N. 4 – 1992

Sopravviverà l’Italia?

Lo stato italiano esiste da poco più di centotrent’anni. Esiste quindi da molto meno – solo per fare qualche esempio – di Francia, Gran Bretagna, Thailandia; da meno tempo anche degli Stati Uniti (che pure gli italiani sono avvezzi a considerare uno stato appena nato); esiste, invece, da più tempo di alcuni stati dell’Europa centrale e di molti stati sudamericani e africani.
Pur essendo relativamente giovane, è uno stato che già lotta per la sua sopravvivenza. Certo, per gli stati l’età ha un peso relativo: ce ne sono alcuni assai giovani – per esempio, la Jugoslavia e la Cecoslovacchia – che la maggior parte dei suoi abitanti è stata felice di estinguere; ce ne sono altri assai vecchi – per esempio, la Svizzera – i cui abitanti sono convinti che non possa mai finire.

Se si ricorda che sono scomparsi anche stati considerati immortali – l’impero romano o quello egizio o quello mongolo – non si trovano validi motivi per escludere che l’Italia – sorta sicuramente con minori pretese – possa presto estinguersi. Se poi si ritiene che uno stato esista per fare il benessere di tutti (o quasi tutti) quelli che ci abitano (e non viceversa), la scomparsa dell’Italia potrebbe anche non lasciare un vuoto incolmabile.

C’è appena stato un presidente della repubblica che contemporaneamente partecipava attivamente all’attività di un gruppo clandestino, organizzato e finalizzato all’eversione della repubblica. C’è appena stato un presidente del consiglio, oggi senatore a vita per i suoi meriti (e solo per caso non attuale presidente della repubblica), che, nello stesso tempo, è stato anche il garante clandestino della tutela e dell’incolumità della mafia e della sua organizzazione criminale. Ci sono governanti e dirigenti dei principali partiti politici della maggioranza e dell’opposizione che hanno costituito una associazione a delinquere finalizzata a dirottare nelle proprie tasche denaro pubblico e privato Ci sono dei generali (dell’aeronautica, ma questo è un fatto puramente casuale) che, mentre parlano di onore nazionale, di bandiere e di cose simili, sono, in realtà, una banda (ovviamente armata) di incalliti bugiardi, impegnata a proteggere a ogni costo gli interessi di uno stato estero. Poi, c’è una moltitudine di industriali perennemente in crisi e perennemente sovvenzionati dallo stato, di finanzieri predoni e sovversivi (che si riproducono incessantemente, nonostante avvelenamenti e autoimpiccagioni), intorno ai quali roteano nugoli di portaborse altezzosi e meschini (invariabilmente peggiori dei padroni della borsa che portano, come è ogni servo che vuole imitare il padrone) e sciami di commercianti e professionisti egoisti, ladroni e evasori.

Questa non è la cupola criminale (composta di subcupole mafiose, politiche, finanziarie, militari) che esiste oggi in Italia; è la cupola criminale per la quale l’Italia esiste. E per la quale sempre è esistita. Perché è davvero difficile trovare un momento diverso nel breve tragitto storico di questo paese.

Un paese assemblato, utilizzando gli ideali e le vite di molti, per soddisfare gli interessi espansionisti di un re rozzo e ignorante (interessato solo a vini, pernici e donne, anche se non necessariamente in quest’ordine) e trasformato dalla successiva mitologia savoiarda in un improbabile Re Galantuomo e il successo di questo progetto iconografico non può che sollevare tristi pensieri sulla concezione del galantuomo diffusa nel paese. Un paese costruito con l’uso intensivo del broglio elettorale, realizzando improbabili plebisciti con i quali uno staterello reazionario ha esteso progressivamente le sue leggi e soprattutto i suoi eserciti, distruggendo anche quel poco di buono che i vecchi padroni avevano lasciato. Un paese sublimato dalla mitologia di una Grande Guerra, voluta dalla rapacità di industriali, banchieri e militari, con la quale è stato realizzato con noncuranza un genocidio di mezzo milione di giovani per la conquista di territori che sarebbero comunque arrivati con la pace. E si può assai agevolmente continuare.

In definitiva, uno stato progettato per le cupole italiane e straniere, talvolta scalfito dall’improvviso emergere della coscienza dei problemi e dei bisogni della collettività, ma solo per qualche attimo. Uno stato la cui scomparsa non dovrebbe destare molti rimpianti.

