N. 11 estate 1997

Il Diavolo a Torino

Torino è la città prediletta dal Diavolo. Da questo punto di vista, e’ una delle citta’ piu’ pericolose d’Italia, e forse del mondo: migliaia e migliaia di torinesi subiscono annualmente danni fisici o psichici di origine diabolica, anche se i dati non risultano dalle statistiche ufficiali della criminalita’, sol perche’ il Diavolo, non essendo un essere umano, non e tecnicamente un criminale.
Proprio per questo, tenuto conto dell’inerzia delle pubbliche autorita’, la diocesi di Torinoo si e’ fatta carico del problema: oggi sono in forza ben sei eorcisti ufficiali a tempo pieno (piu’ che a New York che ha una popolazione venti volte superiore).
Non e comunque facile ottenere un appuntamento: la richiesta e’ enorme e da un lato la ben nota mancanza di mezzi finanziari delle istituzione ecclesiastiche, d’altro lato la carenza di professionisti adeguatamente preparati (gli esorcisti di talento sono pochi e vengono prenotati e assubti molto tempo porima della conclusioone dei loro studi) fa si che la popolazione torinese debba fronteggiare l’emergenza diabolica con le poche forze che la diocesi e’ in grado di offrire.
E’ stato cosi’ previsto uno screening preliminare di tutti coloro che si sentono vittime dell’influsso del Maligno: per ottenere un appuntamento con l’esorcista e’ necessario un apposito attestato, rilasciato da un parrocco o da persona abiliata, che certifichi l’eefetiva condizione di indemoniato del richiedente.
Purtropppo chi non riesce ad ottenere il certificato deve cavarsela da solo, e con il Diavolo, come si sa, non e’ sempre facile. Molti ricorrono al mercato nero di praticoni e esorcisti non ufficiali, spesso pericolosi e non controllabili.
Chi invece ottiene il certificato, viene ammesso all’esorcismo, erogato quotidianamente, salvo il giovedi’ e le feste, presso la Diocesi. Si tratta di una pratica generale e collettiva, una cura generale, un po’ come l’aspirina: serve nella maggior parte dei casi, costituiti da indemoniati non cronici e non gravi.Per i casi piu’ gravi, sono invece necessari riti specifici e calibrati individualmente.
Il Diavolo, come e’ noto, ama non solo impossessarsi delle anime dei cristiani, ma anche distruggere i luoghi di culto sacri per il Cristianesimo. E’ per questo che molti hanno subito sospetta che ci fosse una sua resposabilita’ dietro il rogo del Duomo di Torino che ha minacciato di distruggere quella importantissima reliquia che e’ la Sindone (poco importa che sia un bidone medioevale, come il sangue di San Gennaro: come per la fede, anche nel mercato delle reliquie, vale la massima che l’importante e’ crederci). Questa possibilita’ pero’ esclusa da Don Giuseppe Capra, uno dei sei esorcisti Diocesani torinesi: “L’incendio della cappella del Guarini non e’ certamente opera diretta del Diavolo” ha dichiarato a Elisabetta Rosaspina, inviata del Corriere della Sera. E il lettori di questo illustre quotidiano hanno sicuramente tratto un sospiro di sollievo, e sono stati in grado di dare una risposta rassicurante ad amici e conoscenti che inutilmente ricercavano informazioni serie e attendibili su altri quotidiani dotati di pari autorevolezza e prestigio internazionale (nulla, a questo proposito, e’ stato scritto, per fare solo alcuni esmpi, sul New York Times, su Le Monde o sulla Frankfurter Allgemeine).
Le parole di Don Capra vanna pero’ lette con attenzione: il fatto che l’incendio non sia opera diretta del Diavolo, non vuol dire che il Diavolo non c’entri. Precisa l’esorcista: “Satana non appicca mai direttamente il fuoco, e non si occupa di colpire direttamente i luoghi sacri. Satana consiglia il male all’uomo”. E’ chiaro quindi che, nonostante le rassicuranti dichiarazioni ufficiali, ci sono pesanti sospetti negli ambienti ecclesiastici sul fatto che proprio Satana sia stato il mandante del rogo che ha distrutto la Cappelle del Guarini e abbia tentato di bruciare il Sacro Lenzuolo.
Ma, tutto sommmato, su una almeno indiretta responsabilita’ del Diavolo per il rogo ben pochi hanno avuto dubbi. La notizia che davvero ha dell’incredibile e’ un’ altra: secondo voci non confermate, sembra che non sia estraneo all’esecuzione dello spregevole crimine Leonardo Marino, il ben noto pentito del caso Calabresi.
Non sappiamo quali elementi siano nelle mani degli investigatori; tuttavia, molte circostanze conducono a ritenere che Marino abbia partecipato all’operazione quale autista. Prima di tutto egli, come e’ noto (e come ha ricordato la Corte III d’Assise di Milano) ha compiuto gli studi dall’infanzia fino alla terza media proprio a Torino, in un istituto di Salesiani (sentenza, pag.132), e risulta aver visitato molte volte la cappella ove era conservata la Sindone: pertanto, era a perfetta conscenza della topografia del luogo. A cio’ va aggiunto che – come evidenziano i giudici della Corte di Assisi di Apprllo – Marino e’ persona portata al rimorso, alla delusione e al risentimento. Sono questi aspetti del suo carattere che lo hanno indotto, dopo diciotto anni, abbandonato dai suoi vecchi compagni di lotta e deluso nelle speranze di rivoluzione, a quello che la sentenza definisce “un riavvicinamento alla religione di carattere mistico” (sentenza, pag.188) e, cosi’, a “confessare” la propria partecipazione all’omicidio del commisario Calabresi, indicando quali coautori e mandanti Sofri, Pietrostefani, e Bompressi.
Ebbene, sempre per questi aspetti del suo carattere, esmbra ben probabile che Marino, dopo aver contestato che nessun beneficio materiale o morale aveva tratto neppure da quest riavvicinamento mistico alla religione, vistosi abbandonato sia da don Regolo Vincenzi, il parrocco di Bocca di Magra cui inizialmente si era rivolto per raccontare la sua storia, sia dai Carabinieri con i quali aveva convissuto quasi tre settimane per metterla a punto, sia dal Pubblico Ministero e dai giudici che, con acrobatici sforzi, lo hanno qualificato come persona sincera e credibile, abbia cominciato a covare delusione e risentimento nei confronti del Cristanesimo e rimorso per essersi fatto trascinare, spinto da una crisi mistica, alla “confessione” dell’omicidio. Cosi’, alla fine, Marino ben potrebbe essersi rivolto al Diavolo (che forse aveva gia’ avuto modo di incontrare nella sua infanzia torinese) es essersi lasciato convicere a compiere questa efferata azione delittuosa, in un secondo tentativo di purificazione e di catarsi. E’ noto del resto che “i sentimenti di rimorso e il desiderio di emenda sono radicti nelle coscienze della nostra gente da duemila anni di pratica religiosa cristiana” (sentenza, pag.131): ma non va dimenticato che di questi sentimenti, da duemila anni, anche il Diavolo cerca di trarre profitto.
Se e’ cosi’, se l’ipotesi della partecipazione di Marino al dilettuoso rogo e’ fondata, non bisogna agitarsi. Basta aspettare qualche anno il pentimento di Marino e la verita’ verra’ inesorabilmente a galla.

