N. 19 estate 2001

Elezioni

Molti pensano che esista un sistema elettorale che riflette correttamente la volontà degli elettori. Altri pensano che il sistema elettorale utilizzato non conta: proporzionale, maggioritario, uninominale, turno unico o doppio turno, chi deve vincere vince comunque. La verità è diversa e più sgradevole: a seconda di come si vota, i vincitori cambiano. In altri termini, chi sceglie il modo di votare, sceglie anche chi vince. Ecco un esempio. Ci sono quindici amici che, prima di passare una settimana insieme in barca, vanno a fare una buona scorta di vettovaglie. Decidono di acquistare una sola bevanda per tutti in grande quantità per ottenere uno sconto dal rivenditore. Stabiliscono di scegliere tra tre bevande: latte, birra, vino, indicando ciascuno le proprie preferenze. Sei indicano come preferenza il latte, seguito dal vino e dalla birra; cinque indicano la birra, seguita dal vino e dal latte; quattro indicano il vino, seguito dalla birra e dal latte. Bene, dice soddisfatto uno dei bevitori di latte, si ordina latte per tutti. Piano, dice uno dei bevitori di birra, non abbiamo finito, è necessario un ballottaggio. Altrimenti, vengono scorrettamente dispersi tra la birra e il vino i voti degli amanti delle bevande alcoliche. Bisogna escludere il vino che si è classificato ultimo, e attribuire i voti del vino alla birra. La birra quindi ha vinto.
Non sono d’accordo, osserva un sostenitore del vino. Per rispettare davvero il desiderio della maggioranza, bisogna verificare gli scontri diretti: vino contro latte, vino contro birra, birra contro latte. Sommando tutti i voti ricevuti da ciascuna bevanda, il vino risulta la bevanda più gradita alla maggioranza. Il vino ha vinto. Chi ha ragione? Secondo i matematici, il sistema che maggiormente si avvicina a rappresentare la volontà degli elettori è proprio l’ultimo: quello del confronto a coppie, anche se paradossalmente può vincere il candidato con il minor numero di prime scelte. Fu proposto nel 1770 da Jean-Charles de Borda per eleggere i membri dell’Accademia delle scienze francese. È però il sistema meno usato, solo perché tra i molti obiettivi perseguiti dalle competizioni elettorali quello di rappresentare la volontà dell’elettorato non è certo al primo posto. Altri obiettivi sono più importanti: la stabilità dell’esecutivo, la formazione di maggioranze parlamentari, la conservazione dei posti per i candidati eccellenti.

S.N. (da un articolo pubblicato su “The Economist”).

Una poesia di Eugenio Montale

La storia non è
Come una catena
Di anelli ininterrotta.
Anche perché
Molti anelli non tengono.
La storia non contiene
Il prima e il dopo.
Detesta il poco a poco.
Non procede né recede.
Non è prodotta
Da chi la pensa
Né da chi la ignora.
La storia non giustifica
E non deplora.
La storia non insegna
Niente che ci riguardi.
Conoscerla non serve
A farla più vera o
A farla più giusta.

Da EUGENIO MONTALE. La poesia è in Satura, inserita in Poesie complete, Mondadori 1994.

La Fede e il Denaro

I

Molti pensano che l’interesse e il culto per le reliquie si sia diffusa in Europa nel XIII secolo, a seguito del sacco di Costantinopoli da parte dei Crociati: in effetti, a partire dal 1204, migliaia e migliaia di reliquie di ogni tipo affluiscono in Occidente e invadono il mercato. In realtà, i cristiani cominciano a venerare i corpi dei santi già nel I secolo d.C. A differenza dei cadaveri comuni, considerati beni extra commercium, e quindi non trasferibili o vendibili, i cadaveri dei santi sono considerati un bene che appartiene alla comunità; ma presto, verso la fine del III secolo, comincia l’appropriazione dei corpi, o di parti dei corpi dei santi da parte di singoli fedeli: per egoismo, e cioè per non dividere con altri gli effetti benefici della reliquia, o, più spesso, a fini di lucro, e cioè per venderli o per ottenere un corrispettivo per permettere ad altri di vederli o toccarli. Alcuni protestano per questa appropriazione della santità: Ceciliano, vescovo di Cartagine, critica una certa Lucilla perché portava sempre con sé un pezzo del corpo di un santo locale per poterlo baciare e per farlo baciare a fronte di un piccolo compenso. Ma le proteste di pochi non frenano l’impetuoso sviluppo del mercato. Si diffonde la convinzione che non solo il cadavere intero del santo ma anche i suoi pezzi smembrati mantengano quel potere miracoloso che Dio aveva concesso di esercitare in vita e lo incanalino verso i fedeli.

