N. 38 estate 2010

IN COPERTINA:

 

Sessanta anni fa. Winston Churchill visita le truppe britanniche dislocate sulla Manica per fronteggiare l’invasione tedesca. Churchill, inaspettatamente divenuto primo ministro nel giugno del 1940 a seguito delle dimissioni di Chamberlain, convince tutti i componenti del suo governo a rifiutare ogni accordo con il nemico e a continuare la guerra. L’uomo giusto al posto giusto al momento giusto.

Collage con foto, matita, carboncino, colori acrilici Winsor & Newton di Stefano Nespor.

 

IN QUESTO NUMERO

 

 

Oltre alla consueta introduzione dedicata all’attualità (partendo da un libro di cinquant’anni fa), ci sono tre brani tratti da libri che riguardano la Russia attuale e le guerre di Cecenia (alla Russia è dedicato anche ampio spazio tra i libri da leggere) e due piccole biografie di personaggi, ciascuno a modo suo eretico e in lotta contro il potere e l’intolleranza.

Ci sono poi, come al solito, le poesie: di due autori cechi, Viola Fischerovà e Jaroslav Seifert (quest’ultimo già comparso sui TI) e del portoghese Fernando Pessoa.

In aumento è la parte dedicata ai libri da leggere. A questo proposito, ricordo che ciascuno può inviare recensioni e segnalazioni di libri di cui consiglia la lettura, non necessariamente appena pubblicati.

 

 

COME SI DIVENTA NAZISTI:

STORIA DELLA FAMIGLIA B.

Come si diventa nazisti è il titolo di un libro dell’americano William Sheridan Allen (Einaudi 1968) che racconta la storia di una piccola città tedesca, Thalburg: una comunità  che, senza accorgersene, si stava disfacendo e, lentamente ma inesorabilmente, si avviava a piccoli passi verso la catastrofe.

Letto oggi, il libro assume un valore diverso da quello originale: più che un’indagine rivolta al passato oscuro dell’Europa, pare un monito per il futuro. Allen ci dimostra che la democrazia è un punto di equilibrio instabile, difficile da conquistare e facile da perdere: non bisogna illudersi che questa possibilità sia esclusa dalle diverse condizioni storiche, dalle istituzioni politiche e da una supposta maggior maturità dei cittadini.

Oggi, proprio come allora, gli avversari della democrazia sono tanti e circolano tra noi; noi li conosciamo e li frequentiamo. Stanno però anche dentro di noi, nel perenne conflitto tra bisogno di sicurezza e desiderio di libertà, tra l’impulso di ridurre l’angoscia delle scelte e la volontà di non sottostare a nessun capo che decida in nostra vece quel che va bene per noi. L’Autore dimostra anche che nel momento in cui una comunità procede a piccoli passi verso l’abisso, nessuno è in grado di prevedere quale forma concreta prenderà il disastro. Ogni passo che facciamo o che tolleriamo sia fatto da altri, anche se all’apparenza del tutto insignificante, può avvicinarci alla catastrofe o può allontanarcene. È quindi importante, ammonisce Allen, essere sempre ben consapevoli della doppia direzione in cui qualunque passo può portarci.

Valuti il lettore verso quale direzione ci porta la vicenda della famiglia B.

 

Il signor B. vive a Milano con la moglie dall’inizio degli anni Settanta. Entrambi sono cittadini italiani e invalidi civili. Il signor B. ha settantadue anni, è stato deportato nel campo di concentramento di Tussicia (Abruzzo) nel 1942, all’età di quattro anni, in base alle leggi razziali del 1938, in quanto appartenente all’etnia sinti. È stato decorato con la medaglia d’oro al valore civile. La sua salute è precaria, avendo subito un complesso intervento chirurgico al cuore.

Il signor B. è l’esponente più anziano di una famiglia sinti composta di 35 persone, tutte di cittadinanza italiana e residenti in un’area comunale appositamente destinata alla famiglia (impropriamente denominata “campo nomadi”, in quanto né il signor B. né i suoi famigliari si muovono da Milano da oltre cinquanta anni e da trenta risiedono nell’area loro destinata).

Con il signor B. vivono due nipoti: uno lavora presso un esercizio commerciale, l’altro va a scuola.

A seguito delle normative emesse dal Governo per fronteggiare l’”emergenza nomadi” in data °°° alle 5 del mattino circa settanta tra agenti di polizia e vigili si presentano con vari mezzi blindati al “campo nomadi”, svegliano il signor B. e la sua famiglia di soprassalto (senza tenere conto della presenza di minori e delle cagionevoli condizioni di salute del signor B.), perquisiscono e fotografano la sua abitazioni e quelle degli altri residenti e fotografano i loro documenti di identità, in quanto debbono schedare tutti gli appartenenti all’etnie sinti e rom.

Quindi, la schedatura riguarda gli appartenenti a determinate etnie, indipendentemente dal fatto che siano nomadi o meno. Tutto legittimo secondo l’Autorità giudiziaria, adita dal signor B. e dalla moglie perché il comportamento subito fosse dichiarato discriminatorio rispetto agli altri cittadini italiani e anche ad altre etnie e minoranze etniche presenti sul territorio nazionale.

 

In definitiva, si è trattato di una normale operazione di polizia. Nessuna discriminazione, secondo uno dei Giudici: tutti i residenti nel campo sono stati trattati alla stessa maniera.