S.N.

La storia del piccolo Usignolo

Era primavera e gli usignoli cominciavano a cantare. Il Cacciatore usci’ con le sue trappole, e, in ub sol giorno, catturo’ molti usignoli; li porto’ tutti nella sua casa e li richiuse nella grande voliera. D’ora in poi, canterete per me, disse.
Alcuni usignli morirono quasi subito. I sopravissuti, terrorizzati, rimasero muti per qualche giorno, poi, timidamente, cominciarono a cantare, un po’ nella speranza di ingraziarsi il Cacciatore, un po’ perche’ proprio non potevano fare a meno di cantare in primavera. Solo uno, il piu’ piccolo, si manteneva muto: perche’ non riusciva a cantare se non si sentiva libero, per protestare contro l’ingiusta prigionia, e anche perche’ sperava che il cacciatore, vista la sua inutilta’, lo avrebbe lasciato andare.
Passavano i giorni. Gli usignoli, ormai definitivamente rassegnati alla loro condizione, lanciavano i loro canti notturni sempre piu’ melodiosi: nessuno avrebbe potuto capire che non erano liberi nei boschi, ma prigionieri nella voliera del Cacciatore. Solo il piccolo usignolo rimaneva ostinatamente in silenzioso.
Poi, dopo molto tempo, una notte, resosi conto dell’inutilita’ della sua protesta si arrese e comincio’ a cantare. Forse, penso’, se cantero’ bene il Cacciatore per ringraziarmi mi lasciera’ libero.
Canto’ a lungo e il suo canto era il piu’ melodioso, il piu’ intenso, il piu’ magico di tutti.Anche gli altri usignoli rimasero stupiti in ascolto. Il Cacciatore si alzo’ dal letto e venne a sentire da vicino il dolcissimo canto del piccolo usignolo. Aveva le lacrime agli occhi.
Certo ricevero’ in premio la liberta’, disse il Piccolo usignolo.
Il giorno dopo, il Cacciatore libero’ tutti gli altri usignoli e al Piccolo usignolo disse, canterai d’ora in avanti per sempre solo per me

