N. 15 estate 1999

Le ragioni umanitarie

“Profondamente sensibili al dovere solenne di promuovere il benessere dell’umanità, persuasi che è giunto il tempo di rinunciare alla guerra come strumento di politica nazionale, convinti che tutti i cambiamenti nelle relazioni internazionali debbano avvenire con mezzi pacifici” sessantacinque Stati aderiscono al patto Briand-Kellogg (del quale la citazione iniziale costituisce il preambolo) che abolisce solennemente il ricorso alla guerra come strumento per dirimere conflitti internazionali.
È l’anno 1929. Tra gli Stati aderenti figurano la Germania, l’Italia e il Giappone. Il patto non segna, come tutti sanno, la fine della guerra come strumento offensivo; segna però il fiorire delle aggressioni militari giustificate da ragioni umanitarie (ritenute compatibili con gli scopi del patto).
Ecco i tre episodi più noti.

L’intervento militare del Giappone in Manciuria nel 1931, rivolto secondo gli aggressori giapponesi  a tutelare i diritti umani degli abitanti, violati dai Cinesi e la successiva costituzione nel 1932 dello Stato fantoccio del Manchukuo.
L’intervento militare dell’Italia in Etiopia nel 1936 (con ampio uso di armi chimiche e di gas), rivolto secondo gli aggressori italiani a liberare un popolo ridotto in schiavitù dai suoi governanti per immetterlo nella civiltà occidentale.
L’intervento militare della Germania nazista in Cecoslovacchia nel marzo del 1939, rivolto secondo gli aggressori tedeschi a tutelare i diritti etnici del popolo tedesco e del popolo boemo e finalizzato a realizzare i diritti umani fondamentali degli abitanti del paese. L’intervento segue di qualche mese lo smembramento della Cecoslovacchia, attuato mediante la  costituzione di due Stati (fittiziamente) indipendenti: la Slovacchia e la Rutenia (quest’ultima con il pomposo nome di Repubblica Carpato-Ucraina riesce a battere ogni record nella scala del decadimento degli Stati, durando poco meno di 24 ore: viene infatti subito invasa e annessa dall’Ungheria, naturalmente con l’assenso tedesco), e precede di pochi giorni la costituzione del famigerato Protettorato di Boemia e Moravia.

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Osserva Louis Henkin, uno dei più importanti esperti di diritto internazionale, che “Ogni argomentazione tendente a erodere la proibizione dell’uso della guerra e a giustificare interventi militari a livello internazionale, al di fuori dei casi espressamente previsti dal diritto internazionale e dai trattati, deve essere considerata pericolosa. In particolare, estremamente pericolosa deve essere considerata la tesi che vuole consentire interventi militari in paesi sovrani, giustificati da ragioni umanitarie. La violazione dei diritti umani costituisce un dato di fatto assai comune; se fosse lecito da parte di uno Stato o di un gruppo di Stati aggredirne un altro allo scopo di tutelare tali diritti, sarebbe praticamente impossibile impedire l’uso della forza da parte di qualsiasi Stato nei confronti di qualsiasi altro Stato. I diritti umani debbono essere tutelati con mezzi diversi dall’aggressione militare, se si vogliono conservare gli attuali principi che governano il diritto internazionale”.
Non bisogna poi dimenticare che una delle caratteristiche fondamentali delle aggressioni militari per ragioni umanitarie è quella che lo spirito umanitario anima invariabilmente Stati militarmente e economicamente potenti, mentre destinatari dell’intervento umanitario sono sempre Stati militarmente e economicamente deboli.
Questo può significare che la mancanza di umanità è propria solo degli Stati poveri e che, viceversa, solo gli Stati ricchi che molto investono in armi e in apparati bellici sono non solo genuinamente umanitari, ma per di più animati da un incontenibile spirito solidaristico, che porta ad affrontare spese enormi in nome di principi di fratellanza.
Oppure può significare che gli Stati ricchi e potenti usano il pretesto delle ragioni umanitarie per fare guerre non consentite dal diritto internazionale, quasi sempre vietate dalle normative costituzionali dei singoli Stati, e comunque non giustificabili di fronte all’opinione pubblica interna.