 

La presentazione del libro di Allen è tratta dall’introduzione di Luciano Gallino all’edizione del 1994. La vicenda della famiglia B. è accaduta a Milano. X


QUATTRO POESIE DI VIOLA FISCHEROVÀ

 

 

La porta di casa

ingresso in una ferita aperta

Le scale brillano, ma non si vede

Né una goccia di sangue

né una piccola piuma.

Tutta la nostra vita

è durata sedici anni

e si è svolta in tre camere.

 

***

 

Di notte mi dispiace

per quella via.

Non c’è neppure una finestra

Che si apra sulle mura.

Dietro le mura, vorrei sapere

chi veglia.

 

°**

 

Così all’improvviso cominci

a portare l’altro tuo volto;

Chi ti riconosce

sono tre anziani

che vedono ciò che vogliono credere:

La bella ragazza allegra

che non sei stata.

 

***

 

Adesso

solo quando ti addormenti

ti raggomitoli ancora

e di giorno un gatto

e di notte i sogni

ti rivelano

quel che calpesti

quel che non sai

e quel che desideri.

 

Viola Fischerová è nata a Brno nel 1935. Nota come la first lady della poesia ceca contemporanea, la sua prima raccolta di versi, Propadání (Sprofondando), completata sul finire degli anni Cinquanta, è vietata dal regime (alcune delle poesie sono uscite nel 1995 in «Revolver Revue».).

Negli anni Sessanta lavora alla redazione culturale della radio cecoslovacca. Nell’autunno 1968, dopo l’invasione della Cecoslovacchia, sceglie, come molti altri, l’esilio insieme al marito Pavel Buksa (noto come scrittore con lo pseudonimo di Karel Michal) e si stabilisce a Basilea. Negli anni Ottanta si trasferisce a Monaco, dove ricomincia a scrivere versi, pubblica anche vari libri per bambini e collabora con periodici e case editrici del dissenso e dell’esilio. Ritorna a Praga nel 1990.

Le poesie qui presenti sono inserite nelle raccolte Babí hodina (L’ora del tramonto, 1994), Odrostlá blízkost (Discosta vicinanza; 1996), Solitudine madre; 2002, Nyní (Adesso; 2004). Sono state tratte da Semicerchio – Rivista di poesia comparata, nn. XXII e XXIII del 2005, lì tradotte da Annalisa Cosentino. X

 

DALLA CECENIA: SCENE DI GUERRA

I

Da quando era cominciata la guerra in Cecenia, i civili non avevano più visto un solo giorno di pace. Quelli che non avevano avuto la possibilità di rifugiarsi in Russia o nelle vicine repubbliche, in Dagestan e in Ossezia, erano costretti ad assistere al triste spettacolo di due eserciti che, a turno, distruggevano le loro case, ammazzavano i loro famigliari, rendevano la loro esistenza un inferno sulla terra. Ognuno di loro aveva stampati sul viso i segni della stanchezza e dell’indifferenza verso qualsiasi cosa capitasse.

Era terribile vedere i vecchi che tenevano i bambini tra le braccia e cercavano di fuggire correndo senza mai fermarsi né voltarsi indietro. Ricordo che a un certo punto, mentre il mio carro blindato procedeva sulla strada principale, da una via laterale è spuntata una donna tutta sporca e con i capelli aggrovigliati sulla testa. In braccio aveva una bambina piccola insanguinata.

La donna veniva verso il carro e urlava chiedendo aiuto. Quando era a pochi metri da noi, mi sono accorto che la bambina era morta da un pezzo: aveva la pancia aperta, un buco grosso e nero che la madre aveva cercato di tappare con un lenzuolo strappato. Stava rischiando di finire sotto i nostri carri, che avevano ordine di non fermarsi per nessun motivo, quando dalla folla che guardava muta il nostro passaggio è uscita una bella ragazza, una cecena dall’aspetto, che ha abbracciato la donna e le ha detto con dolcezza: “Fammi tenere la tua bambina fammela tenere un po’ così puoi riposarti. Dobbiamo ancora camminare a lungo”.

 

La madre allora ha lasciato il corpo alla ragazza; questa lo ha preso e lo ha stretto tra le sue braccia, come se fosse ancora vivo. Solo allora la donna si è allontanata dai carri ripetendo meccanicamente sempre la stessa frase: “Dobbiamo trovare un medico, c’è bisogno di un medico per la mia piccola”.

 

II

Ero il cecchino del mio reparto, i sabotatori agli ordini del capitano Nosov.

Ho estratto il fucile di precisione. Ho tolto la custodia del cannocchiale. Ho preso un tavolo rotto e l’ho piazzato sotto la finestra mi ci sono inginocchiato sopra e ho cominciato ad osservare. Dovevo individuare il cecchino nemico che già aveva ammazzato quattro dei nostri fanti.

Cercavo di ricordare come erano esplosi i giubbotti dei fanti per ricostruire le traiettorie degli spari.

Dal tipo di ferite lasciate sul corpo delle vittime si può calcolare la distanza dello sparo e poi la sua traiettoria. Per questo i cecchini più esperti usano pallottole modificate che si deformano dentro i corpi, oppure riducono la potenza della pallottola, o ancora alleggeriscono la potenza della polvere: impediscono in questo modo di fare calcoli precisi sulla distanza.

Prima di sparare, mi coprivo l’occhio sinistro con un cartoncino che portavo sempre con me. Era un vecchio trucco che mi aveva insegnato mio nonno quando andavamo a caccia in Siberia. Il cartoncino permetteva di concentrarsi su bersaglio senza sforzarsi di tenere chiusa la palpebra sinistra.

