N. 23 inverno 2002

Un appello

È morta in ottobre Elsie Vaalboi.
Aveva di poco superato i 100 anni. Viveva in Sudafrica.
Era una delle due o tre persone conosciute ancora viventi che parlava la lingua !n\u, ultima sopravvissuta delle molte varianti del !Ui, la lingua degli San, cacciatori e raccoglitori che hanno popolato il Sudafrica da oltre 30.000 anni, ormai ridotti a poche centinaia di unità.
Da molti anni Elsie, aiutata dal Governo sudafricano e dal South African San Institute, cercava di insegnare ad altri la sua lingua per evitarne l’estinzione.
Non era un compito facile: l’ !Ui e la sua lingua gemella, la !Xoo, parlata dai San in Botswana, si basano su circa 140 fonemi fondamentali, mentre le lingue oggi diffuse ne usano non più di 60. Inoltre l’!Ui e la !Xoo utilizzano come fonemi suoni di arduo apprendimento, detti !click (per esempio, un !click bilabiale è il suono prodotto quando si manda un bacio a qualcuno, un !click palatale è il suono che si produce quando si incita un cavallo a muoversi, un !click alveolare corrisponde al suono con il quale si può esprimere in italiano un diniego senza parlare).
Così, quando Elsie è morta, nessuno è riuscito a dirle correttamente “!hoi ca”, e cioè arrivederci nella sua lingua.
Se c’è qualche persona anziana tra i vostri amici o conoscenti, tra i vostri fornitori, nel vostro condominio, che pensate sia in grado di parlare la lingua !n\u, segnalatelo immediatamente al San Institute di Johannesbourg. Sarà un prezioso contributo per evitare la scomparsa di una delle più antiche lingue africane.

S.N.

