N. 40 estate 2011

IN QUESTO NUMERO


Oltre al breve pezzo introduttivo dedicato all’attualità (ma lo spunto è tratto da un volume apparso quasi sessanta anni fa) e a due brani, pure oggi di qualche attualità, di John Stuart Mills,


PER NON DIMENTICARE: BEATI E DITTATORI

In occasione della beatificazione di Papa Woytila, rinvio i lettori alla quarta di copertina dei TI dell’ …., ed alla foto lì pubblicata (non è un fotomontaggio, come molti hanno pensato) del nuovo Beato festosamente sottobraccio con Pinochet (pochi anni prima che quest’ultimo fosse fermato a Londra per crimini contro l’umanità).

Non c’è da stupirsi. L’amichevole frequentazione di un Papa con dittatori responsabili di crimini contro l’umanità è un requisito per divenire Beato. Con tre di questi Pio XII ha intrattenuto mostruosi rapporti caldamente amichevoli, probabilmente per essere sicuro di raggiungere questo ambito traguardo (al quale è stato prontamente designato dal Papa attuale).

Lettera a Hitler del 6 Maggio 1939. : “Desideriamo, fin dall’inizio del nostro pontificato, rimanere legati da intima benevolenza al popolo tedesco affidato alle sue cure, e invocargli paternamente da Dio Onnipotente quella vera felicità a cui provengono dalla religione nutrimento e forza. In spirito di pronta collaborazione a vantaggio delle due parti (Chiesa e Stato) indirizziamo al raggiungimento di tale scopo l’ardente aspirazione che la responsabilità del nostro ufficio ci conferiscono e rendono possibile”.In Germania da tempo infuriano i pogrom contro gli ebrei e molti esponenti cattolici che manifestano il loro dissenso sono inviati nei campi di concentramento.

 

Radiomessaggio a Franco del 16 aprile 1939: “I disegni della Provvidenza si sono manifestati una volta ancora sopra l’eroica Spagna. La Nazione eletta da Dio come principale istrumento di evangelizzazione del Nuovo Mondo e come baluardo inespugnabile della fede cattolica, ha testé dato ai proseliti dell’ateismo materialista del nostro secolo la più elevata prova che, al di sopra di ogni cosa, stanno i valori eterni della religione e dello spirito”. Continuano in quel mese in Spagna le fucilazioni degli aderenti al Fronte popolare: sono circa 200 al giorno a Madrid e 150 al giorno a Barcellona.

Encliclica Summi pontificatus del 20 ottobre 1939: “A particolare letizia si eleva il nostro cuore nel potere in questa prima Enciclica, indirizzata a tutto il popolo cristiano sparso nel mondo, porre in tal novero la diletta Italia, fecondo giardino della fede piantata dai Prìncipi degli Apostoli, la quale, mercé la provvidenza operata dei Patti Lateranensi,occupa ora un posto d’onore nel rango degli stati ufficialmente rappresentati presso la Sede Apostolica”. L’Italia era già pronta ad affiancare la Germania nazista per partecipare a quella che appariva una facile vittoria ed erano già in vigore le leggi razziali.

Le citazioni sono da Ernesto Rossi, Il Sillabo e dopo, Parenti Firenze 1957, ristampato nel 2000 da Kaos edizioni.


TIRANNIE DELLA MAGGIORANZA

I

 

Le istituzioni rappresentative diventano uno strumento di tirannia quando gli elettori non sono sufficientemente interessati al proprio governo e non si prendono la briga di votare o, se votano, lo fanno non operando una scelta nell’interesse pubblico, ma vendendo il loro voto per denaro o votando per chi può proteggerli o favorirli o comunque per chi intendono porre al governo per propri disegni personali. In questo modo le elezioni, invece che costituire un argine contro il malgoverno, altro non sono che un ulteriore elemento per incrementarlo.

 

II

È necessaria una costante attenzione contro la tirannia delle opinioni e dei sentimenti della maggioranza e contro la tendenza della maggioranza a imporre le proprie idee e le proprie pratiche quotidiane come regole di condotta per tutti. Deve sempre essere stabilito un limite alla possibilità di sottoporre  le scelte personali a regole gradite alla collettività. L’unico motivo per il quale si può imporre un determinato comportamento a un individuo è l’evitare danni o pericoli ad altri. Nessuna imposizione può essere giustificata dalla pretesa di perseguire il suo

 

benessere, fisico o morale. Nessuno può essere costretto a fare o a non fare qualcosa perché, secondo le opinioni della maggioranza, ne trarrebbe un vantaggio, perché sarebbe più felice, o perché il comportamento imposto sarebbe quello più saggio o quello più giusto. Queste sono buone ragioni per discutere, per lamentarsi, per provare a persuaderlo, ma non per costringerlo.