Origene così afferma che le ossa dei santi valgono di più dell’oro o delle gemme. Questa è del resto l’opinione comune di tutti i teologi del IV secolo, tra cui Eusebio di Cesarea, Gregorio di Nazianzio, Gregorio di Nissa. Due fattori, tra VII e VIII secolo, determinano l’affermazione definitiva della reliquia come bene commerciale pregiato. Dapprima, al concilio di Nicea del 787 d.C., con una geniale intuizione imprenditoriale, si proibisce espressamente la consacrazione di nuove chiese ove non sia custodita almeno una reliquia. Possedere reliquie diventa una necessità per chiunque voglia organizzare nuove chiese o nuove comunità di fedeli. Poi, nel VIII secolo, il teologo Giovanni di Damasco formula una compiuta teoria della reliquia, stabilendo non solo che i corpi dei santi sono offerti da Dio ai Cristiani come strumento di salvezza, ma anche che qualsiasi pezzo di santo, per quanto piccolo, mantiene intatto il potere originario, ed è strumento di Dio. Sulla base di queste premesse – l’una rivolta a creare forzosamente la domanda, l’altra a sostenere il prodotto – la reliquia si pone al centro dell’economia medioevale. Il mercato ufficiale, strettamente controllato da esponenti della Chiesa, è alimentato moltiplicando il numero di santi, frazionandone i corpi in parti sempre più minuscole, e, ad un certo punto, estendendo i poteri miracolosi delle reliquie anche agli oggetti con i quali i santi sono venuti in contatto. Poi si sviluppa, spesso tollerato, un vastissimo mercato nero ove sono commerciate clandestinamente reliquie falsificate (che peraltro producono assai spesso i medesimi effetti miracolosi di quelle vere).

L’acquisto di una reliquia è una dimostrazione di devozione religiosa, ma anche di status sociale. È comunque sempre un ottimo investimento: le reliquie sono l’unico bene che aumenta continuamente di valore, e, soprattutto, in una economia non monetaria, è un bene facilmente commerciabile ovunque. È lo scisma luterano che crea un crollo del valore delle reliquie: una ampia parte del mercato ove fino a quel momento la domanda era stata sempre elevata cade infatti sotto il proibizionismo protestante. Basti pensare che, alla soglia del XVI secolo, appena prima della Riforma, la Schlosskirche a Wittenberg aveva ben 19.013 reliquie, mentre 21.483 si trovavano nella Schlosskirche di Halle. Un patrimonio inestimabile, oculatamente accumulato, mandato in fumo da Lutero.

II

Ecco un elenco ragionato di reliquie documentate da atti e transazioni commerciali realizzati tra il XIII e il XV secolo. Reliquie dal Vecchio Testamento (meno pregiate, ma commerciabili anche in territori non cristiani): Ramoscelli d’ulivo riportati dalla colomba dopo il diluvio; Avanzi di manna; Frammenti del trono di David; Tre trombe con cui Giosué fece crollare le mura di Gerico; Migliaia di frammenti di mura di Gerico crollate; La mensa di Abramo; Il coltello con cui Abramo aveva intenzione di sacrificare Isacco; La verga di Mosé; La scure con cui Noé costruì l’arca; Centinaia di pezzi di Arca.