Il più grande caso di corruzione della storia repubblicana

Ero indeciso se il titolo dovesse essere “La madre di tutte le tangenti” oppure “Roma ladrona”. Poi, mi è sembrato che fosse più appropriata la definizione utilizzata da Cicerone in una sua lettera al fratello Quinto.
La storia si svolge a Roma. L’epoca è la fine della Repubblica, il primo secolo a.c. I personaggi, come è facile immaginare, sono faccendieri, avvocati, costruttori e, naturalmente, uomini politici.
Il personaggio centrale è Gaio Memmio, un rampante palazzinaro di buona famiglia, fornito di mezzi finanziari acquisiti con accorte speculazioni, che sceglie, come spesso accade, di lanciarsi in politica. Si schiera con il partito conservatore che fa capo al personaggio più potente del momento, Gneo Pompeo.
La scelta è giusta: viene eletto alla carica di Pretore nel 58 a.c. Diviene così influente negli ambienti che contano. Anche un poeta del calibro di Tito Lucrezio gli dedica il suo capolavoro, il De rerum natura, forse per ingraziarsi un personaggio di spicco, o per ripagarlo di favori ricevuti.
L’anno seguente Memmio è propretore nelle lontane province della Bitinia e del Ponto.
Non si tratta però di una punizione per traffici non del tutto trasparenti.
Al contrario. Si tratta di una usuale applicazione della prassi della Roma tardo repubblicana che assegna a chi cessa da incarichi elettorali (durano solo un anno proprio per impedire di utilizzare il periodo della carica per arricchirsi) una provincia: ufficialmente da governare, in realtà da spolpare, sia pure con discrezione, per ripagare i debiti contratti per finanziare la campagna elettorale.
Infatti chiunque aspirava a cariche pubbliche aveva bisogno di enormi quantità di denaro da prestare o da regalare ai propri potenziali elettori; aveva quindi bisogno di banchieri disponibili e di finanziatori occulti per sostenere la propria ascesa politica.
Oggi, la regola dei Romani non può più essere applicata per la mancanza di colonie. Così, le spese e i debiti contratti debbono essere ripagati durante lo svolgimento dell’incarico elettivo: esso quindi è necessariamente più lungo e, per molti, tende a diventare a vita.
Torniamo alla nostra storia. La Bitinia, ricca e fuori mano, era assai ambita: più la provincia è lontana, meno è probabile che le malefatte siano visibili al centro dell’impero.
Secondo la consuetudine si comporta Memmio: le popolazioni locali sono depredate con metodo e assiduità.
Un altro celebre poeta, suo amico, Catullo, lo segue nell’avventura. Non certo per amore dei viaggi, ma con la speranza di fare anche lui un po’ di quattrini.
Catullo si pente ben presto, e si lamenta del fatto che Memmio si accaparri tutto il frutto delle depredazioni, lasciando solo le briciole agli amici che lo avevano seguito (la protesta di Catullo riguarda naturalmente non l’accumulazione di illeciti profitti, ma solo gli ingiusti criteri di spartizione).
Poi Memmio torna, è riuscito a ripagare tutti i suoi debitori a spese dei Bitini, ed è pronto per puntare alla massima carica elettiva: il consolato. Ma per gli anni 55 e 54 l’elezione dei consoli è già prenotata dai triumviri (Cesare, Pompeo e Crasso). Non c’è posto per lui.
Dopo due anni di impaziente attesa, Memmio rompe gli indugi e decide di mettersi in gara per il consolato del 53. Ma il suo protettore Pompeo non lo appoggia, ha altri piani, e per di più perde terreno: il cavallo vincente appare a molti ormai Giulio Cesare.
Allora Memmio con un balzo uguale nelle finalità anche se inverso nel percorso (da destra a sinistra) a quello compiuto da molti noti personaggi attuali, abbandona il partito aristocratico di Pompeo e si schiera con i popolari e con Giulio Cesare.
La scelta viene premiata: Memmio ottiene da Cesare (ben noto per la sua sovrumana capacità di ottenere finanziamenti e crediti con ogni mezzo) un cospicuo appoggio finanziario.
Il progetto di Memmio così sembra realizzarsi: per il 53, Cesare organizza una cordata per il consolato, formata da sue creature: Memmio, appunto, e Gneo Domizio Calvino.
Il gruppetto promette una somma astronomica, dieci milioni di sesterzi, alle centurie che votano per prime (erano quelle che solitamente determinavano l’andamento elettorale).
La corruzione è di proporzioni inusuali anche per Roma, dove tutto ha un prezzo e tutto si può comprare: ricorda Sallustio che Giugurta, aveva osservato che Roma è una città che venderebbe anche sé stessa se trovasse un compratore.
A metà del 54, lo scandalo comincia ad emergere.
Cicerone, scrivendo al fratello, annuncia che sta per scoppiare “il più grande scandalo della storia repubblicana” .
La notizia rimbalza sugli ambienti economici e finanziari e il timore di perturbazioni politiche conseguenti determina un improvviso aumento dei prezzi delle importazioni e del tasso d’interesse (passa in poche settimane dal 4 all’8%), mettendo in serio pericolo gli equilibri dell’economia romana.
A settembre, poco prima delle elezioni per il consolato per l’anno seguente, il caso è sulla bocca di tutti, e non può più essere ignorato. Il Senato, che funge da giudice per questi casi, è sollecitato ripetutamente ad intervenire.
Scatta così per iniziativa di alcuni senatori l’operazione Mani Pulite dell’epoca.
Di fronte al Senato Memmio, dopo lunghi e estenuanti interrogatori, vuota il sacco.
Cicerone scrive che per i candidati corruttori e ai loro protettori (il riferimento, neppure troppo ambiguo, è a Cesare) non resta che suicidarsi o prendere il potere.
Ma ecco il colpo di scena.
Cesare, con un abile voltafaccia, simile a quello posto in essere qualche anno prima, quando aveva abbandonato Catilina (del quale, secondo molti, tra cui Catone, era stato compagno di congiura) riesce a tirarsi fuori, o viene benevolmente lasciato fuori da compiacenti giudici del Senato, per ingraziarsi i popolari che lo sostengono, e abbandona così Memmio al suo destino.
Cesare riesce così anche questa volta a salvarsi: non si suicida, come Cicerone aveva ipotizzato.
Prenderà di lì a poco il potere.
Per ragioni che ci sono sconosciute – ma la storia attuale ce le lascia immaginare – Memmio sfugge al processo per corruzione (dopo averne per vario tempo rinviato l’inizio sostenendo che i giudici non erano imparziali) e si rifugia ad Atene dove si dedica con successo al collezionismo di libri e manoscritti e alla sua antica vocazione, la speculazione edilizia.

Da: LUCIANO CANFORA, Giulio Cesare, Mondadori 1998; CATULLO, Carmi, 10 e 28; CICERONE, Lettere al fratello Quinto II, 14,4; Lettere ai famigliari, XIII,1.