 

Da John Stuart Mill. Il primo brano è da Considerations on Representative Government, 1861; il secondo da On Liberty, 1859.

 

MILLE HAITI DA SALVARE

 

Il teologo tedesco Hans Kung scrisse “Le religioni non sono mai servite ad avvicinare gli esseri umani tra loro”. Nulla di più vero. Non è ovviamente in discussione il diritto di ciascuno di credere e di avere una sua religione, dalle più conosciute alle meno note, dalle più improbabili (come la religione cattolica) alle più ragionevoli. Né è in discussione il ricorso alla fede in quanto bene supremo impenetrabile al raziocinio. È anche possibile che la fede muova montagne, anche se non si ha notizia che ciò sia accaduto.

Quel che è però certo è che le religioni non avvicinano gli esseri umani ma li costringono a vivere in stato di perenne inimicizia, nonostante le arringhe pseudo ecumeniche ritenute vantaggiose da una parte e dall’altra per ragioni puramente tattiche.

L’ovvia conclusione è che il mondo sarebbe più felice se tutti fossimo atei. Non ci mancherebbero altre ragioni per tutti i disaccordi possibili e immaginabili, ma saremmo tutti liberi dall’idea infantile che il nostro dio sia il migliore di tutti e che ci aspetta un paradiso fatto come un albergo a cinque stelle.

 

*

Ci saranno, dopo Haiti, altri terremoti, altre inondazioni, altre catastrofi. Abbiamo il riscaldamento

 

globale con le sue siccità e le sue inondazioni, e forse è già all’orizzonte una nuova emergenza, la coincidenza di fenomeni causati dal riscaldamento con l’avvicinarsi di una nuova era glaciale che adesso starebbe dando i primi e ancora benigni segnali. Non succederà domani, possiamo vivere e morire tranquilli.

Nel frattempo, guardiamo verso Haiti e verso le altre mille Haiti che esistono al mondo. Guardiamo non solo verso quelli che sono seduti su instabili faglie tettoniche per cui non c’è una soluzione possibile, ma anche verso quelli che vivono sul filo del rasoio della fame, della mancanza di assistenza sanitaria, dell’assenza di una istruzione pubblica soddisfacente, dove i fattori propizi allo sviluppo sono praticamente nulli mentre abbondano i conflitti armati e le guerre tra etnie separate da differenze religiose o da rancori storici la cui origine è in molti casi dimenticata. L’antico colonialismo non è scomparso, si è moltiplicato in diverse varianti, e non sono pochi i casi in cui i suoi eredi immediati sono state le stese elite locali, vecchi guerriglieri trasformati in nuovi sfruttatori del loro popolo, la stessa ingordigia, la crudeltà di sempre. Sono queste le Haiti che vanno oggi salvate.

 

*

 

Il destino finale dell’uomo è, come si sa, la morte. E la morte è uguale per tutti. Si può morire con semplicità,

 

come quelli che si addormentano e non si svegliano più: si può morire con una malattia con perdona; si può morire sotto tortura, in un campo di concentramento; si può morire al volante di una Lamborghini, o essere investito da una Lamborghini: si può morire di fame o di indigestione. Il colore della pelle non ha nessuna importanza.

Martin Luther King era un uomo come ognuno di noi. Aveva delle virtù che tutti conosciamo e dei difetti che non ne sminuivano le virtù. Aveva un lavoro da fare. Lottava contro i pregiudizi, l’intolleranza, le abitudini. Fino al giorno in cui anche persone distratte come noi siamo compresero che il colore della pelle ha molta importanza.

 

Da Josè Saramago, Il quaderno, Bollati Boringhieri 2009

 

Il disegno è tratto dal New Yorker del 27 ottobre 2008

 

 

José Saramago è nato nel 1922 a Azinhaga, un villaggio a nord di Lisbona da una famiglia di braccianti agricoli che si trasferì nella capitale dove il padre ottenne un posto come agente di polizia. Per le difficoltà economiche Saramago dovette lasciare gli
studi e cercare lavoro prima  come fabbro e poi come meccanico. Riuscì a pubblicare il suo primo racconto “Terra del Peccato” nel 1947, ma dovette lavorare come impiegato in una agenzia di assicurazioni finché non divenne giornalista al “Diario de Lisboa”. Raggiunse la notorietà a metà degli anni Settanta, quando la “Rivoluzione dei garofani” portò via la dittatura militare, con due romanzi: “Una terra chiamata Alentejo” nel 1980 e “Memoriale del convento” nel 1982. La fama internazionale arriva con “L’anno della morte di Ricardo Reis” e con la “Storia dell’assedio di Lisbona” che esce nel 1989. Ateo e comunista (si iscrisse al Pcp clandestino durante la dittatura di Salazar), la pubblicazione nel 1991 de “Il Vangelo secondo Gesù” scatenò enormi polemiche. Quando il governo portoghese rifiutò di presentare il libro in un premio letterario europeo Saramago si autoesiliò alle Canarie, a Lonazarote, dove è morto nel … Ha ricevuto il premio Nobel nel 1998.