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Ecco l’elenco dei paesi che hanno subito aggressioni militari e bombardamenti dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale. Sono ventidue casi in cui gli Stati Uniti (e in talune occasioni i suoi alleati) hanno violato il diritto internazionale vigente. Molte volte, per ragioni umanitarie.

Cina 1945-46
Corea 1950-53
Cina 1950-53
Guatemala 1954
Indonesia 1958-60
Cuba 1959-60
Guatemala 1960
Congo 1964
Perù 1965
Vietnam 1961-73
Laos 1964-73
Guatemala 1967-69
Cambogia 1969-70
El Salvador 1980
Nicaragua 1980
Grenada 1983
Libia 1986
Panama 1989
Iraq 1991-99
Sudan 1998
Afghanistan 1998

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Che Milosevic e la Serbia siano il reale obiettivo dell’attuale aggressione bellica e che gli scopi siano quelli umanitari dichiarati sono affermazioni che hanno lo stesso livello di credibilità delle stimmate di Padre Pio (e delle stimmate dei suoi circa trecento predecessori).
Ecco altri tre obiettivi che rendono più comprensibile (anche se meno umanitaria) l’aggressione:

affermazione della NATO come organizzazione militare indipendente e autonoma, formalmente espressione di una pluralità di Stati, sostanzialmente braccio armato degli Stati Uniti;

occupazione e colonizzazione dell’intera area balcanica da parte delle potenze europee e degli Stati Uniti: la Bosnia è ormai stabilmente amministrata da forze di occupazione, l’Albania è ormai solo formalmente indipendente, Montenegro e Macedonia sono velocemente avviate a divenire protettorati a sovranità limitata;

avvio della spartizione della Confederazione russa. Come è accaduto per l’impero ottomano, le grandi manovre per la spartizione cominciano rosicchiando l’impero ai suoi margini e delegittimandolo all’esterno presso gli Stati protetti o amici e all’interno presso tutti i popoli che ne facevano parte.

Poi, è solo questione di tempo: per ridurre l’impero ottomano all’attuale Turchia, sono serviti quasi cento anni.

Per fonti e riferimenti: L’elenco delle aggressioni militari degli Stati Uniti è di WILLIAM BLUM, pubblicato in ZNET; NOAM CHOMSKY, The Current Bombing: Behind the Rhetoric, pure in ZNET; LOUIS HENKIN, Refugees and their Human Rights. Foreign and Comparative Law, in Fordham International Law Journal Online 1994; OGATA, SADAKO N., Defiance in Manchuria: the Making of the Japanese Foreign Policy, Berkeley 1964.

Cinque poesie e un racconto di Dorothy Parker

Un nuovo amore

Ed ecco qui alla mia porta un altro;
ed ecco i fiori nelle mie mani.
Mi siedo e guardo verso il pavimento.
Non avrò davvero niente da obiettare
Se se ne va verso un’altra porta.
E neppure se rimane.

Coincidenze sfortunate

Nel momento in cui tu giuri che sei sua
Tremando e singhiozzando,
e lui afferma che il suo amore è eterno
cara amica, tieni presente questo:
uno di voi due sta mentendo.

Separazione

Cerca pure, mio amato, la tua nuova strada;
non mi lascerai nella disperazione.
Finché io posso tenermi il passato
Vai a prenderti il tuo dannato futuro.

Canzone di guerra

Soldato, nella strana terra
Al di là del mare sconfinato
Raccogli pure il suo sorriso e tienile la mano:
non sentirti colpevole con me.
Poi, quando mai i soldati sono stati fedeli?
Se lei è bella e dolce e allegra,
ti auguro di farcela,
e di non dormire da solo.
Solo, ricordati
quando di notte le parlerai
Tra il sonno e la veglia
Chiamala con il mio nome.

Penelope

Nei percorsi del sole
Sulle soglie del vento
Dove terra e mare si uniscono
Lui cavalca le acque argentate
E fende le onde tumultuose.
Io me ne sto a casa e filo;
mi alzo impaurita
quando sento qualcuno che si avvicina;
faccio il tè, avvolgo la lana,
inamido le lenzuola per la notte.
Per tutti, valoroso  sarà lui.