Reliquie dal nuovo Testamento: Diecine di ampolle con il latte della Madonna (oggetto del costante sarcasmo di Calvino); Diecine di ampolle con l’ultimo respiro di San Giuseppe; Ampolle con sangue di martiri; Mangiatoia di Betlemme, in legno grezzo; Il dito dell’apostolo Tommaso; i denti di San Matteo; Cinque teste di San Giovanni decollato (quattro delle quali esibite al pubblico per secoli nelle chiese di Amiens, Soissons, Nemours e Roma; della quinta si perdono le tracce subito dopo l’arrivo in Europa); L’intero corpo di Giovanni di Compostella, ritrovato miracolosamente intatto; I corpi, anch’essi intatti, dei tre re magi, conservati dapprima a Milano e portati a Colonia da Federico I nel 1164. Reliquie riguardanti Gesù (assai pregiate): QQuattordici prepuzi (esibiti per lungo tempo nelle chiese di tutta Europa, tra cui Poitiers, Coulombs, Chavraux, Hildesheim, Le Puy en-Velay, Anversa, Roma, e poi pudicamente ritirati); Tre cordoni ombelicali (di varia lunghezza); Diecine di denti da latte; Frammenti di unghie; Peli di barba; Peli di baffo; La pietra dove fu battezzato; La pietra dove fu circonciso; Molte lettere autografe in varie lingue; I canestri utilizzati per la moltiplicazione dei pani; Il Santo Graal; Due catini usato per lavare i piedi agli apostoli; Tre panni usati per asciugare i piedi degli apostoli; La corona di spine; Il calco delle orme dei piedi di fronte a Pilato; La veronica con il suo volto; La punta della lancia del centurione; Il marmo su cui fu deposto il suo corpo; I segni delle lacrime della madonna sul marmo; Innumerevoli chiodi della croce; Tonnellate di frammenti lignei della croce, ma anche la croce, intera ed intatta.

Poi, si ha notizia certa di 43 sindoni, ma furono probabilmente centinaia. La maggior parte senza immagini (e considerate di scarso valore); alcune – si ha notizia certa di dodici, con immagini totali o parziali del corpo di Gesù. Molte sono andate distrutte da incendi, o sono state rubate e rimesse in circolazione. Una sindone miracolosa, custodita a Besancon, fu distrutta per ordine del Comitato di salute pubblica durante la rivoluzione francese. La sindone di Torino fa la sua comparsa per la prima volta nel 1353 a Troyes. È considerata subito di scarsissimo valore e – secondo molti esperti e certificatori di reliquie – è un falso grossolano. In effetti, l’immagine è stata grossolanamente realizzata secondo i canoni e le proporzioni dell’arte gotica contemporanea: figura verticale, gambe e piedi paralleli, tratti del viso caratterizzati. Nel 1389 il vescovo di Troyes Pierre d’Arcis – che pure collezionava reliquie di ogni tipo – risponde a una richiesta di informazioni del papa Clemente VII dichiarando, sulla base anche di indagini effettuate dal suo predecessore, Henri de Poitiers, che la sindone è falsa, ed era stata artificialmente dipinta in modo ingegnoso a puro scopo di lucro. Il papa emanò allora una bolla con la quale ordinava che ogni volta che il telo fosse stato esposto un banditore avrebbe dovuto annunciare ad alta voce che “la raffigurazione non è il vero sudario del nostro signore, ma una pittura o tavola fatta a imitazione del sudario”. Come è noto, lo scetticismo di Pierre d’Arcis e di papa Clemente sono stati pienamente confermati.

I test sul sangue effettuati dalla commissione presieduta dal cardinale Pellegrino nel 1973 hanno dimostrato che non vi è traccia di sangue umano, ma solo di tempera rossa. L’esame con il radiocarbonio (condotto contemporaneamente nei laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo) data la tela tra il 1260 e il 1390.

III

La vera croce di Gesù fu ritrovata, insieme alla corona di spine, nel 327 dall’imperatrice Elena: era nel fondo di una cisterna piena d’acqua, e si era conservata intatta per tre secoli. Un vero miracolo. L’Imperatrice Elena – certamente la maggior cacciatrice di reliquie dell’antichità – in pochi anni di ricerche individuò anche la tomba di Gesù, il Golgota, la caverna della natività, e perfino l’esatto luogo dell’ascensione al cielo (quest’ultimo rivelatole durante il sonno, secondo la biografia di Evelyn Waugh, dall’Ebreo errante). La santa imperatrice era certamente spinta, come osservò Gibbons, da un misto di fede e credulità. Ma fu senza alcun dubbio il primo grande imprenditore turistico della storia. A Elena si deve infatti l’invenzione del pellegrinaggio religioso organizzato (pochi secoli dopo sfruttata dai musulmani per spostare il flusso del pellegrinaggio turistico verso la Mecca). La croce e gli altri reperti furono subito esposti al pubblico e, anche per effetto di una sagace pubblicità, cominciarono ad attirare migliaia di pellegrini da tutto il mondo cristiano.