Tre poesie di Mandelstam

I

Qui, sul luogo dell’incendio,
il tempo canta.
Taci. Non credo più a nulla.
Non sono che un passante.
Ma mi restituisce alla realtà
la tua bocca, attraente e minacciosa.

II

No, di nessuno sono contemporaneo,
Ho un omonimo, sgradito:
non sono io, è un altro.

Due mele di sonno ha il tempo sovrano
E una affascinante bocca d’argilla
Ma alla mano stanca dei suoi figli
si piega invecchiando.

Sollevo le palpebre stanche
Due mele di sonno
E fiumi in piena mi raccontano il corso
Delle dispute umane.
Nelle stanze afose, nei campi devastati
Il tempo agonizza – ma poi, poi
Due mele di sonno avvolgono gli occhi
E brillano di fuochi piumati.

III

La vita si è dissolta come un lampo
Come un goccio di acqua da un bicchiere
Ma io, corroso da illusioni e da menzogne
Non incolpo nessuno.

Vuoi un dolce notturno
Vuoi una bevanda fresca
Vuoi che ti tolga le scarpe
Vuoi che ti sollevi nell’aria come una piuma.

Dentro una ragnatela luminosa
Avvolto in morbide coperte di lana
Il raggio del lampione, laggiù
Lambisce il tuo corpo.

Solo un gatto trasale, e subito si trasforma
In lepre selvatica
La neve sulla strada, trapunta di passi,
si dissolve chissà dove…
Come stentava la tua voce
Mentre spudorata sorrideva
E il tuo volto avvampava
Di una incerta bellezza

Ma dietro i campi del casolare
Dietro il giardino schiumoso
Oltre il mare, si stende il paese
Dove finalmente staremo insieme.

Scegliendoci scarpe asciutte
Vestiti dorati
Cammineremo, mano nella mano,
lì, sulle strade di quel paese.

Senza guardarci intorno
Senza disturbare nessuno
Da un alba a un’altra alba.
Senza dover parlare.
Di niente, mai, a nessuno.

Da OSIP MANDELSTAM, Tutte le poesie, Mosca 1994. La prima poesia è un frammento delle poesie distrutte, composta probabilmente nel 1937 a Voronez, dove O.M. viveva in residenza coatta, e salvata dalla moglie di Mandelstam, Nazezda. La seconda poesia è del 1924. La terza del gennaio del 1925.

Il nemico dell’atmosfera

Thomas Medgely nacque in Beaver Falls, Pennsylvania, nel 1889, in una famiglia di inventori.
Laureatosi come ingegnere chimico, durante la prima guerra mondiale progettò bombe telecomandabili e un combustibile sintetico per aeroplani.
Finita la guerra, fu assunto dalla General Motors. Qui, nel 1921 si accorse che aggiungendo piombo tetraetile al combustibile i motori a scoppio funzionavano meglio.
Ecco pronta in pochi mesi la benzina addizionata di piombo: un dono di Dio, come spiegava la pubblicità della Dupont (la multinazione che è stata la principale produttrice mondiale di piombo tetraetile).
Nei cinquanta anni seguenti, sono stati bruciati oltre 25 miliardi di litri di benzina addizionata con piombo. Nonostante i preoccupanti dati che dopo pochi anni già emergevano sulla pericolosità di questo prodotto per la salute umana, la Dupont e la General Motors sono riuscite per decenni a impedire l’eliminazione del piombo come additivo per il carburante e a tenerne celati gli effetti dannosi.
Nel 1967 l’Unione Sovietica fu il primo stato a proibire l’uso di piombo nei combustibili.
Gli Stati Uniti lo fecero negli anni Settanta, il Giappone nel 1987. L’Europa arrivò al traguardo all’inizio degli anni Novanta.
Ma torniamo a Medgely il quale alla fine degli anni Venti lasciò i combustibili e cominciò a occuparsi di refrigerazione, un settore allora in enorme espansione negli USA.
E inventò il freon: una sostanza innocua per l’uomo e sulla terra assolutamente stabile, in quanto non reagiva con nessun altro prodotto. L’ideale per sostituire i gas tossici e infiammabili utilizzati per apparecchi di refrigerazione e per condizionatori d’aria.
Anche il freon ebbe un enorme successo: nel 1970 se ne vendevano oltre 750.000 tonnellate all’anno.
Fu solo nel 1974 che due scienziati si accorsero che lo strato di ozono che protegge la terra e i suoi abitanti dai raggi ultravioletti si stava assottigliando, al disopra di talune aree del pianeta – in particolare al di sopra dei Poli – con disastrose conseguenze per il plankton marino, la fotosintesi vegetale ed anche per gli esseri umani.
Ipotizzarono – e l’ipotesi venne presto confermata – che questo evento potesse essere causato proprio dalle molecole di freon, le quali, salendo verso le parti alte dell’atmosfera, si combinavano con le molecole di ozono, distruggendo così lentamente lo strato protettivo.
Per effetto di una convenzione internazionale (Montreal 1986) oggi la produzione di freon è cessata.
I paesi ricchi non lo usano più, avendo messo a punto prodotti sostitutivi altrettanto efficaci, e i paesi poveri stanno lentamente adeguandosi.
Ma le molecole di freon continueranno a danneggiare lo strato di ozono almeno fino al 2100.
Thomas Medgely non è stato testimone del disastroso esito delle sue due più celebrate invenzioni, essendo rimasto anzitempo vittima della sua sagacia inventiva.
Infatti, avendo contratto la poliomielite nel 1940, subito inventò una macchina basata su corde, cavi e pulegge per permettere agli inabili di sollevarsi da soli nel letto.
Fu la sua ultima invenzione e, esattamente come le altre, ebbe conseguenze tragiche e non previste.
La macchina lo strangolò nel 1944.
Fu ritrovato al mattino, appeso sul letto, paonazzo, col collo attorcigliato da cavi.