L’unica cosa che può tenerlo insieme e può rendere sopportabile l’idea di convivere con le cupole non è certo la speranza di poterle eliminare. E’ la certezza che i vari prodotti della sua disgregazione, che già si profilano cupamente all’orizzonte, saranno tutti assai peggio della loro somma attuale: tutto sommato, meglio continuare a lottare contro le cupole che cominciare a lottare contro il razzismo, il nazionalismo regionalistico, la cupidigia accumulativa.

Oppure, è la consapevolezza che, unito, questo paese raggiunge risultati insperabili. Per esempio, nel corso del 1991, l’Italia ha sfondato il tetto dei 100 veicoli per km di strade, stabilendo un record che si pone sicuramente al limite delle possibilità umane. Più precisamente, il record stabilito è di 101,1 autoveicoli per ogni km. di strada. Le concorrenti più pericolose, Germania e Gran Bretagna, sono state distaccate vistosamente: la Germania non ha superato infatti i 68 veicoli per km., la Gran Bretagna si è fermata a 74,2. Tutti gli altri paesi, almeno per molti anni, sono da considerare fuori gara: la Francia ha 35,8 veicoli per km. di strade, la Svizzera 47, gli Stati Uniti 30.

Anche questa volta seguono alcuni testi, infedeli riproduzioni degli originali.

Stefano Nespor

Due poesie di Erich Fried

I bambini e la sinistra

Chiunque dica ai bambini
devi avere pensieri di destra
è uno di destra
Chiunque dica ai bambini
devi avere pensieri di sinistra
è uno di destra
Chiunque dica ai bambini
non c’è nulla a cui pensare
è uno di destra
Chiunque dica ai bambini
è indifferente ciò che si pensa
è uno di destra
Chiunque dica ai bambini
ciò che lui stesso pensa
e magari dice anche
se quello che dice potrebbe essere sbagliato
forse è di sinistra.

Con

Doveva essere ormai molto tempo
che si era fermato lì
ad aspettarla
Era divenuto vecchio
ma quando gli chiedevano
che cosa volesse fare
rispondeva sempre:
In fondo, sono appena arrivato
aspetterò ancora un po’
lei deve aver fatto tardi.

Avrei potuto
camminare ancora
per molto tempo
ma avevo sete e bisogno
che qualcuno si occupasse di me
ecco perché da settimane ormai
mi sono fermato qui
Fino a questo momento
sono solo.

da ERICH FRIED, Liebesgedichte e Es ist was es ist, Klaus Wagenbach 1979 e 1983.

Una poesia di Eugene Guillevic

Dialogo nel futuro

Uno dice:

Che strano deve essere stato
quando ancora si moriva
di peste e di scarlattina
di TBC di sifilide e di cancro
di infarto e di apoplessia
come animali.

L’altro gli chiede:

Animali,
dimmi, che cosa erano?

Da (EUGENE) GUILLEVIC Autres. Poèmes 1969-1979 e Avec, Gallimard 1980 e 1966.

Il leone e la gazzella

I

Nel deserto vivono un leone e cento gazzelle. Il leone è sdraiato, all’ombra di un albero, nei pressi di una pozza d’acqua, l’unica acqua del deserto, e attende. Le gazzelle di giorno girano per il deserto in cerca di cibo, poi, alla sera, si recano alla pozza per bere. Quando ha fame, il leone balza su una gazzella, la sbrana, e si procura così il cibo necessario per i giorni che seguono.

Le gazzelle sono l’unico cibo che il deserto gli offre. Le gazzelle sanno che vicino all’acqua, sotto l’albero, c’è il leone; sanno che ogni tanto una di loro viene sbranata; sanno anche che è molto probabile che, prima o poi, tutte siano mangiate dal leone. Ma per non morire di sete non possono fare a meno di recarsi alla pozza per bere.

Le gazzelle pensano che la loro vita dipenda dal leone. Il leone pensa che la sua vita dipenda dalle gazzelle. Nè le gazzelle nè il leone sanno che la loro vita dipende dalla pozza d’acqua.

II

Le gazzelle considerano il leone come un animale cattivo, unica causa della loro infelicità. Non pensano che il leone è anche la causa del loro benessere: se il leone non ci fosse, o se decidesse di mangiare di meno, le gazzelle aumenterebbero di numero, il cibo disponibile nel deserto e l’acqua della pozza presto finirebbero, e tutte sarebbero condannate a morire di fame e di sete.Quindi, le gazzelle dovrebbero temere non solo che il leone diventi troppo cattivo, ma anche che diventi troppo buono.