Il successo di Gerusalemme come principale polo turistico religioso – ma anche, purtroppo, la sua attuale sventura – cominciò così. Ne approfittò ben presto l’Ordine dei Templari, che organizzò l’agenzia viaggi monopolista del viaggio tutto compreso per il pellegrino europeo; ne approfittò Cook, nel XIX secolo, allorché avviò la sua attività di turismo d’élite a Gerusalemme. Una delle più astute trovate di Elena fu l’uso della reliquia per l’incremento del turismo: a ciascuno la sua reliquia fu la sua democratica visione commerciale. Così, la croce fu messa a disposizione per essere grattata, scavata, ridotta a pezzetti e smangiucchiata dai pellegrini che, baciandola, ne addentavano clandestinamente un pezzo per riportare a casa un souvenir. Ma durante la notte la croce ricresceva e ritornava intatta come quando era stata utilizzata. Un vero miracolo (e la fortuna di molti falegnami), detto della moltiplicazione della croce.

Testi utilizzati: OPTATUS, De schisma Donat., I, 16; ORIGENE, Exh. ad martyr., 50; GIOVANNI DI DAMASCO, De fide orthod., IV, 15; ALBERT HAUCK, Relics, in The Encyclopedia Britannica, vol.23, 13^ edizione, 1926; PIERGIORGIO ODIFREDDI, La sindone: un mistero per modo di dire, in “La Repubblica”, 25\11\2000 p.48; LUIGI GARLASCHELLI, Processo alla sindone, Avverbi 1998.

Il senso della guerra

I

Per molto tempo, le guerre hanno avuto un senso. Guerre contro i barbari, guerre di resistenza, guerre di religione, guerre di liberazione, guerre rivoluzionarie, guerre per costruire un mondo nuovo, guerre per difendere i vecchi valori. Poi, nel XX secolo, in tutte le guerre – dovunque fossero combattute, nelle Molucche, in Peru o nel Congo – il marxismo aveva permesso a ciascun combattente di credere che non si batteva e non moriva per niente: era parte, perfino senza saperlo o senza che gli altri lo sapessero, di un vasto disegno mondiale di liberazione. Tutto ciò è finito. Non c’è più il marxismo che dava un senso anche a qualcosa che non ne aveva alcuno, e cioè l’infinito dolore dell’uomo. È come una grande marea che si è improvvisamente ritirata, lasciando dietro di sé detriti, uomini e donne che continuano a combattere, magari più ferocemente di prima, ma senza poter invocare le promesse, i sogni, la coerenza di un tempo. Certo, ci sono ancora guerre fornite di senso. Secondo alcuni, è tale quella tra Israele e Palestinesi, dove le parti pensano che sia in gioco il destino del loro mondo. Ma sono sempre di più le guerre che hanno sciolto il legame con l’universale e dove ci si rende conto che, si vinca o si perda, nulla cambierà nelle sorti del pianeta.

Si muore, e all’orrore della morte si accompagna il fatto che si muore per niente, per arricchire qualche signore della guerra, qualche commerciante d’armi, qualche gioco di potere, qualche accumulatore di diamanti. Si muore nell’indifferenza globale. Dal fondo della notte, dall’Angola, dal Burundi, da Sri Lanka, dai Balcani, dalla Colombia emerge un mondo in cui grandi masse di persone sono trascinate in guerre e massacri senza scopo, senza presupposti ideologici, senza memoria, e per le quali è sempre più difficile distinguere la ragione dal torto, il vero dal falso. È il mondo del XXI secolo che si profila.

II

Non so esattamente quando la guerra è cominciata: è stato tanto tempo fa. Forse dei soldati governativi hanno rubato una pecora alle popolazioni Dinka. Forse i Dinka hanno sospettato che ciò fosse avvenuto. Naturalmente, qualsiasi cosa sia accaduta, era solo un pretesto. I padroni musulmani di Karthoum volevano impedire che i pastori neri del sud avessero gli stessi loro diritti. La gente del sud non sopportava che gli eredi degli schiavisti fossero i padroni del Sudan. Il Nord pretendeva di lottare per l’unità del paese. Il Sud, per l’indipendenza. Così cominciarono i massacri. Almeno un milione di vittime, a tutt’oggi.