Da J.R.MCNEILL, Something new under the sun, Norton & Company, New York 2000.

Due poesie di Nanni Cagnone

I

Finché si era tutti
nel medesimo luogo,
giovani e noncuranti
delle differenze, brevi
barche ormeggiate
si urtavano talvolta
amichevolmente.

Ma per voi
un tortuoso scopo
oltremare. A me
bastava non comprendere
sonnolenza e collera
del mare.

II

Ingrandite
Finché sole, irreali,
rimasero indietro
distinte figure.
Si staccò dal seguirle
Il loro segreto – ombre
Nel vuoto chiarore,
nascoste nel vuoto
come solide assenza.

Esiguità, pensose
Fuorviate prove,
denti nella cenere.
Non è strano
Urtare, oscillare ombre,
credere più grande
colui che non si volge?

NANNI CAGNONE, Doveri dell’esilio, Night-Mail 2002

Petrolio

I

Quando la battaglia comincia, granate, colpi di mortaio e di mitragliatrice piovono sulla colonna di 1200 soldati governativi. Nuvole di fumo e di sabbia si sollevano ovunque; su un lato, si alza in volo uno stormo di uccelli impauriti.
Seduto sotto un albero, il comandante dei ribelli osserva un altro giorno di morte nel più grande paese e nella più lunga guerra del continente africano, il Sudan.
Siamo nella parte meridionale del paese.
Al governo, su a Karthoum, stanno gli arabi musulmani del nord: sono fondamentalisti, autocratici, schiavisti, odiati da tutti.
Il sud è invece popolato da neri, sono per lo più cristiani o animisti. Vaste zone sono sotto il controllo dello SPLA, l’Armata di liberazione del Sudan.
I soldati del governo avanzano di corsa. Quando sono a meno di ottanta metri di distanza, emergono dalla savana 3000 ribelli.
Comincia a questo punto il massacro.
In meno di mezz’ora, i pochi superstiti delle truppe governative sono in fuga.
Le perdite dei ribelli sono di trenta morti e 100 feriti.
Quelle delle truppe governative sono ben più consistenti, ma difficili da quantificare.
Molti dei feriti si rifugiano nella savana, e lì, dopo qualche giorno di agonia, muoiono.
Un soldato di 15 anni è appoggiato nell’ombra a un bambù, e fiotti di sangue escono dal fianco quando respira. Non può camminare, e sarebbe del resto inutile: il dottore più vicino è a centinaia di miglia di distanza.
Mentre la battaglia si svolge, il 21 agosto 2002, esponenti del governo e dei ribelli siedono intorno ad un tavolo in Kenya e discutono delle condizioni di pace.
Dopo gli incontri del luglio precedente, i rappresentanti del governo hanno promesso ai ribelli l’esenzione dalle leggi islamiche e forme non definite di autodeterminazione. Ora, le trattative riguardano le modalità di costruzione di un governo transitorio al quale esponenti delle due parti partecipino.
Nel frattempo, il governo sudanese cerca di impossessarsi di quanto più territorio è possibile, e la SPLA cerca di fermarlo.
Per questo c’è la battaglia.
La ragione è il petrolio, di cui il Sudan, in particolare il Sud, è ricco. I giacimenti sono ancora inesplorati proprio per il permanere della situazione di guerra.
Sono giacimenti sicuramente ingenti, secondo le prospezioni compiute dalle multinazionali del petrolio occidentali.
Però, memori dei conflitti insorti in Nigeria, vogliono le terre libere da popolazioni.
In quelle terre e quindi su quei giacimenti, vive molta gente, poverissima e non musulmana.
Le truppe governative, non appena riescono a eliminare o a scacciare gli abitanti, radono al suolo i villaggi con elicotteri e aerei che sganciano bombe incendiarie, per evitare che i villaggi siano ricostituiti.
Mentre le operazioni di pulizia territoriale sono in corso, il governo sudanese non permette alle agenzie internazionali e alle organizzazioni umanitarie di inviare propri esponenti, e neppure di inviare aiuti, medicinali o cibo.
Una volta compiute le operazioni di pulizia, il governo assicura le multinazionali del petrolio occidentale che i territori sono disabitati.
A questo punto rilascia le concessioni e incassa i compensi pattuiti con i quali compra armi e mezzi per proseguire nella sua opera di eliminazione.
I risultati sono assai positivi: per la fine del 2003, nonostante la situazione di guerra, sarà estratto il 35% in più di petrolio rispetto al 2000.
Mentre le multinazionali petrolifere occidentali spingono per ottenere nuove concessioni, e spingono il governo sudanese ad intensificare le operazioni di pulizia territoriale, i governi occidentali omertosamente sonnecchiano; poi spendono enormi somme di denaro per sostenere le popolazioni del sud e difendere i loro diritti.
Nello stesso tempo, ci sono mercenari russi che guidano gli aerei e gli elicotteri utilizzati dal governo sudanese per rendere disabitati i territori del petrolio.
Ma mercenari russi – secondo alcuni, gli stessi – sono poi impiegati anche dalle Nazioni Unite per sganciare medicinali e aiuti per le popolazioni in fuga.