La telefonata

Ti prego, Dio, fa che telefoni adesso. Gesù caro, non ti chiederò null’altro, davvero. E non ti sto poi chiedendo molto. E per te è davvero uno sforzo piccolo piccolo, accontentare questo mio desiderio. Ti prego. Ti prego. Se non ci penso, magari il telefono suona. Talvolta funziona così. Dovrei pensare a qualcosa d’altro.
Potrei contare fino a cinquecento. Lentamente. Senza imbrogliare. Anzi, se telefona prima che sia arrivata a trecento, non rispondo. Uno, due, tre, quattro….Cinquanta. Ma insomma, perché non telefona? Questa è l’ultima volta che guardo l’orologio. Poi non lo guardo più. Aveva detto che mi avrebbe chiamata alle cinque. “Ti chiamerò alle cinque, cara”. È qui che mi ha chiamata cara, ne sono quasi sicura. So per certo che mi ha chiamato cara due volte, e l’altra è stato quando se ne è andato. “Ciao, cara”. Non può aver pensato che io dovevo telefonargli. So che non sta bene, e agli uomini poi non piace. Se lo fai, si rendono conto che tu stai pensando a loro, e questo li irrita. Ma lui, non aveva bisogno di dirmi che mi avrebbe telefonato. Io certo non lo ho chiesto. Davvero.
Sarò più buona, Dio, se fai sì che telefoni. Ti sembra una cosa da niente, mio Dio, quello che ti chiedo? Certo, tu stai seduto lì in cielo, bianco e vecchio, con gli angeli e le stelle tutt’intorno. E io arrivo chiedendoti una telefonata. Non ridere, ti prego. Tu non sai come mi sento male. Per forza, tu sei intoccabile, sul tuo trono, nessuno può farti del male. E io sto male, davvero male. Non vuoi aiutarmi? In nome di tuo figlio, lo hai detto tu che avresti fatto qualsiasi cosa ti fosse richiesta in nome suo.
Devo smettere. Non posso andare avanti così. Supponiamo che un uomo dica ad una donna che la chiamerà al telefono, e poi qualcosa accade, e lui non telefona. Non è così grave. Probabilmente succede continuamente nel mondo. Ma a me non importa nulla di quel che succede nel mondo. Adesso metto l’orologio nell’altra stanza.
Se non guardo l’orologio, sicuramente mi telefona. Sarò dolcissima con lui, quando mi chiama. Anche se dice che non vuole vedermi questa sera, gli dirò “Va bene, non fa niente”. Certo, devo piacergli almeno un poco, se no non mi avrebbe chiamato cara ben due volte. Insomma, Dio, se ricevo la telefonata, giuro che non ti chiederò mai più niente. Ma forse mi stai punendo, perché mi sono comportata male? Se non mi chiama, saprò che Dio è irritato con me. Adesso conto fino a cinquecento e se non mi chiama, saprò che Dio non mi aiuterà mai più…

Da DOROTHY PARKER. Le prime tre poesie sono tratte da Enough Rope 1927; Canzone di guerra da War Songs 1944; Penelope da Sunset Gun 1928. La Telefonata da The Portable Dorothy Parker, Viking 1944.

Due scritti di Levi-Strauss

I

Montaigne ha detto che la vecchiaia ci riduce ogni giorno che passa; così, quando la morte sopraggiunge, non si porta via che un mezzo uomo, o un quarto di uomo. Montaigne è morto però a cinquantanove anni: sicuramente non ha potuto avere né esperienza né idea dell’estrema vecchiezza in cui io ora mi trovo. Ora, a quest’età che non avrei mai pensato di raggiungere e che costituisce una delle sorprese più curiose di tutta la mia esistenza, ho la sensazione di essere come un ologramma spezzato.
L’ologramma non possiede più la sua unità; ciononostante, come in tutti gli ologrammi, ciascuna parte residua conserva una immagine del tutto.
Così oggi c’è per me un io reale che non è più che la metà o un quarto di un uomo, come diceva Montaigne; ma c’è anche un io virtuale, che conserva ancora viva un’idea del tutto. L’io virtuale prepara un progetto di libro, comincia a organizzarne i capitoli e dice all’io reale: “Adesso tocca a te”. E l’io reale, che non è assolutamente in grado di continuare, risponde “Non ci penso nemmeno. È affar tuo. Sei tu soltanto che ancora percepisci la mia totalità”.
La mia vita oggi si svolge con questo strano, continuo battibecco tra i miei due io.
Ma devo ringraziarvi, perché, grazie alla vostra presenza e alla vostra amicizia, per qualche istante oggi avete fatto cessare questo dialogo, e avete permesso ai miei due io di coincidere di nuovo. So bene che il mio io reale continuerà a sciogliersi fino alla fine, ma vi sono riconoscente per avermi teso la mano e avermi dato la sensazione di poter fermare il tempo.