Davanti a me, a circa duecento metri di distanza, c’erano due case di cinque piani.

 

L’ultimo piano era il posto ideale per un cecchino. Con il cannocchiale ho iniziato a ispezionare la parte alta delle case. Lo ho trovato proprio a metà di una delle due, dentro una piccola costruzione che metteva in comunicazione il tetto con l’interno dell’edificio.

Non era un professionista. Non aveva organizzato nessuna falsa posizione, facendo spuntare dalle finestre oggetti che assomigliassero alla canna di un fucile o piazzando degli specchi per attirare l’attenzione su falsi obiettivi. A un certo punto, l’ho visto che fumava. Era giovane, con i capelli corti e biondi. Era evidentemente un turista mercenario dei paesi baltici. Anche la scelta del tetto diceva che era inesperto: si tratta del luogo in assoluto meno protetto di una casa, piazzarsi lì significa quasi sempre suicidarsi. Insomma, il mio cecchino era un tiratore novellino, che si credeva in gamba solo perché aveva una buona mira. Era troppo sicuro di sé, doveva essere la sua prima esperienza sul campo. Non sapeva che sarebbe stata anche l’ultima. Mentre stavo per sparare mi sono accorto che stava parlando con qualcuno. Ho aspettato un momento e nel mirino è comparsa una ragazza giovane con dei lunghi capelli biondi nascosti sotto un cappellino militare. Ho aspettato che fossero più vicini. Lei gli ha detto qualcosa sorridendo, lui si è alzato un attimo e le ha accarezzato il viso prima di baciarla. A questo punto ho sparato. Ho mirato all’altezza del mento. A quella distanza, di solito la pallottola finisce dritta nella tempia. Il bersaglio è sparito, sul muro dietro di lui si è disegnata una macchia rossa.

La ragazza è rimasta per un momento ferma, poi ha cercato di chiudere la finestra, ma io avevo già il suo viso dentro il mirino. L’ho colpita. Per qualche secondo il suo corpo è rimasto ancora in piedi, immobile.

Poi mi sono accorto che metà del suo viso non c’era più.

 

È rimasta aggrappata alla finestra con la mano, poi lentamente è caduta.

 

III

Buvadi è un personaggio a sé, un groviglio di contraddizioni. Mi fa pensare al monumento funebre a Kruscev: una metà è nera come la pece, l’altra bianca come il latte. Era filorusso già quando la Cecenia era una semplice regione sovietica e per i suoi servizi presso le squadre speciali (OMON) aveva ricevuto medaglie onorificenze e la promozione a tenente colonnello. Allo scoppio della guerra, era Vicecomandante degli OMON e combatteva contro i ribelli ceceni.

Buvadi era crudele. Diciamolo francamente: gli OMON sono gente che per lavoro spara e spara per uccidere. Anche lui ha rapito ceceni che non sono più tornati a casa, ha partecipato a torture e omicidi.

L’ultima volta che lo ho incontrato a Groznji stava mangiando una fetta di cocomero e intanto cercava di sottrarsi alle mie domande su un universitario ceceno rapito dagli OMON e svanito nel nulla. La madre stava battendo la Cecenia in lungo e in largo implorando chiunque incontrasse di parlare a Buvadi di suo figlio.

Ci provai anch’io. Ma Buvadi non aprì bocca. Che c’era da rispondere, era sparito un ragazzo, e allora. Poi, senza smettere di mangiare ammise: “Non aveva fatto niente, è vero…”.

Ma Buvadi sapeva anche essere delicato. A differenza dei suoi colleghi, cercava sempre di capire chi aveva nel mirino: e così ha salvato la vita a molti.

Poi, era famoso per aver salvato le vedove di combattenti musulmani che si preparavano a fare le shahid, le martiri kamikaze.

 

Per questo scopo erano già istruite, erano tute delle ragazzine, ma erano delle potenziali martiri fatte e formate. Buvadi se le prendeva e le portava a casa sua. Poi iniziava la sua opera di rieducazione. Tornando a casa la sera, passava le notti a parlare con loro.

“Perché l’ha fatto?” chiesi. “Avevano dei bambini. “Ospitava anche loro?” “Certo, tutti quanti. Volevo capire se potevano ancor educare i loro figli”. Nessuna di quelle madri è stata una causa persa. “All’inizio volevano solo immolarsi per i loro mariti. Non mangiavano, non guardavano neppure i figli. Se ne stavano lì, avvolte nei loro veli. Io parlavo, parlavo e dopo qualche giorno cominciavano a mangiare. Alcune si toglievano anche il velo e si facevano una treccia. Poi, cominciavano a giocare con i loro bambini. Quando erano guarite, cercavo i loro parenti, possibilmente in posti lontani, perché le accogliessero e potessero così abbandonare il loro villaggio”. “Ma perché si dava così tanto da fare?” “Ci pensi: alla loro età, andavamo ai campi dei pionieri, al cinema, a mangiare il gelato. Loro non hanno mai fatto niente del genere. Mi sentivo in colpa”.()

 

I primi due brani sono tratti da Nicolai Lilin, Caduta libera, Einaudi 2010. L’Autore racconta come ha vissuto la guerra in Cecenia facendo il cecchino in un gruppo d’assalto. Di Lilin, nato nel 1980 in Transnistria e trasferitosi nel 2003 in Italia è stato anche pubblicato Educazione siberiana (Einaudi 2009). Racconta Lilin in una intervista rilasciata a Roberto Saviano (la Repubblica del 3 aprile 2009): “Quando ero ragazzino scrissi un racconto metafisico e surrealista e lo inviai a Goffredo Fofi. Dopo qualche giorno mi arrivò un foglio di poche righe in una busta di carta riciclata: ‘Mi piace come scrivi, peccato che scrivi idiozie, ho visto da dove mi hai spedito la lettera. Affacciati alla finestra e raccontami cosa vedi. Poi rispediscimi tutto, e ne riparliamo’.