II

“Petrolio? Avete fatto tutto questo per il petrolio?”

Il primo brano è da The Economist, 31 ago-7 settembre 2002; il secondo è tratto dal film “I tre giorni del Condor”: sono le parole che pronuncia alla fine Robert Redford.

Due poesie di Ernesto Cardenal

I

Ragazze che emozionate leggerete
Questi versi un giorno,
E sognerete un poeta:
sappiate che li ho composti
per una ragazza come voi,
e non sono serviti a niente.

II

Mi hanno detto
Che ti eri innamorata di un altro;
allora ho scritto questo articolo
contro il Governo
e adesso sono in prigione.

ERNESTO CARDENAL, Poesias escogidas, Managua 1985.

Un po’ di religione, come al solito

All’inizio dei tempi, gli uomini vivevano tutti intorno ad un grande albero nella giungla, e parlavano lo stesso linguaggio.
Stavano tutti lì, perché c’era uno di loro seduto su un ramo dell’albero, e non si muoveva mai: aveva le gambe infette da parassiti che gli impedivano di camminare.
L’odore delle gambe infette attirava gli animali della giungla: bastava che gli uomini stessero ad aspettare, e potevano uccidere gli animali man mano che giungevano.
Così, c’era sempre cibo per tutti.
Poi, un giorno, un uomo uccise un altro per avere la sua moglie per sé.
I parenti dell’uomo assassinato decisero di vendicare il delitto; a difesa dell’uccisore intervennero i suoi parenti.
Dopo una lunga battaglia, questi ultimi ebbero la peggio, e dovettero rifugiarsi tutti tra i rami dell’albero.
I parenti dell’uomo assassinato cominciarono allora a tirare le liane che pendevano dai rami, e a scrollare l’albero per far cadere i nemici.
Erano quasi riusciti a piegare il gigantesco albero fino a terra, ma a un certo punto le liane si spezzarono, e l’albero scattò all’indietro con una tremenda forza, spezzandosi.
L’assassino e i suoi parenti, ed anche l’uomo con l’infezione alla gambe, furono scagliati in aria in tutte le direzioni, e atterrarono così lontano che non riuscirono mai più a tornare, né a ritrovarsi l’uno con l’altro.
Con il tempo, anche i loro linguaggi cominciarono a diversificarsi. Ed è per questo che oggi si parlano così tante lingue diverse, per questo la gente non si comprende; è per questo che per i cacciatori è difficile trovare il cibo, e devono cercarlo qua e là nella giungla, invece che attendere sotto l’albero.