Prima c’era uno spontaneo movimento di guerriglieri nel sud, Anya-Nya, poi, forse nel 1983, un colonnello Dinka, John Garang organizzò l’armata di liberazione del Sudan (SPLA), che ora controlla gran parte della regione. Così probabilmente cominciò la guerra. Nessuno si è occupato di scriverne la storia, di intervistarne gli attori. È una guerra che nasce e scompare giorno per giorno. Senza documenti, ordini scritti, mappe, giornali, lettere, diari. Non c’è carta. Non ci sono strade, scuole, ospedali, trasporti. Non c’è storia.

Il primo pezzo è da BERNARD-HENRY LEVY, Les damnés de la guerre, in “Le Monde” 30 maggio 2001; il secondo da RYSZARD KAPUSCINSKY, Death in Sudan, in New York Review of Books 26\4\2001 (il testo è del 1998).

Guerre, Peste e Tulipani

Gli anni trenta del XVII secolo furono un periodo di guerre, di conflitti religiosi, di fame in gran parte d’Europa. Anche in Olanda, travolta da una guerra contro la Spagna. Ma in Olanda, gli anni trenta furono soprattutto dominati dalla peste e dai tulipani. Nel solo biennio 1636/1637, morirono 25000 persone ad Amsterdam (il 20% della popolazione della città) e 18000 persone a Leida. Negli stessi anni, però, gli Olandesi trovarono il tempo di occuparsi di tulipani che, importati in Europa nel XVI secolo dalla Turchia, si rivelarono particolarmente adatti alla coltivazione nelle terre intorno ad Harleem. Verso il 1620 erano divenuti i fiori più amati dagli Europei; questo indusse dapprima i coltivatori olandesi a moltiplicare coltivazioni e varietà, poi tutti coloro che avevano un po’ di terra a lanciarsi in questa attività produttiva altamente remunerativa. A differenza di altri beni rari o ricercati, il cui commercio era monopolizzato dagli strati abbienti della popolazione, i tulipani offrivano democraticamente anche ai meno ricchi la possibilità di guadagnare qualcosa con poco sforzo: era sufficiente acquistare qualche bulbo, e lasciare che la natura lo trasformasse in magnifici fiori. Ben presto, mentre la peste e la guerra mietevano vittime ovunque, i bulbi di tulipano cominciano a scarseggiare e i fiori non soddisfano la richiesta; così, per la prima volta nella storia del capitalismo, sorge un mercato organizzato dei futures.

Si compravano, si vendevano e si impegnavano non solo i fiori, non solo i bulbi esistenti, ma i diritti sui bulbi futuri, quelli della stagione seguente e delle stagioni future. Ben presto, sia i tulipani che i bulbi erano divenuti oggetti privi di interesse. Ciò che importava ed era oggetto di scambio erano documenti, carte che conferivano la proprietà su bulbi futuri (e sui successivi tulipani): un mercato di fiori astratto, dematerializzato e virtuale che in poco tempo aveva spazzato via il mercato reale. Nel 1637, non erano più i prezzi dei bulbi, ma gli interessi sui prezzi pagati per bulbi futuri il vero oggetto di compravendita e di trasferimento: anche il metamercato dei futures era stato avviato. I prezzi dei tulipani aumentarono enormemente in tutta Europa. Ma, dopo un primo periodo di pazzie per il loro acquisto, gli acquirenti saggiamente rivolsero il loro interesse ad altri fiori, meno pregiati ma assai più a buon mercato. I tulipani cominciano ad appassire nei depositi olandesi, mentre la guerra si allontana e la peste diminuisce la sua violenza. Il disastro incombe sugli speculatori: si racconta che un commerciante avesse pagato per un solo bulbo pregiato da riprodurre 2500 fiorini. Il crollo si avvicina. Nell’aprile del 1637, la Corte Suprema olandese annulla tutti i trasferimenti di denaro connessi ai tulipani posti in essere dopo la semina del 1936.

Migliaia di famiglie furono gettate sul lastrico. I tulipani scomparvero per molto tempo dal mercato e dalle case europee.

Testi utilizzati: SIMON SCHAMA, The embarassment of Riches, University of California Press 1988; JONATHAN ISRAEL, The Dutch Republic: Its Rise, Greatness and Fall 1477 – 1806, Oxford University Press 1995; STEVEN NADLER, Spinoza: A Life, Cambridge University Press

Paesi Lontani

I

Queequeg era nativo di Kokòvoko,
un’isola assai lontana. Non è segnata su
nessuna mappa: i veri luoghi non lo sono
mai.