Il leone considera le gazzelle come le sue vittime predestinate, ma anche come il suo unico patrimonio, che deve essere custodito con cura: per non morire di fame, deve vigilare sempre che non diventino nè troppe, nè troppo poche

III

Un giorno, le gazzelle decisero che non era giusto lasciare che il leone scegliesse le proprie vittime e pensarono di chiedergli di rispettare una graduatoria che loro stesse avrebbero predisposto.

Prima di andare dal leone per raggiungere un accordo, però, decisero di stabilire un criterio per la predisposizione della graduatoria. Alcune proposero di adottare dei criteri meritocratici e, poiché il merito per le gazzelle sta nella velocità, proposero delle gare di corsa mensili: le perdenti sarebbero state poste in testa alla graduatoria delle vittime. Ma altre, più attente alle problematiche etiche, affermarono che questo criterio non era affatto meritocratico, ed era sommamente ingiusto: poiché la velocità è per le gazzelle un dono della natura, che merito avevano le gazzelle veloci per essere veloci? E lo stesso valeva, naturalmente, per l’agilità o la destrezza. Al contrario, le gazzelle più lente o meno agili, proprio perché sfavorite dalla natura, avrebbero dovuto essere maggiormente tutelate, e non sacrificate al leone.

Se si voleva usare un criterio meritocratico, continuarono le gazzelle portate all’etica, si sarebbero dovute privilegiare quelle di loro che sviluppavano abilità e conoscenze estranee alla loro specie: ad esempio, la forza, la riflessione filosofica, la crudeltà o addirittura doti considerate di nessuna utilità come l’intelligenza. Ma in questo modo, osservarono le gazzelle più tradizionaliste, alla fine sarebbero rimaste solo gazzelle che non avevano più niente delle gazzelle. Che merito c’era nell’avere doti che snaturavano l’intera specie?

Altre ancora pensavano che si dovesse tener conto dell’età; ma non riuscirono a decidere se in cima alla graduatoria andavano messe le gazzelle più giovani, o quelle più vecchie. Altre proposero di tener conto del numero dei componenti di ciascuna famiglia, in modo che non capitasse che dei genitori fossero privati dell’unico loro figlio e quindi, spesso, della loro fonte di sostentamento. Ma questo criterio, opposero alcune gazzelle che si erano occupate di statistica demografica, era punitivo per coloro che più contribuivano al benessere del branco riproducendosi, e avrebbe incoraggiato l’introduzione di mezzi per il controllo delle nascite, con gravi danni, nel lungo periodo, per la collettività.

Alla fine, vista la difficoltà di trovare un criterio, alcune proposero di tirare a sorte: affidare l’individuazione delle vittime al caso era il sistema più imparziale e più equo. Ma, a questo punto, ci si accorse che non c’era molta differenza tra il tirare a sorte e lasciare la scelta al leone. Anzi, il sistema di scelta affidato al leone, osservarono alcune gazzelle portate alla riflessione teorica, poteva definirsi un sistema a casualità temperata: contava sì il caso, ma, in qualche misura, contavano anche la velocità, l’agilità, la destrezza, l’età.

Così, decisero che il sistema migliore era quella di lasciare la scelta delle vittime al leone.

Gli esploratori

Gli esploratori arriveranno
in pochi minuti
e troveranno questa isola.
E’ un’isola minuscola,
rocciosa, con spazio
solo per qualche albero e un sottile
strato di terra: poco più
grande di un letto.
E’ questa la ragione per la quale
nessuno l’ha scoperta
fino a oggi.

Ecco, le loro barche si avvicinano,
le loro bandiere sventolano,
si sente già lo sciacquio dei remi nell’acqua.

Faranno festa
e lanceranno grida di gioia, accorgendosi che c’era ancora qualcosa
che non era già stata scoperta prima,

anche se su quest’isoletta non si potrà stabilire
molto di più che un avamposto:
c’è ben poco da esplorare;

ma loro resteranno comunque sorpresi

(noi non possiamo vederli;
ma sappiamo che stanno per arrivare, perché arrivano sempre
qualche minuto troppo tardi)

(loro non saranno in grado di dire quando noi naufragammo qui, o perché,
e neppure, esaminando queste
ossa rosicchiate,
chi di noi è sopravvissuto all’altro)

davanti ai nostri due scheletri.