*

Così ebbe origine il linguaggio secondo i Sikari, una piccola tribù formata da seicento abitanti della Nuova Guinea orientale (la storia è stata raccolta dall’antropologo Jared Diamond.
I Non-Sikari naturalmente hanno forti dubbi che le cose siano andate effettivamente così.
Per esempio, tra i moltissimi Non-Sikari che popolano la terra, una gran parte (per esempio, un americano su quattro, secondo recenti sondaggi) ritiene che la Bibbia sia una cronaca vera, sicché i diversi linguaggi sono sorti a seguito della punizione di Dio nei confronti del velleitario ed empio tentativo di costruire una torre alta fino al cielo, la torre di Babele.
Analogamente, i Non-Mormoni non credono che Joseph Smith abbia visto l’angelo Moroni il 21 settembre 1823 e che l’angelo gli abbia confidato che alcune piastre d’oro contenenti rivelazioni di Dio erano sepolte nella sommità di una collina vicino a Manchester Villlage, nella parte occidentale dello Stato di New York.
I Non-Mormoni non credono neppure che l’angelo Moroni abbia ordinato a Smith di cercarle, di tradurle e di eseguire ciò che sulle piastre era scritto; non credono che Smith le abbia trovate e, con l’aiuto dell’angelo, sia riuscito a tradurle.
I Non-Mormoni non credono a questa storia, su cui si fonda la religione dei Mormoni, anche se ci sono ben otto dichiarazioni giurate di testimoni che hanno visto personalmente le piastre d’oro (Christian Whitmer, Hiram Page, e altri sei), prima della loro definitiva scomparsa.
Ma che differenza c’è tra la storia dell’albero e quella della torre, e tra la storia di Joseph Smith e, per esempio, quella di Mosé?
Consideriamo il secondo esempio.
Siamo in presenza, in entrambi i casi, di rivelazioni divine effettuate prescegliendo un destinatario esclusivo delle stesse.
In entrambi i casi, il prescelto si reca da solo su una sommità, in entrambi i casi ritorna con un oggetto consegnato da Dio o da un suo incaricato (l’angelo Moroni): due tavole nel caso di Mosé, le piastre nel caso di Smith.
Infine, in entrambi i casi, abbiamo delle versioni del fatto, riportate da terzi: la Bibbia per Mosé, otto testimoni per Smith.
Ovviamente, si può pensare che la Bibbia e gli otto testimoni siano inattendibili. Si può pensare, cioè, che Mosé alcune migliaia di anni fa, Smith meno di duecento anni or sono si siano inventati la storia dei loro rapporti con la divinità.
Questo dimostra che il successo di una religione non dipende dalla verità o dalla credibilità dei suoi contenuti.
Dipende dal fatto che i suoi contenuti e i suoi insegnamenti offrono un codice in base ai quali gli aderenti costruiscono un sistema sociale funzionante.
Anche contenuti totalmente incredibili e insensati possono avere successo, se determinano comportamenti che hanno successo nel mondo reale.
Anzi: molte religioni, e fra queste la religione cattolica, dimostrano che contenuti totalmente privi di senso, ma densi di aspetti simbolici, hanno più successo di quelli che tengono conto della realtà.

S.N.

Crediti

Questo ventitreesimo volume dei Testi Infedeli è stato stampato nel dicembre del 2002 in duecento copie non numerate e fuori commercio da Marco Capodaglio, in Milano nella tipografia Cinque Giornate srl.
Come sempre, tutti i testi sono stati liberamente e infedelmente tradotti e talvolta riscritti; spesso è stato rispettato – non sempre integralmente – il pensiero dell’autore.
Il volume non sarà inviato a chi non ne accusa ricevuta per due volte consecutive.
I Testi Infedeli apparsi a partire dal 1992 possono essere letti nel sito www.nespor.com (ove sono raccolti anche altri miei scritti e una scelta dei miei disegni).
Il sito è stato curato e aggiornato da Stefano Rossi. L’inserimento dei Testi infedeli nel sito è stato curato anche da Beniamino Nespor.
Per l’elaborazione di questo volume ringrazio per l’aiuto e i suggerimenti Maria Inglisa, Marina Nespor, Ada Lucia De Cesaris, Pasquale Pasquino.