SEI POESIE DI ANNA ACHMATOVA

 

 

La passeggiata  (da Rosario)

 

La piuma del mio cappello sfiorò il tetto del calesse.

Lo guardai negli occhi.

Il cuore mi batteva, ma non sapevo

la causa della pena.

La sera era senza vento, avvolta nella tristezza

sotto l’arco del cielo nuvoloso.

Il Bois de Boulogne pareva

tracciato a china in un album antico.

C’era profumo di benzina e di lillà,

una irrequieta tranquillità…

Poi lui toccò le mie ginocchia

con la mano che quasi non tremava.
1913

 

Distacco  (Da Stormo Bianco)

Ho davanti la via contorta
della sera.
Già ieri, innamorato,
supplicava: “Non dimenticarmi”.
E adesso restano solamente i venti
e i gridi dei pastori
e i cedri agitati
sopra fresche fontane.

1914

 

Non stare al vento

 

Strinsi le mani sotto il velo oscuro…

“Perché oggi sei pallida?”

Perché di tristezza

l’ho abbeverato fino ad ubriacarlo.

Come dimenticare? Uscì vacillando,

sulla bocca una smorfia di dolore…

Corsi senza sfiorare la ringhiera,

corsi dietro di lui fino al portone.

Soffocando, gridai: “E’ stato tutto

uno scherzo. Muoio se te ne vai”.

Lui sorrise calmo e mi disse:

“Rientra. Non stare al vento”.

 

 

 

Né mistero né dolore

 

Né mistero né dolore,

né volontà sapiente del destino:

sempre quell’incontrarci ci lasciava

l’impressione di una lotta.

 

Ed io, indovinato dal mattino

l’attimo del tuo arrivo,

percepivo nei palmi socchiusi

il morso leggero di un tremito.

 

Con dita arse gualcivo

la variopinta tovaglia del tavolo…

capivo fin da allora

quanto è angusta questa terra.

 

Mai più (da  Anno Domini MCMXXI)

 

Ah, tu pensavi che anch’io fossi una

che si possa dimenticare

e che si possa buttare via con noncuranza.

O che fossi una che avrebbe chiesto alle maghe

radichette nell’acqua incantata,

e ti avrebbe poi inviato in regalo

un fazzoletto odoroso e fatale.

Sii maledetto. Non sfiorerò con gemiti

o sguardi la tua anima,

ma ti giuro sul paradiso,

sull’icona miracolosa

e sull’ebbrezza delle nostre notti ardenti:

mai più tornerò da te.

1921

Ultimo brindisi (Da Il giunco)

Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
al gelo dei tuoi occhi

ad un mondo crudele e rozzo,
ad un dio che non ci ha salvato.

1934

 

“Alta, magra, con lunghe gambe, lunghe braccia sottili, un viso illuminato da occhi sensibili e acuti, un naso aquilino che affascinò i suoi ritrattisti; era affascinante, dominante, misteriosa”. Così è stata descritta Anna Andreevna Gorenko, nata nel giugno 1889 vicino a Odessa, nota con lo pseudonimo di Achmatova (da  Achmat, il khan tartaro che nel 1480 aveva lanciato l’ultima grande offensiva dell’Orda d’Oro contro i principi di Mosca). Nel 1910 sposò il poeta Nikolaj Stepanovic Gumilëv dal quale ebbe un figlio, Lev; durante il viaggio di nozze a Parigi Anna conobbe Amedeo Modigliani che eseguì a memoria sedici disegni e li mandò in Russia (andarono tutti perduti durante la rivoluzione, salvo uno, qui riprodotto). Nel 1912 Anna pubblica il suo primo libro di poesie: “La sera”. Nel 1918 divorzia da Gumilev, che sarà fucilato qualche anno dopo con l’accusa di aver partecipato alla rivolta dei marinai di Kronstadt, e sposa l’orientalista Silejko, che morirà in un campo di concentramento staliniano. Sgradita al partito comunista, è sottoposta a sorveglianza continua ed è costretta, per vivere, ad impiegarsi presso l’istituto di Agronomia. Nel 1938 il figlio è arrestato, condannato a morte e poi inviato in esilio in Siberia (sarà scarcerato nel 1956). Nel 1946 è espulsa dall’Unione degli Scrittori Sovietici per disimpegno politico. È riabilitata nel 1955 e pubblica nel 1962 Poema senza eroe, dedicato alla storia russa. Muore nel marzo 1966.