II

L’unico, quel
solo filo,
quel filo io tessi – dal filo
essendo interamente avvolto,
laggiù, nel lontano paese
nella libertà
nella repressione.
Grandi
Sono conficcati i fusi
Nel lontano paese che non c’è,
come alberi: è
Da sotto, una luce intessuta nel prato
D’aria, sul quale tu prepari la tavola,
per le sedie
Rimaste ormai vuote..

III

Così sto fermo, pietroso, di fronte
Al lontano paese
dove ti ho condotto
Dietro, incavato nella parete,
il gradino,
e sopra, rannicchiato, il ricordo.
Da lì
mormora, regalata dalla notte,
una voce.

IV

Dune bianche a forma di falce,
innumerevoli.
Sottovento, mille volte: tu.
Tu e il braccio
Con il quale nudo sono cresciuto
insieme a te
Ormai perduta.
Raggi bianchi. Ci ammucchiano
E noi portiamo il bagliore, il dolore e
il nome.
Bianco
è ciò che ci muove,
senza peso
è ciò che scambiamo.
Bianco e leggero.
Lascia che vada errando.
Paesi lontani, vicini alla luna, come
noi.
Costruiscono, costruiscono lo scoglio
Dove chi va errando si infrange,
e costruiscono
ancora:
con bianca schiuma di luce e onda
polverosa.
Tutto ciò che si è infranto sullo
scoglio,
dallo scoglio con un cenno richiama.
Dormi?
Dormi!

V

Non sono più in nessun posto.
Sono scomparsa in un paese che non
c’è.
Nessuno può trovarmi,
nessuno mi porterà indietro.

VI

Un mio antenato fu violinista,
fu domatore di cavalli,
e forse fu anche ladro.
Non sarà da lui che ho ereditato
la mia ansia di viaggiare verso paesi
lontani
Non sarà questa la ragione per cui i
miei capelli profumano di vento e di
mare?

Il primo pezzo è tratto da HERMAN MELVILLE, Moby Dick. Le tre poesie seguenti sono di PAUL CELAN, Gesammelte Werke in funf Banden, Suhrkampf, Francoforte 1983. Una edizione completa delle Poesie è stata pubblicata con testo a fronte da Mondadori (Meridiani) nel 1998. La prima poesia, Hawdalah, è tratta da Niemandsrose (1963), la seconda, Heute und Morgen, e la terza, Weiss und Leicht, da Sprachgitter (1959). Le ultime due poesie sono di MARINA CVETAEVA, oggi in Poesie scelte, Mosca 1998.

Il toro: due sonetti

I

Una mano fatta di nebbia e di paura
Arriva al tuo cuore, dolorosa e fredda,
E preme delicata, come farebbe
La brezza serena con la rosa.

La sua ombra, dolce e silenziosa,
Fa salire sui tuoi occhi un’onda di
tristezza,
E spegne il tuo coraggio sprezzante
Nella grigia arena, piena di rumore.

La pesante ferita della spada
Non ti lascia urlare una protesta,
E resta conficcata nel tuo corpo.

Tu vedi, lì vicino, quello che ti ha colpito
Lo guardi con lo sguardo che si vela,
Senza comprendere il perché.

II

Un tuono congelato è la tua testa
Incoronata da due luci spente
Due raggi silenziosi, assorbiti
Dalla morte che colma la tua fierezza.

Travolta cadde la tua potenza
Le tue ossa coraggiose, guardale, ormai
vinte
Guarda le onde del tuo sangue
trasformate
In un pianto immobile e inerte.

Già vedi la morte; un semplice suono,
Una mano tenace, febbrile, fredda,
Sopra il tuo cuore appassionato e vinto.

E guardala, come ha fatto confluire
Con crudeltà il tuo valore nell’oblio,
Inserendo dentro di te il nulla.

Da RAFAEL MORALES CASAS. I due sonetti, Agonìa del Toro e Toro muerto, sono tratti da Poemas del toro, Adonais, Madrid 1943.