Da un racconto popolare russo del secolo XIX

Due poesie per Kurt Weill

Settembre

E’ lungo, lungo il tempo
da maggio a settembre,
e i giorni diventano corti
quando si e’ arrivati a settembre,
quando l’autunno
trasforma le foglie in fiamme
e non c’e’ piu’ tempo,
piu’ tempo di attendere.
Perche’ i giorni continuano a sparire

e sono sempre piu’ brevi.
Settembre, Novembre:
questi pochi, preziosi momenti di luce
voglio passarli con te

Se incontri una donna
all’inizio della primavera
e lei ti corteggia con le sue canzoni
e ti affascina con le sue belle parole d’amore
guarda bene che cosa ti offre:
guarda che cosa c’e’
oltre alle canzoni che canta,
e al tempo che consuma.
E’ lungo, lungo il tempo
da maggio a settembre,
e i giorni diventano corti
quando si e’ arrivati a settembre,
poi non c’e’ piu’ tempo,
piu’ tempo di attendere.

Parlami piano

Parlami piano
quando mi parli, amore,
i nostri giorni passano
troppo veloci, troppo veloci.
Parlami piano
i nostri momenti sono brevi,
come navi alla deriva
saremo separati troppo presto.
L’amore e’ una scintilla
perduta nella notte
troppo presto, troppo presto.
Sento
dovunque io vada
che il domani e’ vicino,
il domani e’ gia’ qui,
troppo veloce, troppo presto
i tempi sono scaduti, amore,
siamo arrivati tardi.
Il sipario sta per calare,
tutto ha una fine,
troppo presto, troppo veloce.
Io aspetto, amore.
Ma tu, parlami piano,
parlami d’amore,
in fretta.

Entrambe le poesie sono state musicate di Kurt Weill. September song e’ di Maxwell Anderson, ed e’ inserita nel musical Knickerbocker Holiday ; Speak low e’ di Ogden Nash, ed e’ inserita nel musical One touch of Venus. Da ascoltare nell’interpretazione di Lotte Lenya, registrazione del 1957 a Berlino (CD della CBS del 1988).

Due poesie cinesi

I

Appena ti ho conosciuta
ti ho offerto il mio cuore
avvolto in leggera carta si riso,
ti ho detto prendilo
tu mi hai getto aspetta,
ho bisogno di tempo.
Il tempo e’ passato
e tutto e’ finito.

II

Ho sempre viaggiato.
un giorno, ho voluto fermarmi.
ho voluto lasciare all spalle
il mio passato e il mio futuro
Sono stanco, avevo pensato.
E’ durato poco.
Presto, sono tornato a viaggiare.

Chen Po Tai, Il libro delle devozioni e delle riflessioni, VII secolo d.C. il testo e’ tradotto dalla versione inglese di Gerald W. Bottingham, inserita nella Anthology of Antique Chinese Poetry, pubblicata nei Pemguins nel 1965.