 

Da allora affacciarsi e vedere le cose mi sembra l’unico modo per poter scrivere parole degne di essere lette”.

Il terzo brano è tratto da Per questo di Anna Politkovskaja (Adelphi 2009), una raccolta di articoli, appunti, promemoria scritti tra il 1996 e il 2006 e  riuniti dai figli e dalla sorella della giornalista e dai suoi colleghi alla Novaja Gazeta, il giornale per il quale la Politkovskaja ha lavorato fino al 7 ottobre 2007, giorno in cui è stata uccisa. È un libro che racconta della Cecenia, di Beslan, della Dubrovka, di Mosca e che permette di comprendere da chi Anna è stata uccisa e perché: permette anche di comprendere chi sia davvero Putin e come operi il suo regime.

Buvadi è stato ucciso in uno scontro al confine con l’Inguscezia il 13 settembre 2006. X


POESIE DI JAROSLAV SEIFERT

 

Prima che asciughino

 

Prima che si asciughino quei due baci sulla fronte
ti chinerai per bere
acqua d’argento dallo specchio,
e se nessuno ti starà a guardare
ti toccherai le labbra con la lingua.

Forse stringerai tra le dita
i tuoi giovani capelli
e li solleverai sopra le spalle
perché sembrino ali,
e così correrai là
dove davanti ai tuoi occhi
sullo sfondo estremo
splende il grande e dolce nulla.

Rondò di primavera

Devi credermi, io sarei felice
se sorrisi mandassero i tuoi occhi
quando stasera dovrai ricucire
ciò che le mie mani ti hanno strappato.

Quelle mani che finora io sentivo
essere vuote senza i tuoi seni.
Tu devi credermi, io sarei felice
se sorrisi mandassero i tuoi occhi.

Quando poi starai per addormentarti,
il tuo sonno sia come quello di un re
che ha riconquistato il proprio castello

svettante sulla cima di una rupe.
Tu devi credermi, io sarei felice
se sorrisi mandassero i tuoi occhi.

 

Allora mi preparavo alla vita

Allora mi preparavo alla vita
e puntavo là dove
il mondo è più denso.
Sulle bancarelle della fiera ogni tanto
scrosciavano mazzi di rose,
come quando piove su un tetto di lamiera,
e le ragazze che passeggiavano
col fazzoletto nella mano impacciata
prodighe offrivano per ogni dove
i loro occhi splendenti
e le loro labbra seminavano nel vuoto
voluttà di baci futuri

Ho veduto solo una volta

 

Ho veduto solo una volta
un sole così insanguinato.
E poi mai più.
Scendeva funesto sull’orizzonte
sembrava che qualcuno avesse sfondato

la porta dell’inferno.
Ora so il perché.
L’inferno lo conosciamo, è dappertutto
e cammina su due gambe.
Ma il paradiso?

Può darsi che il paradiso non sia
null’altro
che un sorriso
atteso per lungo tempo,
e labbra
che bisbigliano il nostro nome.
E poi quel breve vertiginoso momento

 

quando ci è concesso di dimenticare
velocemente quell’inferno.

Jaroslav Seifert (Praga, 23 settembre 1901 – Praga, 10 gennaio 1986), poeta e giornalista, premio Nobel nel 1984. Ha scritto molte raccolte di poesie e racconti per bambini. Dopo la Prima guerra mondiale aderisce al Partito Comunista e dal 1923 al 1929 lavora per il quotidiano del partito Rudé Pravo. Nel marzo del 1929 sottoscrive il “Manifesto dei sette scrittori comunisti” con il quale contesta la nuova direzione stalinista del Partito Comunista della Cecoslovacchia e per questo viene espulso dal Partito.
Nel 1968 condanna l’invasione sovietica del suo paese. Nel 1969 è eletto presidente della commissione di riabilitazione della neofondata Unione degli Scrittori Cecoslovacchi, ma si dimette per protesta contro l’oppressione sovietica.

Durante gli anni Settanta le sue poesie circolano in edizioni clandestine e samizdat. Nel 1977 firma assieme ad altre cinquecento persone Charta 77 che avvia il movimento che porterà alla caduta del regime. Nel 1981 pubblica all’estero un libro con i suoi “ricordi”, Tutta la bellezza del mondo (Všecky krásy sveta), edita in Italia dieci anni dopo da Studio Tesi. Una poesia di Seifert è stata pubblicata nei Testi Infedeli dell’inverno del 2004. X


DUE BIOGRAFIE MINIME

 

Nel dicembre del 1630 Roger Williams, malvisto dalle gerarchie della Chiesa anglicana perché convinto che la Chiesa dovesse rimanere rigidamente separata dallo Stato e non dovesse controllare le opinioni religiose dei cittadini inglesi, lasciò l’Inghilterra diretto verso le colonie americane. Sbarcò a Boston nel febbraio del 1631 e il Governatore, informato del fatto che era un piantagrane contestatore, lo inviò lontano, a Salem, come precettore.