Il trionfo del cavallo

C’erano oltre venti milioni di bisonti in un paese lontano, nelle praterie del Nordamerica verso il 1600. Non c’erano cavalli. I cavalli, importati nel Nuovo continente da Cortez nel 1519, cominciano a diffondersi nel Nordamerica solo a partire dal 1620. Solo verso il 1680 gli indiani imparano ad usare il cavallo per andare a caccia nelle grandi praterie. Inizia così la distruzione dei bisonti, vittime di una specie estranea al loro ambiente. La prateria è stata il trionfo del cavallo, il cavallo la rovina del bisonte. Quindi, è vero che gli europei hanno estinto i bisonti, ma non cacciandoli: semplicemente importando cavalli nel nuovo continente. Il cavallo trasforma in pochi anni la vita delle popolazioni del Nordamerica. Infatti gli indiani da centinaia di anni non erano più nomadi: erano coltivatori e sedentari. Con l’arrivo dei cavalli, molti indiani furono attratti dal movimento, dalla scoperta dei nuovi territori pianeggianti, dal fascino della vita nomade, e dalle possibilità che essa offriva in termini di sostentamento. Si mossero così verso il nord e cominciarono ad utilizzare il cavallo per percorrere le grandi praterie a caccia di bufali, fermandosi nei luoghi più propizi. La vita nomade è stata quindi non un punto di partenza, ma un punto di arrivo; non una costrizione, ma una scelta. Una scelta fortunata.

Mentre gli indiani rimasti sedentari e coltivatori muoiono in massa per le malattie contagiose contratte dai bianchi, che si diffondono agevolmente nei villaggi, gli indiani divenuti nomadi sfuggono a questa sorte: muovendosi a piccolissimi gruppi e mantenendo scarsi rapporti con i villaggi offrono maggiore resistenza alle epidemie. Tra il 1780 e il 1870, gli indiani coltivatori decrescono di circa l’80% soprattutto per le epidemie di vaiolo, mentre gli indiani divenuti nomadi sopravvivono per la maggior parte. Il cavallo, se è stato la rovina del bisonte, è stato la salvezza degli indiani.

Da ANDREW C.ISENBERG, The Destruction of the Bison: An Environmental History. 1750-1920, Cambridge University Press, 2000.

Figli Infedeli

I

Coro:
Piango per la madre vittima dei figli.
Distribuisce la giustizia Dio, quando giunge il momento.
Ma tu hai sofferto una morte orrenda.
Anche se tu pure avevi commesso delitti assai gravi.
Eccoli, i novelli assassini, del sangue della madre
Grondanti escono dalla soglia di casa.

Oreste:
Dio che tutto vedi e conosci
Guarda questo corpo sanguinante
Che giace al suolo:
io, io la ho uccisa
è stato il compenso per il mio soffrire.

Elettra:
Troppe lacrime, fratello.
Io, io sono l’unica colpevole.
Ho ucciso la madre
Che mi aveva generato.
Atroce destino, madre,
hai subito dai tuoi figli.
Ma giustamente paghi così i tuoi delitti.
Ecco, amata e odiata,
ti avvolgo con questo mantello,
è la fine delle sventure di questa famiglia.

II

Ho minacciato mio padre e mia
madre di bruciarli insieme con la loro casa.
Ma poi non lo ho fatto.

III

In una dolce penombra Jakob Apfelbock
Ammazzò il padre e la madre
E chiuse poi i corpi nel ripostiglio
E resto, tutto solo, nella casa.

Correvano le nuvole in cielo
E intorno alla casa soffiava mite il vento estivo;
in casa, lui se ne stava solo,
pochi giorni prima era ancora un
bambino.

Passavano i giorni e passavano le notti
Nulla era cambiato, salvo alcune cose
Seduto vicino ai genitori Jakob Apfelbock
Aspettava accada ciò che deve accadere.

La lattaia porta ancora il latte
Latte di prima qualità, dolce, grasso e fresco.
Jakob ne beve un po’, il resto lo butta
Perché Jakob Apfelbock non beve più molto latte.

Il giornalaio porta ancora il giornale
Con passo pesante verso sera
Lo getta rumorosamente nella cassetta
Ma tanto Jakob Apfelbock non lo legge.

E quando i cadaveri cominciarono a puzzare
Jakob si mise a piangere e stava male per l’odore,
ma poi, sempre piangendo, decise di trasferirsi
e da allora si mise a dormire sul
terrazzo.