Da WILLIAM NKRUMA, Animals, Vankoeman, Windhoek 1990.

 

Due proverbi haoussa

L’uomo sincero deve sempre girare con un buon cavallo per fuggire dopo aver parlato.

E’ più difficile mangiare una lepre di un elefante.

Una poesia di Margaret Atwood

I coloni

Un attimo dopo che
la prima barca toccò la riva,
ci fu un rapido battibecco
secco come una lama
poi la terra fu assegnata

(naturalmente, non c’era
neppure una spiaggia: l’acqua si trasformava
in terra perché si riempiva di detriti: catturati e conservati)

e, per ci che riguarda noi, andati alla deriva
inseguiti dagli squali
per così tanti verdeggianti
secoli prima che loro arrivassero:
ci trovarono sulla terra, distesi
in un solco roccioso,
che sembrava indicare il confine della nostra isola.

Le nostra ossa
ormai disarticolate (così mescolate da apparire una sola
carcassa)
furono ritenute ossa di lupi.

Ci hanno interrato
dentro massicci blocchi di granito
dove le nostre ossa rivivono,
e vengono fuori alberi e
erba.

Silenziosi,
noi siamo i laghi salati
che tengono insieme questa terra.

Ora i cavalli pascolano
dentro questi steccati, e

i bambini corrono ridendo
(senza sapere verso
dove) attraverso i campi delle nostre mani aperte

Da MARGARET ATWOOD,The Circle Game,1966, in Selected Poems 1965 – 1975, Houghton Mifflin Company, Boston 1976.

Cinque poesie di Valerie Braun

Il suo amore

Quando chiedevo amore
lui diceva calma
certo che ti amo, per favore passami il pane tostato.

Immagina

Immagina
che il volo di un uccello
ci inviti a partire
e che io ti domandi
di penetrargli dentro
per volare con lui
attraverso la tua penombra.
Immagina
che vicino a te i miei giorni
scorrano troppo veloci
e che io ti domandi
di trasformare il mio tempo
nel tempo di un albero
che non ha fretta di fiorire.

Nemici

Quelli già distrutti dalla vita
che pongono sempre nuove domande
senza sapere la risposta
a domande mai poste.

Quelli che passano la loro vita
ricordando con gioia
la vita mai davvero vissuta.

Quelli che sono anche disposti
a rinunciare alla loro vita
per non dover vedere
per che cosa e contro che cosa vivono.

E quelli che invece ancora sperano ogni mattina
senza curarsi del presente e del passato
sempre esposti a ogni menzogna e ogni delusione.

Questi sono i miei fratelli e le mie sorelle.

Questionari

Prima di nascere
quando hai scelto il tuo colore
che cosa ne hai fatto degli altri?
Se Dio esistesse
e esistesse solo di giorno o di notte
quando preferiresti restare sveglio?
E quando preferiresti sognare?

Riluttanza

Continuerò a controllare ciò che ho da mostrare e da dire
finché tu non avrai deciso di conoscermi bene;
ma le parti buie di me, e le mie ferite
quelle mai, mai te le lascerò vedere.
Penso che se tu mi vedessi dentro
se ti aprissi tutto il mio cuore e la mia anima
scopriresti tanta pena e tanto dolore
che scapperesti via e ameresti un altro
Ma se un giorno mi accarezzerai
e vedrai il mondo come lo vedo io
forse socchiuderò il mio cancello
e tu potrai fare un giro qui dentro.

Da VALERIE R. BRAUN, Tilting Windmills, Moonsnail Enterprises, Irvine Cal 1991.

Due proverbi sessouto

La saggezza non vive in una sola casa.
Chi vuole bastonare il proprio cane trova sempre un bastone.

Una poesia di Blaise Cendrars

Sogno

Io dissi
“aspetta”
la morte chiese
“perché aspetta?”
io non trovai una risposta
la morte scosse la testa
lentamente si allontanò
nell’ombra.
Perché aspetta?
Amore,
mi sai dire tu una risposta?Io dissi
“aspetta”
la morte chiese
“perché aspetta?”
io non trovai una risposta

 

 

Questo quarto volume di Testi infedeli è stato stampato in 300 esemplari fuori commercio nel novembre del 1992, come sempre da Rolando Motta nella tipografia Bianca & Volta in Trucazzano.