Anche lì ben presto le idee di Williams e in particolare la sua idea che la Chiesa non avesse il potere di punire o perseguitare coloro che non rispettavano i suoi dogmi, definendoli eretici, crearono seri contrasti con le gerarchie locali. All’ennesimo scontro, fu processato e condannato al rimpatrio in Inghilterra. Ma Williams fuggì prima di essere deportato e viaggiò da solo per  territori ancora inesplorati, popolati solo da tribù indiane. Fu ospitato per lungo tempo tra gli Indiani Pokanokets dei quali imparò il linguaggio.

Diversamente da tutti gli altri inglesi emigrati nella nuova colonia del Massachusetts, Williams riteneva gli indiani i legittimi proprietari di tutte quelle terre. Così, nel giugno del 1936, acquistò dalla tribù dei Narragansett un’area che chiamò Providence. Lì cominciò ad accogliere perseguitati  ed eretici che fuggivano dalle rigorose regole imposte dalle autorità ecclesiastiche del Massachusetts e stabilì che a Providence sarebbe stata sempre rispettata la libertà di coscienza (chiamata “la libertà dell’anima”) di ciascuno. Quando si rese conto che la piccola comunità di Providence sarebbe stata spazzata via dall’intolleranza religiosa dei ben più forti vicini, che mal sopportavano una comunità libera e tollerante ai loro confini, Williams decise di tentare il tutto per tutto e si recò a Londra.

 

Qui riuscì a ottenere nel 1644 dal Parlamento, per una serie di fortuite combinazioni e sfruttando antiche amicizie,  la concessione per costituire e mantenere una colonia dove la libertà di coscienza, di espressione e di coscienza fossero pienamente garantite.

Molti furono coloro che, fuggendo dalla repressione e dall’intolleranza, si trasferirono nella colonia. Nel maggio del 1647, i delegati di Providence e di altre città sorte nelle vicinanze istituirono il primo governo di quello che sarebbe divenuto il piccolo Stato di Rhode Island, garantendo le libertà civili e politiche di tutti i suoi abitanti.

Il 18 maggio 1652, Rhode Island approvò la prima legge in America del Nord che aboliva la schiavitù. A Providence approdò anche nel 1658 una nave con 15 famiglie ebree fuggite da Recife, poco prima della riconquista del Brasile da parte dei Portoghesi nel 1654. Williams morì all’inizio del 1684.

II

Ernesto Bonaiuti, sacerdote, fu il fondatore in Italia degli studi di storia del cristianesimo e della corrente modernista, ferocemente combattuta da Pio X, che richiedeva un profondo rinnovamento del cattolicesimo. Fu un maestro carismatico seguito da un folto numero di simpatizzanti. Per le sue critiche nei confronti della chiesa cattolica, venne colpito nel 1926 da una sorta di fatwa cattolica, la scomunica ‘vitando’, che proibiva a ogni credente di accostarglisi, per qualsiasi motivo”.

Nel 1928, “La Civiltà Cattolica” lo definisce: “Eretico dichiarato, modernista impenitente, autore di libri blasfemi, scandalosi e razionalistici, affetto dall’isterismo di un’indole femminile, peggiore di Marcione, ipocrita, spergiuro, vanitoso, superficiale, infelice apostata, incoerente”.

 

Agostino Gemelli, gesuita fascista e fondatore dell’Università Cattolica, precorrendo le tecniche staliniste, lanciò una campagna per attribuire la critica di Buonaiuti alle istituzioni ecclesiastiche a una malattia mentale.

Bonaiuti rispose definendo i gesuiti “fratelli gemelli del fascismo”.

Fu uno dei dodici (su 1200) professori universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo. Fu l’unico non reintegrato nel suo posto dopo la Liberazione: si piegarono vergognosamente alle pressioni del Vaticano i ministri dell’istruzione della Repubblica De Ruggiero, Arangio Ruiz, Molè, respingendo sempre senza motivo le sue istanze.

Ma le gerarchie ecclesiastiche non si accontentarono. Per quarant’anni usarono qualsiasi mezzo per impedirgli di parlare e di diffondere le sue idee: diffamazione, delazione, ricatto, minacce, complotti, giungendo a  una moderna forma di rogo dei libri, cioè l’acquisto dell’intera tiratura di un’opera per farla sparire dal commercio.

Queste le ultime parole di Bonaiuti morente: “Ho trascorso anni angosciosi, resi tanto più gravosi dai tentativi inumani compiuti intorno a me da altissimi dignitari ecclesiastici per indurmi a sconfessioni e a ritrattazioni… Ho resistito impavido. Ne sono fiero”.

 

Su Roger Williams si veda Edwin S. Gaustad, Liberty of Conscience: Roger Williams in America, Judson Press 1999 (l’edizione tascabile è del 2007). Su Bonaiuti si veda Giordano Bruno Guerri, Eretico e profeta. Ernesto Buonaiuti, un prete contro la Chiesa, Utet, Torino 2001 e, sul periodico Letture n. 514 del febbraio 1995, Le nostalgie di due esuli, di Lorenzo Bedeschi: viene presentato il carteggio inedito tra Bonaiuti e don Primo Mazzolari.    X

 

SEI POESIE ORTONIME DI FERNANDO PESSOA

 

I

 

Passi si muovono lentamente sull’erba

Mentre la luna appare e scompare.