 

Il SOVRANO

La nostra Graziosa Maestà gradiva avere sempre tutti sott’occhio e voleva ciascuno dei suoi ministri sempre a portata di mano. Un ministro che si allontanava dal palazzo senza avvertire durava poco. Ma figurarsi se i Ministri si allontanavano. Chi riusciva a raggiungere quella carica faceva di tutto per assecondare sempre i desideri della nostra Graziosa maestà. Chi poi aspirava a fare carriera nel Palazzo doveva imparare a memoria la lista delle cose che lui e i suoi subalterni non potevano dire, scrivere, fare, trascurare. Più confusa era la lista di ciò che si doveva fare: le indicazioni in proposito erano infatti sempre generiche e confuse. I favoriti quindi si dibattevano in mille dubbi e incertezze. In genere, fissavano ansiosamente il nostro Signore in attesa che si pronunciasse per primo. Ma il nostro Signore aveva l’abitudine di tacere e aspettare, e così anche loro tacevano e aspettavano. Così la vita del Palazzo era piena di silenzi, attese e dilazioni.

*

Dalle nove alle dieci del mattino il Nostro Signore distribuiva le nomine nella Sala delle udienze. Era l’Ora delle Nomine.

Io ero l’usciere principale della Sala che aveva tre porte e quindi tre uscieri incaricati di aprirle e chiuderle. Io però ero il più importante, perché dalla mia porta passava l’Imperatore. La mia bravura consisteva nell’aprire la porta esattamente al momento giusto. Ad aprirla troppo presto, sembrava che volessi

 

estromettere l’Imperatore dalla sala. Ad aprirla in ritardo, il Nostro Signore avrebbe dovuto rallentare il passo o addirittura fermarsi con detrimento della sua imperiale dignità.

Alle nove, l’Imperatore entrava nella sala. I candidati alle nomine erano già in attesa a testa china.

Quando il Nostro Signore sedeva sul trono, gli infilavo un cuscino sotto i piedi. Era un’operazione che andava eseguita in modo fulmineo per evitare che le gambe del Monarca penzolassero nel vuoto. Il Nostro Signore era infatti di bassa statura e poiché era necessario che sovrastasse i sudditi, tutti i troni avevano le gambe lunghe e il sedile rialzato. C’era quindi un divario tra l’indispensabile altezza del trono e la minuta taglia del Sovrano, divario particolarmente imbarazzante per quanto riguarda le gambe. Il cuscino serviva a risolvere questo delicato e fondamentale problema.

Per ventisei anni sono stato, oltre che l’usciere principale, il portatore del cuscino imperiale. Avevo una approfondita conoscenza dell’altezza dei vari troni, compresi i troni da viaggio, così ero sempre in grado di scegliere il cuscino giusto, tenuto conto che l’Imperatore voleva che tra il cuscino e le scarpe non intercorresse il minimo spiraglio. Avevo in magazzino cinquantadue cuscini di diverso taglio e spessore.

L’Ora delle Nomine faceva sempre tremare il palazzo.

Per alcuni era un fremito di felicità, per altri un brivido di terrore perché in quell’ora il Sovrano premiava,

 

promuoveva, nominava, ma anche puniva, destituiva e degradava.

Nessuno sapeva mai cosa aspettarsi, e in questo stava la grandezza del nostro Imperatore: il mistero circa le sue intenzioni teneva tutti i dignitari sempre in apprensione e alimentava ogni sorta di congetture.

Il palazzo si divideva in cricche e fazioni che si combattevano senza sosta.

Ma appena l’Imperatore si accorgeva che una fazione stava prendendo il sopravvento, subito concedeva qualche favore alla fazione opposta ristabilendo un equilibrio che impediva a chiunque di prevalere e garantiva il mantenimento della pace.

 

*

 

L’Imperatore aveva un cagnolino di razza giapponese, di nome Lulù che aveva diritto di dormire nel suo letto.

Durante le cerimonie, scendeva dalle ginocchia del Sovrano e andava a far pipì sulle scarpe dei dignitari che, pur con i piedi a mollo, non potevano muoversi né fare il minimo gesto. Il mio compito era quello di girare tra i dignitari con un panno di raso e asciugare le loro scarpe. Per dieci anni è stata la mia unica mansione. Poi Lulù è morto, e io non ha avuto altri incarichi.

 

Da Ryszard Kapuscinski, Il Negus. Altri scritti di Kapuscinski sono stati pubblicati nei Testi Infedeli dell’estate del 2001 e ..