II

Capisco la passione, la follia, l’inganno dei racconti di viaggio. Danno l’illusione di cose che non esistono più e che tuttavia dovrebbero esistere ancora per farci sfuggire alla desolante sensazione che ventimila anni di storia sono andati perduti. Ma non c’è più nulla da fare. La civiltà è stata un fragile fiore che ha dovuto svilupparsi faticosamente in angoli riparati, in terreni ricchi di specie vegetali selvatiche che permettevano di variare e rinvigorire le sementi. Ora non più. L’umanità è cristallizzata nella monocoltura e produce civiltà uniforme in massa. La sua mensa offrirà per sempre ormai solo questa vivanda.
Un tempo si rischiava la vita per conquistare beni che oggi appaiono privi di valore: legna da bruciare in Brasile (da cui il nome), pepe, così prezioso che veniva conservato in bomboniere e masticato a grani, stoffe, e altro ancora.
Erano beni che producevano scosse visive o olfattive, gioioso calore per gli occhi, bruciore squisito per la lingua, che aggiungevano nuovi registri alla gamma sensoriale di una civiltà  che non si era resa ancora conto della sua scipitezza.
Oggi i viaggiatori riportano da quelle terre resoconti scritti e fotografici: spezie morali di cui la nostra società abbisogna per non essere sommersa dalla propria crudeltà, dalla propria insensibilità, o dalla noia.

Il primo pezzo è il discorso di Claude Lévi-Strauss agli amici al Collège de France il 25 gennaio 1999, in occasione del festeggiamento per il suo novantesimo compleanno. Ho ricevuto il testo del discorso da Pasquale Pasquino.
Il secondo pezzo è tratto da Tristes Tropiques, Librairie Plon, Parigi 1955.

Due poesie di Alex Fleites

Basta con Leibniz

Se vi siete finalmente
Resi conto
Che questo non è
Il migliore dei mondi possibili,
Mettetevi subito alla ricerca
del migliore
dei mondi impossibili.

Attenzione: Inverno

La Prefettura ha comunicato
che fra sette giorni all’alba
comincerà l’inverno.
Tutti,
donne e uomini,
anche se extracomunitari,
dovranno rispettare
le seguenti istruzioni.
Prima di tutto,
non lasciare il cuore esposto alle intemperie.
Poi, camminare a passo lesto
verso il sole nascente.
Soprattutto, ricordarsi
che l’inverno è transitorio.
Bisogna avere fiducia:
durerà lo stretto necessario
La fine dell’inverno sarà tempestivamente comunicata.

Da ALEX FLEITES, Poesie, Habana 1995.