Sull’educazione

I

A volte si pensa che la scuola sia semplicemente uno strumento per tramandare una certa quantita’ di conscenza da una generazione a qulla succesiva. Ma la conoscenza da sola e’ una cosa morta; la scuola, invece, serve alla vita. Essa deve sviluppare nei giovani quelle qualita’ e quelle capacita’ che rappresentano un valore per il benessere dell’umanita’.
Come si puo’ raggiungere questo obbiettivo? Certo non attraverso parole e moralismo. Le parole e il moralismo restano un suono vuoto, e la strada della predizione e’ sempre stata caratterizzata dal rispetto non sentito per un ideale.
La persona non viene formata da cio’ che sente, ma da cio’ che fa.
Il piu’ importante metodo di educazione e’ quello con cui si viene spinti ad agire. Cio’ vale per i primi tentativi di scrivere, per il processo di imparare a memoria una poesia, per l’interpretazione o la traduzione di un testo, per la risoluzione di un problema matematico o anche per la pratica di uno sport.
Ma dietro ogni conquista di conoscenza deve esistere una motivazione che ne’ e’ il fondamento e che a sua volta e’ rafforzata e invigorita dal compimento dell’impresa.
Lo stesso lavoro e lo stesso risultato possono essere motivati dalla paura e della costrizione, dell’ambizione e dal desiderio di autorita’, oppure da un desiderio di verita’ e di comprensione o da quella curiosita’ che ogni giovane possiede e che troppo spesso viene precocemente soffocata.
La cosa peggiore in una scuola e’ l’uso di metodi basati sulla paura, sulla forza e sull’ autorita. In questo modo si distruggono i sentimenti sani, la sincerita’ e la fiducia in se stesso e si producono dei soggetti sottomessi. E’ semplice evitare questo pericolo: basta dare all’insegnante il minor numero possibile di mezzi coecitivi, cosi’ che l’unica fonte di rispetto di cui egli dispone sia costituita’ dalle sue qualita’ umane e intellettuali.
Anche l’ambizione, o in termini piu’ generali, l’aspirazione al riconoscimento e alla considerazione, seppur fortemente radicati nella natura umana, rappresentano un pericolo, perche’ esse legano strettamenet forze costruttive e forze distruttive. Il desiderio di essere stimati e approvati e’ un motivo sano; ma il desiderio di essere migliori, piu’ forti o intelligenti conduce ad un attegiamento egoistico e dannoso per la comunita’. Percio’ ci si deve guardare dal predicare ai giovani il successo come scopo della vita.
Il valore di un uomo sta in cio’ che egli da’ e non in cio’ che egli riceve.
La motivazione piu’ importante e’ invece il piacere che si prova nel produrre qualcosa per se e per la collettivita’. Nel risveglio e nel rafforzamento di questo aspetto io vedo il compito piu’ importante della scuola. Suscitare queste capacita’ e’ certamente meno facile che usare la forza o risvegliare l’ambizione.
Rispetto a questa fondamentale esigenza, gli argomenti di insegnamento sono di secondaria importanza. Se un giovane ha allenato i propri muscoli con la ginnastica, sara’ in grado piu’ tardi di compiere ogni sforzo fisico. Questo e’ vero anche per l’allenamento della mente.
L’educazione e’ cio’ che rimane dopo che si e’ dimenticato cio’ che si e’ imparato a scuola. Per questo motivo, ritengo futili le discussioni trai seguaci dell’educazione classica e i seguaci dell’educazione scientifica.
La scuola deve sempre avere come suo fine che i giovani ne escano come persone armoniose e non come specialisti.
Lo sviluppo dell’attitudine a pensare e giudicare liberamente dovrebbe essere sempre al primo posto, e non l’aquisizione di conoscenza specializzate. Se una persona ha imparato a lavorare indipendentemente, trovera’ sicuramente la propri strada e sara’ in grado di adattarsi al progresso e ai mutamenti piu’ di una persona la cui educazione consiste nell’acquisizione di una conoscenza particolareggiata.

II

Ho sempre posseduto un fortissimo senso di giustizia e di responsabilita’ sociale. Ma queste caratteristiche sono state perennemente in contrasto  con la mia mancanza di bisogno di un contatto diretto con altri esseri umani.
Ho voluto bene a poche persone, non sono appartenuto a nessuno e nessuno ha voluto davvero appartenermi. Sono stato un viaggiatore solitario, e non sono mai stato vicino con tutto il cuore ne’ ai miei genitori, ne’ alla mia patria, ne’ ai miei amici.
Non ho mai perso nel corso della mia vita un senso di distacco, di solitudine e di impotenza, giudicando le azioni degli alrti e, soprattutto, le mie.