 

VITA E MORTE DI SIGISMONDO ARQUER

 

Sigismondo Arquer nasce a Casteddu nel 1530. Studia tra Pisa e Siena; risale a questi anni la sua amicizia con l’umanista tedesco Sebastiano Munster cultore di studi orientali e cosmografia.  Con lui Arquer collaborò alla stesura della monumentale Cosmographia Universalis con uno scritto dal titolo Sardinia brevis historia et descriptio, tabula corographica insulae ac metropolis illustrata.

Tornato a Cagliari in veste di avvocato fiscale, Arquer entrò in contrasto con diversi potenti locali i quali, usando come pretesto proprio la sua collaborazione con il luterano Munster, lo accusarono di avere aderito all’eresia di Lutero. Prima l’Infanta Giovanna, reggente per conto del fratello Filippo II, poi il vescovo di Cagliari lo scagionarono da ogni imputazione. Poco dopo però i suoi nemici reiterarono la denuncia al nuovo inquisitore, don Diego Calvo, appena giunto dalla Spagna. Il Calvo riaprì subito il processo, fece imprigionare Arquer sottoponendolo a tortura e, benché non fosse riuscito a ottenere alcuna confessione, lo inviò in catene in Spagna nel 1562.

Dopo nove anni di carcere e molte vicissitudini Arquer venne riconosciuto colpevole di eresia.

Fu arso vivo sulla piazza di Toledo nel 1571. La stessa sorte era capitata qualche anno prima al padre Antonio Giovanni Arquer, condannato e giustiziato per eresia dal Tribunale del Santo Uffizio di Cagliari.

 

Furono considerati prove del “luteranesimo” di Sigismondo i suoi rapporti d’amicizia con alcuni  sospettati d’eresia e l’aver denunziato, nella sua storia della Sardegna inserita nella “Cosmographia” del Munster, la vita dissoluta di alcuni ecclesiastici sardi del suo tempo.

La dignità e la sua perseveranza nel difendersi e le sue argomentazioni giuridiche e canoniche furono considerate protervia e la fierezza nel rifiutare d’abiurare le proprie idee una conferma della sua colpevolezza.

L’unica persona che ebbe pietà per il povero Sigismondo fu il soldato che, mentre veniva consumato dalle fiamme, ne interruppe le sofferenze trafiggendolo con l’alabarda.

Su Sigismondo Arquer si vedano Frantziscu Casula–Marco Sitzia, Sigismondo Arquer Cagliari 2009; S. Loi, Sigismondo Arquer. Un innocente al rogo, AM&D, Cagliari 2003; e, in precedenza P. Tola, Dizionario Biografico degli uomini illustri di Sardegna, Torino, 1837-38, vol. I, pp. 91-92 e il numero XIX, di Archivio storico sardo dedicato ad Arquer con numerosi scritti di D.Scano.

 


DUE POESIE E CINQUE HAIKU DI MARIO BENEDETTI

Lovers go home

 

Quando oggi ho iniziato la giornata

e tu mi hai guardato

e mi hai trovato bene

e io ti ho trovato ancora più bella,

adesso tutto finalmente

mi è abbastanza chiaro,

per la prima volta so

che avrò la forza

di costruire con te

un’amicizia così sottile

che dal vicino

paese dell’amore

inizieranno a guardarci

con invidia

e organizzeranno escursioni

per venire a chiederci

come facciamo.

 

Tattica e strategia

 

La mia tattica è guardarti

imparare come sei

 

volerti come sei

la mia tattica è parlarti

costruire con parole

un ponte indistruttibile

la mia tattica è rimanere nel tuo ricordo

non so come

né so con quale pretesto

ma rimanere in te

la mia strategia è

invece

molto più semplice: è

che un giorno qualsiasi

non so perché

tu abbia bisogno di me.

 

 

I

 

Le religioni

non salvano

sono un contrattempo.

II

 

Quando mi seppellirete

per favore non dimenticate

la mia biro.

 

III

 

Il prigioniero sogna

qualcosa che ha sempre

forma di chiave.

IV

 

Lo applaudivano soltanto

Le braccia

Della Venere di Milo.

V

 

Solo i naufraghi

Danno il giusto valore

al nuoto.

 

 

I cinque haiku sono tratti da Rincón de haikus, Madrid: Visor, 1999.

Mario Benedetti è nato a Paso de los Toros, in Uruguay, nel 1920 da genitori italiani ed è morto nel maggio del 2009. Comincia a lavorare come, contabile, impiegato pubblico, giornalista e traduttore. Dal 1945 al 1975 collabora al settimanale “Marcha” di cui diviene in seguito direttore, la rivista più influente della vita politica e culturale dell’Uruguay e uno dei più

 

importanti dell’America Latina. Ha scritto racconti, romanzi, poesie, drammi, saggi, testi di critica letteraria, copioni cinematografici, testi di canzoni. Con i romanzi La Tregua (1960) e Grazie per il fuoco (1965) acquisisce notorietà internazionale.