Disse il giornalaio, che passava ogni giorno:
che cosa puzza così? Sento un puzzo di stantio.
Nella dolce penombra della sera, Jakob rispose:
è la biancheria sporca nel guardaroba

Disse la lattaia, che passava ogni giorno:
Che cosa puzza così? Sento un puzzo di morte.
Nella dolce penombra, Jakob rispose:
è il vitello che si frolla nella dispensa.

E quando poi andarono a guardare nel ripostiglio
Nella dolce penombra stava lì in piedi Jakob
E quando gli chiesero: ma perché lo hai fatto?
Rispose Jakob Apfelbock: Non lo so.

IV

Ho preso la falce, sono entrato in
casa, e ho compiuto l’orrendo crimine.
Li ho uccisi tutti: ho cominciato con
mia madre, poi ho proseguito con mia
sorella e con il mio fratellino più piccolo.
Poi ho rifatto il giro raddoppiando i colpi. A
un certo punto è entrata Maria, la
madrina di Nativel e mi disse, Ma che cosa
stai facendo, e io le risposi, Vattene
subito, se no o faccio fuori anche te.

V

Il giudice: E poi, dopo aver ucciso i
genitori, che cosa ha fatto?
L’imputato: Ho pulito per terra, ho
lavato il coltello, ho fatto la doccia e sono
andato con i miei amici in discoteca.

Il primo brano è tratto da Elettra di EURIPIDE. Il secondo brano è di ISAAC NEWTON, ed è tratto dall’elenco dei peccati commessi, contenuto nel Fitzwilliam Notebook (ora conservato a Oxford) compilato nel 1662 dallo stesso Newton diciannovenne. La poesia che segue è di BERTOLT BRECHT, in Hauspostille (pubblicato con testo a fronte in Poesie 1918-1933, Einaudi 1968. Spiega Brecht che questa poesia, come le altre contenute nella prima lezione, denominata Bittgange, si rivolge al sentimento del lettore; raccomanda di non leggere troppe pagine tutte di fila, e invita solo le persone in buona salute fisica a far uso di questa lezione, dedicata ai sentimenti. Jakob Apfelbock nacque a Monaco nel 1906 e uccise i genitori, con modalità simili a quelle descritte nella poesia, nel 1919.. Il quarto brano è da MICHEL FOUCAULT, Moi, Pierre Rivière, ayant égorgé ma mère, ma sœur et mon frère …. Un cas de parricide au XIXe siècle, Paris Gallimard, 1973. La traduzione italiana, di Pasquale Pasquino, è pubblicata da Einaudi. L’ultimo brano è tratto dalla deposizione di Maso al giudice istruttore, dopo l’assassinio dei genitori.

Il Tempo

Mio caro Lucilio:
Molti giorni ci vengono sottratti da occupazioni inutili, altri ci scappano di mano. Ma i giorni davvero perduti sono quelli che trascorrono senza che ce ne rendiamo conto. Una parte del nostro tempo trascorre poi senza fare nulla di buono o meritevole, ed un’altra parte nel fare cose diverse da quelle che dovremmo o potremmo. Fai tesoro di tutto il tempo che hai. Sarai meno schiavo del domani, se ti sarai reso padrone dell’oggi. Mentre rinviamo i nostri impegni, la vita passa. Se condurrai la vita con onestà non sarai mai povero; se invece seguirai il variare delle opinioni umane, non sarai mai ricco. Chi segue la sua strada ha sempre una meta da raggiungere, chi ha smarrito la retta via va errando all’infinito.

Da LUCIO ANNEO SENECA, Lettere A Lucilio.

Crediti

Questo diciannovesimo volume dei Testi Infedeli è stato stampato nel giugno del 2001 in duecentocinquanta copie non numerate e fuori commercio da Marco Capodaglio, in Milano nella tipografia Cinque Giornate srl.
Come sempre, tutti i testi sono stati liberamente e infedelmente tradotti e talvolta riscritti, anche se spesso è stato rispettato – non sempre integralmente – il pensiero dell’autore.
Il volume non sarà inviato a chi non ne accusa ricevuta per due volte consecutive.
I Testi Infedeli apparsi dal 1992 ad oggi possono essere letti nel sito internet www.nespor.com / www.testinfedeli.com, predisposto e curato da Claudia Winkler e Beniamino Nespor.
Per l’elaborazione di questo volume, ringrazio per l’aiuto e i suggerimenti Pasquale Pasquino, Marina Nespor e Maria Inglisa.