Tutto è profumi e selva

Si sente qualcuno passare.

 

Passa, e la sua ombra lieve

Si muove con una lieve pressione sul terreno;

la luna la lascia intravedere

Con un pallido soffio leggero

.

È elfo, è gnomo. È fata

La forma che nessuno vede?

Ricordo: non era nulla.

E la nostalgia cresce

 

5\9\33

 

II

 

Sono triste non

Per ciò che c’è nel mio cuore,

ma pensando alle cose belle

che non ci saranno mai.

 

Sono le forme che non hanno forma

Che passano senza che il dolore

Le possa conoscere

O scoprire l’amore

Sono come se la tristezza

Fosse un albero e, una a una,

 

le sue foglie cadessero

tra il ricordo e la nebbia.

 

5\9\33

 

III

 

Mi soffermo a guardare ciò che non vedo

È sera, è quasi buio.

Quel che desidero dentro di me

Sta fermo davanti al muro.

 

In alto il cielo è grande,

sento gli alberi al di là

ed anche quando il vento s’acqueta

sento il fremito delle foglie.

 

Tutto sta dall’altra parte

Quel che c’è e quel che penso

E non c’è ramo che si muova

Che non sia immerso nel cielo immenso.

 

Si confonde così quel che esiste

Con ciò che dormo e sono.

Non sento, non sono triste,

ma triste e quel che sono.

 

7\9\33

 

IV

 

Che feci della vita? Che feci della vita?

Non so se ne feci qualcosa

 

Né so se quella speranza perduta

Fu raggiunta.

 

Perché è indefinito ciò che si possiede,

e nessuno mi dice

se è mio ciò che già possiedo

o se sono felice.

 

Nulla: un soffio di vento tra le foglie

Passa e invano

Medito o sogno

Se fu un soffio di vento o il cuore.

 

11\9\33

 

V

 

Tutto quel che faccio

Resta sempre a metà

Quando voglio, voglio l’infinito.

Quando faccio, nulla è verità.

 

Che nausea mi resta

Se guardo quel che faccio.

La mia anima è lucente e ricca,

e io sono come un mare denso di alghe

 

un mare ove fluttuano lentamente

frammenti di un altro mare al di là

volontà o pensiero?

Non lo so, o forse lo so bene.

 

13\9\33

 

VI

 

Viaggiare! Lasciare città e paesi!

Essere sempre un altro,

perché l’anima non ha radici

per vivere deve solo vedere.

 

Non appartenere neppure a me.

Andare avanti, oppure inseguire

L’assenza di un fine

E dell’ansia di raggiungerlo!

 

Viaggiare così è un viaggio

Ma lo faccio senza avere di mio

Altro che il sogno del passaggio.

Il resto è solo terra e cielo.

 

20\9\33

 

Fernando António Nogueira Pessoa (Lisbona, 13 giugno 1888 – 30 novembre 1935) è uno dei maggiori poeti portoghesi. Visse gran parte della sua giovinezza a Durban, in Sudafrica.Qui scrisse saggi, poesie e tradizioni in lingua inglese (a questo periodo risalgono le uniche opere pubblicate durante la sua vita, con l’eccezione del libro Mensagem). Rientra definitivamente a Lisbona nel 1905 dove rimarrà fino alla morte. Pochi mesi prima di morire scrisse: “Se dopo la mia morte volessero scrivere la mia biografia, non c’è niente di più semplice. Ci sono solo due date – quella della mia nascita e quella della mia morte. Tutti i giorni fra l’una e l’altra sono miei”.

Fin dalla giovinezza, crea personaggi cui attribuisce una propria biografia. Con uno di questi, scambia anche lettere per un lungo periodo di tempo.

 

Tuttavia, in una lettera del 13 gennaio 1935 Pessoa racconta che l’8 marzo 1914 è  “il giorno trionfale della mia vita: quel giorno gli compaiono davanti tre poeti, Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Alvaro De Campos: sono poeti fittizi, eteronimi di Pessoa (ma non pseudonimi, perche a ciascuno di essi Pessoa attribuisce una propria vita, una personalità autonoma, un proprio mondo poetico e una biografia). Accanto a questi, Pessoa crea molti altri eteronimi, poeti, romanzieri, scrittori, alcuni con una vita compiuta, altri solo abbozzata.

La scoperta di Pessoa in Italia risale nel 1967, anno in cui Luigi Panarese pubblica un libro ormai introvabile, Poesia di Fernando Pessoa (Lerici). Una completa raccolta delle Poesie ortonime (da cui ho tratto quelle qui prescelte), cioè delle poesie che Pessoa ha pubblicato con il proprio nome, è Il mondo che non vedo, a cura di Piero Ceccucci, Milano Rizzoli 2009, con testo portoghese a fronte e con una postfazione di Jose Saramago. Sul Corriere della Sera del 18.12.1994, a proposito del nuovo film Lisbon story, il regista Wim Wenders confessa a Fiorella Minervino “L’ho fatto per amore di Fellini e di Pessoa”. X

 

LIBRI DA LEGGERE

Fabrizio Dragosei, Stelle del Cremlino L’Occidente deve temere la nuova Russia?, Bompiani 2009.

Il libro, frutto di una lunga esperienza come corrispondente del Corriere della Sera in Russia, spazia dal 1999 a oggi (con importanti riferimenti all’epoca precedente).