Da allora, ha pubblicato più 40 libri tra cui le raccolte di poesie Inventario e Inventario Dos, i canti La muerte y otras sorpresas (1968), Con y sin nostalgia (1977) e Geografías (1984), le novelle Gracias por el fuego (1965) e Primavera con una esquina rota. Il suo ultimo libro è ‘Memoria y esperanza. Un mensaje a los jóvenes’.

E’ stato direttore del Centro di Ricerche Letterarie della “Casa de las Américas”, all’Avana e del Dipartimento di Letteratura Latinoamericana dell’Università di Montevideo. Dopo il golpe militare del 1973 fu costretto all’esilio, durato 12 anni, prima in Argentina e poi in Perù, a Cuba e in Spagna.

 


LIBRI PER L’ESTATE

 

Silvia Ronchey, Ipazia, la vera storia, Rizzoli 2010. 

Alessandria d’Egitto, 415 d. C., mese di marzo: una donna –si chiama Ipazia- viene uccisa, i suoi occhi cavati dalle orbite, le carni fatte a brandelli, i resti dati alle fiamme. L’assassino non è un amante tradito, un maniaco sessuale, un serial killer….E un vescovo, o meglio, è una banda di monaci (i “parabalani”, teoricamente “barellieri”) istigata dal vescovo della città, Cirillo (nel 1882 dichiarato santo e dottore della Chiesa). Un crimine atroce, maturato all’interno della lotta tra cristianesimo a paganesimo. Un secolo dopo l’Editto di Costantino, che aveva concesso ai cristiani libertà di culto, il potere imperiale aveva dichiarato guerra ai culti pagani, sancendo la pena di morte per coloro che li praticavano. Ad Alessandria, la situazione era particolarmente difficile: la chiesa aveva consolidato la sua identità istituzionale diventando antagonista del potere imperiale, e Cirillo mal tollerava la presenza e il prestigio di Ipazia, filosofa ed esponente di spicco della locale aristocrazia ellenica, che insegnava e si diceva fosse il capo della locale scuola platonica. Impossibile seguire gli eventi che condussero al crimine. Quel che è certo è che un giorno i monaci cirilliani liberarono la città non solo da

Ipazia, ma anche dal suo cadavere. La responsabilità di Cirillo era incontestabile, e la sua condanna

 

testimoniata anche da fonti di ambiente ecclesiastico, che, osserva Ronchey “riflettono il punto di vista dell’impero dove per undici secoli dominò il principio in cui lo stato, se pure pervaso da un’ideologia ultraterrena, è laico, e il clero è estromesso dal potere secolare…in esatta antitesi con quanto avviene nel papato di Roma, regno del “fatale dono di Costantino”, per dirla con Kingsley: del potere temporale della chiesa cattolica”. Un libro per ragionare sulle conseguenze del potere temporale della chiesa e del suo rapporto con lo stato. Non solo nel V secolo d. C.

e.c.

 

Jonathan Littell, Cecenia, Anno III, Einaudi, Torino 2010, pagg. 112.

Dall’autore del romanzo Le Benevole (Einaudi 2007)  un reportage dalla Cecenia ‘normalizzata’ dal proconsole, amico di Putin, Ramzan Kadyrov, nell’anno Terzo del suo dominio.  Littell visita di persona la regione tornandovi dopo anni e offre un quadro impressionante, diverso da quello ufficiale. Dietro la facciata della ricostruzione post-bellica e le nuove architetture monumentali, dietro una normalità fatta di sopravvivenza quotidiana, affiora la realtà di un Paese dominato da un regime totalitario e mafioso, dal sopruso, dalla corruzione a tutti i livelli, dalla violenza, dalla tortura, da esecuzioni extragiudiziarie, dal terrore strisciante. Il potere del Cremlino rimane sullo sfondo. Una “stabilizzazione” che comporta, da una parte, il
montare di un islamismo fanatico (per reazione a quello ufficiale) e dall’altra il rischio quotidiano per i cittadini della Russia (che della Cecenia fino agli anni Novanta non sapevano nemmeno l’esistenza) di saltare in aria nel metro di città lontane, nelle stazioni o negli aeroporti.

a.v.

 

Sabino Cassese, Lo Stato Fascista

Quanto è facile modificare un regime politico se esso è costruito in modo da favorire la modifica e permette di realizzarla con pochi interventi ben scelti.

