europa, secondo vari esperti, sono oggi all’avanguardia in materia di accesso alla giustizia .
Questa opinione trova conferma in un recente volume di un giurista inglese, Jona Razzaque, che offre una documentatissima, coinvolgente e approfondita analisi dello sviluppo e dell’affermarsi dell’accesso alla giustizia in questi tre paesi .
Razzaque evidenzia che all’origine di questo fenomeno nei tre paesi (prima fra tutti, in ordine di tempo e di intensità, l’India) stanno tre cause. In primo luogo, il rapido e devastante degrado ambientale verificatosi con l’avvio del processo di sviluppo industriale e le connesse forme di inquinamento, con l’espandersi dell’uso di sostanze chimiche per l’agricoltura, con l’intensa deforestazione e con la perdita di biodiversità (che per il Bangladesh supera il livello record del 90%). In secondo luogo, l’inefficienza e la mancanza di fondi e di personale delle Amministrazioni pubbliche centrali e locali, che determina enormi carenze nell’applicazione della legislazione ambientale esistente. In terzo luogo, le condizioni di povertà e di carenza di assistenza primaria in cui si trova gran parte della popolazione.
Ma queste cause, certamente importanti, non sono di per sé sufficienti a spiegare la straordinaria estensione che ha ricevuto in questi paesi l’accesso alla giustizia delle organizzazioni ambientaliste. Situazioni ambientali economiche e di organizzazione amministrativa analoghe in altri paesi asiatici (primo fra tutti la Cina) ed anche in taluni paesi dell’ex blocco sovietico sono rimaste senza apprezzabili conseguenze per ciò che riguarda l’accesso alla giustizia in materia ambientale.
Invece, l’elemento aggiuntivo che può spiegare la risposta offerta dal sistema giudiziario a quelle cause – posto in risalto da molti autori – è costituito dall’autonomia e dall’indipendenza del potere giudiziario nei tre paesi in considerazione (in India molti parlano di un governo del potere giudiziario ) e dall’importanza che lì riveste l’elaborazione giurisprudenziale sia per la comune derivazione dal sistema di common law inglese sia per l’ancora forte influenza esercitata dalla cultura giuridica precedente alla dominazione britannica.
La Corte Suprema indiana – coadiuvata e sostenuta da altre Corti degli Stati federati – ha infatti promosso, con la propria giurisprudenza e proprio consentendo ampio accesso alle istanze di associazioni e organizzazioni portatrici di interessi collettivi, numerose riforme da parte del potere legislative nel settore della protezione dei diritti umani.
L’opera della Corte si è inserita in una accresciuta sensibilizzazione verso i temi ambientali dell’opinione pubblica indiana e e degli organi legislativi nazionali e federali a seguito del disastro di Bhopal nel 1984, quando, in un incidente simile a quello verificatosi a Seveso poco più di dieci anni prima e consistente in una accidentale fuga di gas tossico da un impianto della multinazionale statunitense Union Carbide), oltre 2500 persone morirono e molte diecine di migliaia furono lese. È infatti del 1986 la legge quadro federale denominata Environment Act, con la quale venne anche istituito il Ministero dell’ambiente e delle foreste, seguita nel 1992 da altri interventi legislativi (il National Conservation Strategy and Policy Statement on Environment and Development e il Policy Statement for Abatement of Pollution) che hanno rafforzato gli strumenti per garantire l’applicazione delle normative ambientali e l’educazione in questa materia a livello scolastico.
In questo periodo, sotto la Presidenza Bhagwati J., si forma la giurisprudenza della Suprema corte che ritiene necessario che l’attore (persona fisica o giuridica) dimostri non più di aver anche indirettamente subito un danno (il c.d. test della «aggrieved person»), ma semplicemente un «sufficient interest» ad ottenere la decisione richiesta .
Il culmine di questo attivismo nel settore della protezione della salute e dell’ambiente è stato raggiunto probabilmente nel 1998 allorché la Corte suprema, su richiesta di alcune associazioni costituite allo scopo di tutelare la salute dei cittadini di New Delhi, ha emesso un’ordinanza con la quale imponeva all’Amministrazione della città la conversione del sistema di trasporti urbani da diesel a gas naturale .
Il libro di Razzaque evidenzia che la giurisprudenza della Corte Suprema federale indiana in materia di interesse ad agire in materia ambientale è attualmente seguita dalla maggior parte delle Corti supreme degli Stati che compongono la federazione indiana, ed ha esercitato un importante influsso nella giurisprudenza delle Corti Supreme degli Stati confinanti del Pakistan e del Bangladesh: entrambe applicano correntemente dall’inizio degli anni Novanta, al fine di verificare l’interesse ad agire, il criterio tradizionale della dimostrazione di aver subito un danno, ma con modalità così temperate da poter essere ricondotto al criterio del «sufficient interest» .

S. NESPOR, L’accesso alla giustizia nelle controversie giudiziarie in materia ambientale: considerazioni su due recenti volumi, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, Milano, Giuffrè, 2004, n. 6, pp. 861-867.