La sola cronologia sarebbe sufficiente a fare del libro un utile punto di riferimento e uno strumento di lavoro indispensabile per coloro che si occupano della Russia contemporanea. In più però il volume ha il pregio di collegare gli avvenimenti che hanno trasformato e sconvolto la Russia nell’ultimo decennio a una ricerca delle dinamiche, delle ragioni e delle personalità che hanno guidato il paese.

 

Vasilij Aksenov, I piani alti di Mosca, Baldini Castoldi 2009.

L’azione si svolge tra il 1952 e il 1953 in uno dei sette grattacieli di Mosca, voluti da Stalin negli anni ’30: quello destinato a residenza dei benemeriti della patria socialista. I personaggi principali della fabula aksenoviana sono i benemeriti che abitano al 18° piano: uno scienziato che lavora in un segretissimo laboratorio nucleare, la moglie insegnante di storia dell’arte e attivista del partito, e la figlia, bellissima studentessa universitaria, leader della Gioventù comunista e entusiasta ammiratrice di Stalin; allo stesso piano viene ad abitare un poeta, eroe della guerra patriottica, spesso di notte chiamato al telefono da Stalin, che ammira i suoi versi e con lui beve vodka e conversa; vi capita di tanto in tanto un altro misterioso eroe sedicente ammiraglio. Ma niente è come sembra e tutto cambia.

 

Varlam Šalamov, Alcune mie vite. Documenti segreti e racconti inediti, a cura di Francesco Bigazzi, Sergio  Rapetti e Irina Sirotinskaja, Mondadori 2009.

E’ la raccolta di documenti sui tre processi subiti da Šalamov: il primo nel 1929, a ventidue anni, accusato di essere “elemento nocivo” per essersi opposto al crescente strapotere dell’apparato burocratico del partito unico, il secondo nel famigerato 1937, con una condanna a cinque anni di deportazione alla Kolyma come  controrivoluzionario” e il terzo nel 1943 con una terza condanna a dieci anni di lavori forzati. Nel volume, oltre ai ricordi di Šalamov stesso relativi ai processi, c’è un dossier delle lettere delatorie sullo scrittore. Un tassello fondamentale per conoscere il sistema del Gulag.

 

Charles Seife, Sun In The Bottle, Penguin 2009

Subito dopo la scoperta – per ragioni belliche – dell’immenso potere della fissione nucleare che ha portato alla realizzazione delle prime bombe atomiche (e alla distruzione di Hiroshima e Nagasaki), gli scienziati hanno compreso che ben più potente della fissione sarebbe stato il processo inverso: non la disgregazione di nuclei di elementi pesanti quali l’uranio o il plutonio, ma la fusione di nuclei di idrogeno. Si trattava, in pratica, di riprodurre il processo che si verifica nel Sole. Il sogno di mettere il sole in bottiglia e di usarne il potere per scopi bellici e per scopi pacifici ha caratterizzato tutta la seconda metà del secolo scorso. E sembrava sempre lì lì per realizzarsi

È un sogno che tuttora perdura: è attualmente in corso di costruzione ITER, un reattore termonucleare sperimentale che dovrebbe permettere di realizzare la fusione nucleare, forse, verso il 2040. L’autore, un ex giornalista di Science ora docente di giornalismo scientifico alla New York University, descrive, offrendo in modo piacevolmente comprensibile tutte le informazioni di carattere tecnico e scientifico necessarie, una storia per lo più sconosciuta.

Si legge così dei micidiali progetti di superbombe (sostenuti negli Stati Uniti da Edward Teller, il prototipo del kubrickiano dottor Stranamore) che hanno condotto al susseguirsi di esperimenti nucleari sempre più devastanti, delle promesse di successi scientifici sempre regolarmente smentite da clamorosi fallimenti e cocenti delusioni, delle strampalate frodi e dirompenti scandali scientifici, dei giganteschi investimenti pubblici per realizzare macchine sempre più sofisticate, potenti e assolutamente inutili. È una storia che  ricorda il sogno di molti regnanti del XV e XVI secolo – primi fra tutti Cosimo I de Medici e Rodolfo II d’Absburgo –  di mettere in bottiglia le forze elementari della natura riproducendo mediante processi alchemici l’oro, o l’elisir di lunga vita. Un ottimo libro di indagine e giornalismo scientifico.

 

Magda Szabò, Per Elisa, L’Anfora ,2010.

L’ultimo e forse il più bello dei libri della grande scrittrice ungherese. È  la storia di una ragazzina, Magda stessa, troppo intelligente e ricca di immaginazione per adattarsi al mondo che la circonda. Il romanzo è anche tante altre cose (la storia dell’Ungheria ferita dal Trattato del Trianon, la storia di Magda a scuola, di Gesù al centro ittico di Hortobágy…), ma soprattutto è il libro di una perdita, quella di Cili, la sorella morta, il libro di un amore che non si rassegna all’oblio; e che fa fronte alla morte con la risorsa inesauribile della memoria.

 

Yu Hua, Brothers, Feltrinelli 2008 e 2009

Castigat ridendo mores. Così si può dire di questo grande romanzo che racconta prima la storia della rivoluzione, “culturale” per antifrasi, raccontata attraverso la vita di due straordinari ragazzini presto orfani di entrambi i genitori, poi quella della Cina del boom capitalistico vissuta dagli stessi protagonisti qualche anno dopo. Le tragedie del comunismo e del capitalismo vengono raccontate con ironia e stile pantagruelico da Yu, una specie di Fellini cinese, che narra, con la stessa inesauribile energia del suo popolo, la pietà ed il dolore, la follia ed il trionfo del nuovo mondo visto con gli occhi di due fratelli. In più, ci sono figure indimenticabili e brani di grande intensità epica.