ALBERT EINSTEIN, Out of my later years 1950. Il primo brano e’ stato scritto nel 1936, il secondo nel 1931.

Due poesie di Esenin

I

Non e’ il vento a denudare i boschi
non sono le foglie che cadono a indorare le colline
non c’e’ principio ne’ fine
fino a dove l’azzurro divora gli occhi.
L’ala dei corvi
striscia sulla finestra,
il ciliegio agita le sue braccia
bianche come la neve.
Le nubi intrecciano sulla foresta
un morbido pizzo d’oro
e la foresta profumata consegna al fiume
insieme ai ramoscelli le proprie parole.

II

Dove sei, dove sei, vecchia casa della mia gioventu’
con le tue mura calde sotto il colle?
Azzurro, azzurro mio fiore,
sabbia d’oro non calpestata
dove sei, dove sei, vecchia casa?
Oltre il fiume canta il gallo,
e la’ dove un pastore conduceva la sua mandria
e luccicavano dall’acqua
tre stelle lontane.
Oltre il fiume canta il gallo.
il tempo – mulino vertiginoso,
inclina il pendolo della luna
nei prati di segale, oltre il villaggio,
e macina l’invisibile pioggia delle ore.
Il tempo – mulino vertiginoso.

Questa pioggia come un diluvio d’aghi
nelle nubi ha avvolto la mia vecchia casa
ha ucciso il fiore azzurro
ha calpestato la sabbia d’oro.
Questa pioggia come diluvio d’aghi.

SERGEJ ALEKSANDROVIC ESENIN, La prima poesia e’ stata pubblicata nella raccolta Radunika (1914); la seconda e’ stata pubblicata nella raccolta Azzurro (1918).

Istruzioni per l’uso dell’uomo sociale

E’ l’inizio degli anni cinquanta del secolo scorso. Si e’ appena conclusa l’epopea rivoluzionaria del 1848, e si sta avviando – massiccio, illuminato, sicuro, inevitabile – il dramma del progresso economico, scientifica, tecnologico.
L’economia della maggior parte dell’Europa e’ prevalentemente agricola, in alcune zone e’ ancora feudale, salvo per alcune sacche di sviluppo industriale in taluni paesi avanzati. In queste sacche tumultano, pronti a insorgere, lavoratori sradicati e sottopagati, concentrati nelle grandi realta’ urbane; accanto gli ideologi e ai fautori della economia borghese si preparano gli ideologi della rivoluzione a trasformare le conquiste liberali in conquiste sociali.
Si sta diffondendo ovunque una orgogliosa fede nella scienza e nelle conquiste tecnologiche: ancora qualche anno e l’acciaio comincera’ a riversare sull’intero pianeta, sotto forma si nastri di rotaie o di cavi sottomarini.Tutti condividono l’ingenua opinione di Lore Kelvin secondo cui i preoblemi fondamentali della fisica e delle altre scienze esatte erano ormai definitivamente risolti, e restavano solo da chiarire alcune questioni di minore importanza.
Molti comprendevano che il mondo occidentale era sull’orlo di immani cambiamenti, pochi erano in grado ci prevedere quello che stava per succedere; pochissimi quello che sarebbe successo da li’ a poco, in dieci o in venti anni. Proprio come oggi.
Si deve tener conto di tutto cio’, per comprendere quanto sia stupefacente il brano che segue, scritto appunto in quegli anni.