Il tempo e l’amore

Un quadro di Van Dick conservato a Parigi nel museo Jacquemart-André raffigura un vecchio e un bambino. Entrambi hanno le ali.
Il vecchio trattiene il bambino sulle ginocchia e gli taglia le ali.
Secondo l’interpretazione corrente, il vecchio è il tempo, il bambino è l’amore. Quindi, il tempo sconfigge l’amore.
Le sconfitte dell’amore ad opera dei soggetti più vari sono un tema ricorrente delle arti figurative dell’epoca di Van Dick e del secolo successivo. Victor Hugo racconta ne I Miserabili che una vecchia suora ospitata nel convento di Picpus custodiva gelosamente tra i propri effetti personali un vecchio piatto di Faenza che rappresentava degli amorini fuggitivi, inseguiti da infermieri con enormi siringhe. Amore sconfitto dalle coliche è il titolo dell’opera.
L’interpretazione generalmente offerta del quadro di Van Dick si basa però su una distorsione mitologica: Eros è stato sempre descritto e rappresentato come un paffuto bambino dotato di ali (quasi sempre due, ma talvolta quattro) che vola qua e là: la giovinezza rappresenta la giocosità e lo slancio, le ali rappresentano l’imprevedibilità (proprio per segnalare quest’ultima caratteristica, anche la Fortuna  e la Vittoria nella tradizione classica e mitologica sono fornite di ali).
Non ha mai invece le ali il tempo: Cronos è un voluminoso signore di mezz’età che, ben seduto, crea e divora i suoi figli.
Questo perché il tempo non è imprevedibile. Anzi, è il contrario dell’imprevedibilità.
Sia che si addotti una visione eraclitea del tempo come movimento, sia che si scelga l’impostazione parmenidiana della staticità dell’essere, il tempo è, nel pensiero mitologico greco, l’eternità che in un incessante movimento ciclico si riproduce e divora sé stessa e tutto ciò che nasce dentro di sé, che si nutre macinando incessantemente ciò che produce: la massiccia stabilità e la voracità di Cronos ne sono appunto il miglior simbolo.
Il detto tempus fugit non esprime infatti la velocità del Tempo, ma la velocità della vita umana rispetto all’immobilità e alla eternità del Tempo dentro la quale essa è immersa.
A un certo punto però il Tempo comincia davvero a fuggire.
Molto più tardi, quando l’uomo non è più concepito come immerso in un cosmo di cui è una componente importante ma non essenziale, ma come il centro e il fine dell’universo, la durata della vita umana diviene il metro della percezione dell’universo.
Il tempo dell’uomo si separa per sempre dal Tempo ciclico e immutabile, l’eternità si sposta oltre i confini del tempo umano, con le varie invenzioni di inferni e paradisi (il limbo, con tutto il suo ingombrante contenuto di neonati non battezzati sembra sia stato un’allucinazione durata qualche secolo: si è recentemente deciso che non esiste), premi e punizioni che ciò comporta.
È solo in quel momento che al tempo spuntano le ali, ed è solo in quel momento che il tempo assume come connotazione raffigurativa (e punitiva) la vecchiaia.
Solo in quel momento il tempo, divenuto unilineare e non più ciclico, non divora più i suoi figli, ma viene dotato di una falce (riprendendo in parte l’episodio mitologico secondo cui con un falcetto Cronos avrebbe evirato il padre Urano).
Il quadro di Van Dick sembra collocarsi all’interno di questa concezione.
Così  il quadro vuole dirci, secondo l’interpretazione corrente, che quando si invecchia scompare l’amore, la possibilità e la capacità di amare, la capacità di essere imprevedibili.
Ma il quadro può esprimere un altro ben diverso messaggio, e cioè che qualsiasi amore invecchia si consuma e si affloscia con il passare del tempo: non esistono, ci dice Van Dick, la fedeltà e la costanza.
Entrambe queste interpretazioni sono possibili. Naturalmente, se il vecchio rappresenta davvero il tempo.
E se invece non solo il giovane, ma anche il vecchio rappresentasse l’amore, in diverse fasi del suo sviluppo? Il quadro raffigurerebbe la costanza dell’amore che, con il passare del tempo, prevale sulla imprevedibilità e ne distrugge il simbolo, le ali.
Potrebbe essere un elogio della fedeltà.

Da VICTOR BARENREITER, Kunst, Deutung und Darstellung, Varsavia 1954.

Mitteleuropa: Mukachevo

Il vecchio: Sono nato nell’Impero austroungarico, sono stato a scuola in Cecoslovacchia, mi sono sposato in Ungheria, poi ho lavorato nell’Unione Sovietica, ora vivo in Ucraina.
Il giovane: Ha davvero viaggiato molto, signore.
Il vecchio: Viaggiato? Non mi sono mai mosso da Mukachevo, il mio paese.

Crediti

Questo quindicesimo volume dei testi Infedeli è stato stampato nel giugno del 1999 in duecentocinquanta copie non numerate e fuori commercio da Marco Capodaglio, in Milano, nella tipografia Cinque Giornate srl.
Il volume non sarà inviato a chi non ne accusa ricevuta per due volte consecutive.