 

Lucio Villari, Bella e perduta – l’Italia del Risorgimento, Laterza.

È un libro di storia sul periodo che va dalla fine del ‘700 agli anni ’70-’80 del secolo successivo. Non è difficile da leggere anche se l’argomento è impegnativo. Ricostruisce la storia delle nostre origini, collocandola nel contesto europeo. Delinea posizioni e interessi, descrive emozioni e passioni. Vi incontrate i nomi di chissà quante vie di centro e dintorni, dedicate a tanti che hanno contribuito a fare l’Italia e dei pensieri e delle azioni di molti dei quali non si conosce quasi più nulla. E’ un aiuto importante per capire il presente.

 

Tonino Guerra, La valle del Kamasutra, Bompiani.

Enzo Biagi, Consigli per un Paese normale, Rizzoli.

Salvatore Giannella, direttore dell’Europeo (1985) e di Airone (1986-1994), coltiva un sogno: che l’Italia, prima potenza culturale (virtuale) del pianeta, possa tornare a volare alta nel cielo del successo grazie alle ali della poesia e della Costituzione. Si spiegano così i due volumi che ha curato raccogliendo il meglio della vena creativa di Tonino Guerra, il poeta e sceneggiatore romagnolo definito dalla Morante “l’Omero della civiltà contadina”, e il meglio dei suoi dialoghi avuti in quattro anni con Biagi, maestro di giornalismo che nell’ultimo periodo della sua vita andava a caccia di “eroi normali” e indicava una bussola da seguire: attualissima.

 

Antonio Calabrò, Cuore di cactus, Sellerio 2010.

Libro autobiografico/documento/testimonianza. Una sorta di “diario in pubblico”:   il giovane Antonio, cronista de L’Ora di Palermo – gloriosa testata di battaglie contro mafia e scandali –  man mano che il tempo passava ne aveva viste tante. E troppe diventano quando viene ucciso il commissario Ninni Cassarà, per lui assai più di un amico. “Non avevo fratelli maggiori, solo una sorella minore. Ma nei momenti più difficili m’ero scelto come fratelli degli amici di qualche anno più grandi. Ninni era uno di loro”. E così Antonio lascia Palermo e si trasferisce a Milano, in cerca di una nuova dimensione di mestiere e di vita. Ogni pagina, ogni riga, ogni parola è scritta con meravigliosa cura, verrebbe da dire con esattezza chirurgica.

 

Ward Just,  Exiles in the Garden,  Houghton Mifflin Harcourt 2009.

È la storia di Alec Malone, per il quale la politica non aveva alcun interesse, e del  padre, 95 anni, senatore per 45 anni di fila, per il quale  la politica era tutto. Il giovane Malone non segue le orme del padre ma se ne sta a Washington dove sposa una ragazza svizzera che, dopo poco, lo lascia e se ne torna in Europa. Ma, più che i fatti, ciò che conta è la descrizione della vita degli abitanti dei ricchi sobborghi delle città americane. Come in tutte le opere di Ward – un autore ancora non conosciuto in Europa – anche questo romanzo (il sedicesimo) è una finestra sulla vita degli Americani e degli europei che emigrano negli Stati Uniti. Un racconto “ingannevolmente tranquillo” secondo il Washington Post per il quale è il suo romanzo migliore insieme a A Family Trust del 1978 e An Unifinished Season del 2004.

 

Le recensioni sono di Pasquale Pasquino, Gherardo Colombo, Augusto Bianchi, Daniela Barsocchi (dal cui periodico on-line Sfogliando la Russia ho utilizzato le recensioni di Cristina Lopez Alessandro Vitale e Fausto Malcovati), Joseph Dimento e Stefano Nespor. X

 

 

PER NON DIMENTICARE

 

S

i è appurata una evidente distonia nel circuito valutativo a livello centrale e periferico che è stata fondata distintamente nelle fasi della concessione e della revoca delle misure di protezione su parametri non omogenei il che ha prodotto risultati disomogenei.

 

Dichiarazione ufficiale del Ministro dell’interno Scajola sulle ragioni per le quali è stata negata la scorta al prof.Biagi, 2002. X


Questo trentottesimo volume dei Testi Infedeli è stato stampato nel giugno del 2009 in duecentocinquanta copie non numerate e fuori commercio da Compostudio s.r.l. di Cernusco sul Naviglio, Milano. Come sempre, ho liberamente e infedelmente tradotti e talvolta riscritti quasi tutti i testi; spesso è stato rispettato – non sempre integralmente – il pensiero dell’autore. Il volume non sarà più inviato a chi non ne accusa ricevuta per due volte consecutive. I Testi Infedeli escono dal 1989. I fascicoli apparsi a partire dal 1992 possono essere letti nel sito www.stefano.nespor.it, curato e aggiornato da Stefano Rossi.

Ringrazio coloro che hanno collaborato alla sezione dedicata ai libri da leggere e inoltre Salvatore Giannella, Marina Nespor, Pasquale Pasquino, Christine Schonbauer per i suggerimenti e per la revisione.