*

Un sistema di produzione basato sull’aumento e lo sviluppo delle forze produttive esige la incessante produzione di nuovi consumi, esige cioe’ che il circolo del consumo si allarghi, sia con un ampliamento quantitativo del consumo esistente, sia con la propagazione dei bisogni esistenti in una sfera piu’ ampia, sia con la produzione di bisogni nuovi.
In altri termini, le necessita’ dello sviluppo impongono che esso non rimanga un surplus meramente quantitativo, ma che sia al tempo stesso ampliato, reso piu’ vario e differenziato. Cosi’, se in seguito a un aumento della produttivita’ si puo’ impiegare meno capitale, e conseguentemente si possono rendere disponibili il capitale e il lavoro non piu’ necessari, occorre creare per questi ultimi un nuovo settore di produzione, qualitativamente differente, che generi e soddisfi nouvi bisogni.
Le condizioni affinche’ questo processo sono l’esplorazione sistematica della nature per scoprire nuove utilita’ utili delle cose, lo scambio universale dei prodotti di tutti i paesi, la preparazione di nuovi oggetti dotati di nuovi valori d’uso, lo sviluppo delle scienze naturali. Ma la condizione perche’ questo processo si realizzi e’ soprattutto la coltivazione di tutte le qualita’ dell’uomo sociale e la produzione di un uomo sociale ricco di bisogni perche’ ricco di qualita’ e di relazioni, ossia la produzione di un uomo sociale come per quanto possibile totale e universale della societa’. Infatti, per avere una vasta gamma di godimenti, quindi di bisogni da soddisfare con nuove forme di produzione, l’uomo deve esserne prima di tutto capace, ossia deve essere istituito a un grado idoneo.
La produzione basata sul capitale dunque crea non solo lavoro che produce valore, ma un sistema di valorizzazione delle qualita naturali e spirituali dell’uomo.
Di qui l’enorme influenza civilizzatrice del capitale, la sua creazione di un livello sociale rispetto al quale tutti quelli precedenti si presentano semplicimente come primitivi sviluppiu locali dell’umanita’ e come fenomeni di idolatria della natura o di superstituzione. Soltanto con il capitale la natura diventa un oggetto per l’uomo, un puro oggetto di utilita’. Nei confronti della natiura e dei limiti che essa impone, il capitale attua una rivoluzione permanente, abbatte tutti gli ostacoli che frenano lo sviluppo delle forze produttive e lo sfruttamento delle forze dello spirito.

KARL MARX, Grundisse der Kritik der Politischen Okonomie (Rohentwurf), Dietz Verlag, Berlin 1953, 3. Teil, 4. Heft.

Tre poesie di Fedro

I

Anche il vile e’ pronto a prendersi il gioco
di chi perde il potere.
Ormai privo di forze per l’eta’
un vecchio leone stava accucciato,
pronto a morire.
Sopraggiunse il cinghiale e lo azzanno’
con i suoi denti acuminati
per vendicarsi di un’antica offesa.
Poi arrivo’ il toro e gli ficco’ le corna nel corpo
indebolito.
Infine l’asino, dato che il leone non reagiva,
gli assesto’ un paio di calci sul muso.
Prima di morire, disse il leone:
“E’ stato duro dover sopprtare gli insulti
di quei forti che ti hanno preceduto.
Ma mi sembra di morire due volte,
visto che ormai debbo sopportare anche i tuoi”.

II

Rivoluzioni e cambiamenti politici
non cambiano il padrone,
cambiano solo il nome del padrone.
Un vecchio pascolava un asino su un prato.
All’improvviso s’odono voci e grida sconosciute:
il vecchio, spaventato, sospinge l’asino,
cerca di nasconderlo e di proteggerlo,
ha paura che gli venga rubato.
Ma l’asino, muovendosi senza fretta, osserva:
“Che vuoi che me ne importi a me chi e’ il mio padrone;
se chi sopraggiunge mi cattura,
e’ la tua vita che cambia senza di me,
non la mia senza di te”.

III

La rana, presa da invidia per la grandezza di un bue,
cerca di rigonfiare la sua rugosa pelle,
poi chiede agli amici se era piu’ grande del bue.
I figli dicono di no.
Allora la rana si sforza, si gonfia,
tende ancora di piu’ la pelle;
ancora gli amici implacabili rispondono:
“E’ piu grande il bue”.
La rana si indigna, si concentra
ricomincia a gonfiarsi.
Fu l’ultimo tentativo: scoppio’,
e mori’ con il corpo lacerato.
Il povero soccombe sempre quando vuole imitare il potente.

Fedro, Fabulae Aesopiae.

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S.N.

Crediti

Questo undicesimo volume dei Testi Infedeli è stato stampato nel giugno del 1997 in duecentocinquanta copie non numerate e fuori commercio da Marco Capodaglio, in Milano, nella tipografia Cinque Giornate srl.
Come sempre, tutti i testi sono stati liberamente e infedelmente tradotti e talvolta riscritti, anche se spesso è stato rispettato – magari parzialmente – il pensiero dell’autore.
Il volume non sarà inviato a chi non ne accusa ricevuta per due volte consecutive.