In modo sintetico il volume si sofferma su alcune caratteristiche dello stato fascista, molte delle quali non sempre correttamente valutate: per esempio, la componente razionalizzatrice e modernizzatrice e la capacità di operare una forte concentrazione del potere, nello stesso tempo moltiplicando gli organi e creando amministrazioni parallele).

s.n.

 

Mack Smith, Cavour

Mentitore, doppiogiochista, inaffidabile, intrigante, opportunista. Così gli inglesi vedevano Cavour, pur apprezzandone le doti di intelligenza e di uomo di stato. Ma da quelle valutazioni negative del suo primo ministro l’Italia non si sarebbe più liberata; anzi per gli Inglesi sarebbero divenute una caratteristica dei governi di questo paese (confermata spesso nei fatti).

 

Il grande storico dell’Italia coglie di Cavour la grandezza, le intuizioni  e soprattutto la diversità rispetto agli altri uomini politici italiani, ma ne pone nello stesso tempo in rilievo gli errori ed i limiti.

s.n.

 

Thomas Mann, La montagna magica, Milano, Mondadori, I Meridiani, 2010.

Torniamo ai classici! Ce lo consente una nuova e bella traduzione di Renata Colorni. Il classico è “la montagna incantata”, ora “magica”. Storia dell’educazione di un giovane tedesco, immerso in un ambiente internazionale, per sette anni in un sanatorio, combattuto tra morte e vita. Pagine profonde, ma anche piene di umorismo. Battaglia tra il mazziniano Settembrini e l’ebreo-gesuita Naphta. Amore per Madame Chauchat. Ammirazione per

il solenne e tragicamente comico Peeperkorn. L’autore è Thomas Mann, premio Nobel per la letteratura, il moderno Goethe.

s.c.

 

Michel Foucault, Utopie Eterotopie, Rasoi, Cronopio, Napoli 2008.

Con questo testo – oggetto di culto per gli intellettuali italiani amanti delle francioserie – Foucault si prefigge lo scopo di fondare una nuova scienza. “Sì, sogno una scienza – dico proprio una scienza –che abbia come oggetto questi spazi diversi, questi altri luoghi, queste
 contestazioni mitiche e reali dello spazio in cui viviamo […] la scienza in questione dovrebbe chiamarsi, anzi si chiamerà, si chiama già eterotopologia. Ebbene di questa scienza nascente occorre dare i primissimi rudimenti” (p. 14). Per dare una idea della originalità delle osservazioni , vedasi a p. 11, il treno: “uno straordinario insieme di relazioni…poiché è un qualcosa dentro il quale si passa, è anche qualcosa con il quale si può passare da un punto all’altro, ed è al contempo un qualcosa che passa”. Davvero non ci eravamo arrivati, ma ci era già arrivato invece Jannacci con i famosi versi, sicuramente eterotopici ,“Fermi a un passaggio a livello” (Ma in un baleno/è schizzato via il treno/abbiam smesso di guardarci/poi mi hai chiesto se era un merci). Per avere invece una idea del realismo storico della trattazione, vedasi il paragrafo conclusivo, che deve avere suscitato grande entusiasmo tra gli adepti perché è stato messo, più o meno,  come sfondo in copertina dell’edizione Mimesis (Milano 2002). “La nave è l’eterotopia per eccellenza. Le civiltà senza navi sono come bambini, i cui genitori non hanno un letto matrimoniale su cui poter giocare. I loro sogni allora si inaridiscono; lo spionaggio sostituisce l’avventura e lo squallore della polizia prende il posto dell’assolata bellezza dei corsari” (p. 28). Non so cosa esattamente intenda MF per “civiltà senza navi”, una barchetta ce l’hanno tutti, ma certo che riesce difficile far quadrare questa affermazione
storica, con la Confederazione Elvetica, la Cekia, l’antica Macedonia, con Alessandro in India, la cultura beduina, Tamerlano e il Gran Khanato dell’Orda, per non parlare di coloro che hanno attraversato i ghiacci tra l’Asia e il NordAmerica e civilizzato le due Americhe. Anche loro qualche canoa o piroga l’avranno pure avuta, ma tra Boulder, Co e Saint Louis, Mo, per dire, di acqua ce n’è poca. In generale a chi legge questo tipo di filosofia letteraria raccomando “caveat emptor”.

g.m.

 

Alba de Céspedes, Romanzi a cura di Marina Zancan, Mondadori 2011

Dopo molti anni di ingiustificato silenzio, cinque  romanzi di Alba de Céspedes, una scrittrice di dimensione europea che scriveva in italiano e in francese, sono pubblicati nei Meridiani: nella nota si precisa che si è scelto di rappresentare la “de Céspedes nella sequenza dei suoi grandi romanzi”: Nessuno torna indietro, Dalla parte di lei, Quaderno proibito, Nel buio dell’amore e Con grande amore.  Un percorso che consente di conoscere tutti gli aspetti della sua opera, la modernità dei contenuti, la sperimentazione letteraria, la poeticità della scrittura.

Il volume è stato curato da Marina Zancan che  ha redatto il saggio introduttivo  e una cronologia che, unitamente alla bibliografia  di Laura Di Nicola, consentono di ripercorre la lunga e ricca produzione
di una straordinaria scrittrice che con il suo contributo alla letteratura, alla poesia, al teatro e al giornalismo,  ha sotto molti aspetti anticipato il pensiero moderno sulla condizione della donna e sull’essere donna nella cultura.

aldc

 

Sergio Luzzatto, Il crocifisso di Stato, Einaudi, 2011

Il 18 marzo scorso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha deciso, con una sentenza della Grande Chambre, che l’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole italiane non viola la Convenzione europea, rovesciando in appello il risultato di una precedente decisione. La sentenza si fonda su due considerazioni principali. Da un lato, i giudici di Strasburgo sostengono che il crocefisso è un simbolo “passivo”, che in un paese di atei devoti come il nostro ha poco o

nessun impatto sulla scolaresca. La Corte, d’altro lato, non manca di osservare che le più alte giurisdizioni del nostro paese, Corte Costituzionale, Cassazione e Consiglio di Stato, nelle loro pronunce rispettive, testimoniano di uno stato confusionale al quale non   può certo porre rimedio un consesso di giudici internazionali preoccupati di più serie violazioni dei diritti. Infatti, mentre la prima corte se ne è lavata le mani, la seconda ha chiesto la rimozione dei crocefissi e la terza ha sostenuto che questi sono simbolo non di una religione particolare ma di una identità nazionale,
che il paese stenta ancora a trovare peraltro dopo 150 anni.

In questo disordine del diritto il volumetto di Luzzatto mette ordine dal punto di vista storico. Le radici cattoliche dell’Italia affidate alla pubblica esposizione del crocifisso risalgono alle circolari fasciste promosse da un ateo devoto, un Giuliano Ferrara ante litteram, tale Dario Lupi gerarca aretino.

Gustose le pagine dedicate all’intervento del professor Weiler, un ebreo devoto che ha perorato dinanzi alla Corte di Strasburgo la causa di tutte le religioni unite contro i seguaci di Voltaire. Ma la Corte non ha accettato questa visione del conflitto amici-nemici che vede le schiere dei religiosi da un lato contro le falangi dei non credenti dall’altro.

p.p.

 

Linda Polman, The Crisis Caravan: What is wrong with Humanitarian Aid, Metropolitan 2011

1968. Il Biafra, una regione della Nigeria ricca di petrolio, si dichiara indipendente. Le forze governative nigeriane pongono sotto assedio l’intero territorio.

Dopo pochi mesi, la sorte del Biafra e la popolazione che muore di fame commuovono l’opinione pubblica mondiale. Viene organizzato un ponte aereo per rifornire di cibo gli assediati che resta in funzione fino a che, nel 1970, i secessionisti si arrendono. È l’inizio della storia degli aiuti umanitari, su cui si sofferma il volume,  l’ultimo di una ormai lunga catena di scritti
che criticano quella che, secondo molti, è  divenuta oggi una vera e propria industria dove centinaia di organizzazioni sono in competizione per aggiudicarsi sovvenzioni per oltre cento miliardi di dollari all’anno con risultati che spesso producono danni non inferiori ai benefici. È stato tristemente osservato in proposito che non c’è una soluzione umanitaria ai problemi umanitari.

s.n.

 

Le recensioni sono di Eva Cantarella, Sabino Cassese,  Ada Lucia De Cesaris, Guido Martinotti, Pasquale Pasquino, Alessandro Vitale e Stefano Nespor.

 

Questo quarantesimo volume dei Testi Infedeli è stato stampato nel giugno del 2011 in duecentocinquanta copie non numerate e fuori commercio da Compostudio s.r.l. di Cernusco sul Naviglio, Milano. Come sempre, ho liberamente e infedelmente tradotti e talvolta riscritti quasi tutti i testi; spesso è stato rispettato – ma non sempre integralmente – il pensiero dell’autore. Il volume non sarà più inviato a chi non ne accusa ricevuta per due volte consecutive. I Testi Infedeli escono dal 1989. I fascicoli apparsi a partire dal 1992 possono essere letti nel sito www.stefano.nespor.it, curato e aggiornato da Stefano Rossi.

Ringrazio per i suggerimenti Daniela Barsocchi, Salvatore Giannella, Marisol Machado-Castells, Marina Nespor, Pasquale Pasquino, Brigitte Stein.

 

Amedeo Modigliani: Anna Achmatova, 1913