N. 31 inverno 2006

LA COPERTINA
Franz Kafka. Dipinto con colori a olio solubili in acqua winsor & newton, matita e acrilico, su tela

QUESTO NUMERO TRENTUNO
In questo trentunesimo fascicolo dei Testi infedeli troverete un pezzo su verità e politica di Hanna Arendt (di cui ricorre il centenario della nascita), insieme a un motto di Clemenceau e a un frammento di Agatone.
Sullo stesso tema, alcuni brani dal Galilei di Brecht (di cui ricorre il cinquantenario della morte).
Poi, alcuni pensieri da testi meno noti di Franz Kafka.
C’e un brano di George Orwell che ricorda il suo breve periodo come commesso di libreria.
Ci sono poesie di Frantisek Halas (anch’egli per qualche tempo, come Orwell, commesso di libreria, e come Orwell in Spagna durante la guerra civile), di Gioconda Belli, di Giorgio Mannacio e di Giovanni Giudici.
C’è, infine, un resoconto sull’iniziativa 25 euro per Luweero.
Il consueto tema dell’eresia è naturalmente presente con Galileo, con Halas (eretico comunista) e con la poesia di Giudici.

LA NOTTE È CHIARA
Sagredo: Galileo, ti vedo camminare su una terribile strada. È una notte di sventura quella in cui l’uomo vede la verità: è un’ora di accecamento quella in cui crede l’essere umano capace di ragionare. Pensi che i potenti lascerebbero mai andare libero uno che conosce la verità, sia pure in merito a stelle infinitamente lontane? Pensi che il Papa ascolterà la tua verità, e scriverà tranquillamente sul suo diario “Oggi, 10 gennaio 1610, abolito il Cielo?”

*

Cardinale: Mi è stato riferito che questo Galileo vuole togliere l’uomo dal centro dell’universo per relegarlo in un punto imprecisato ai suoi margini. È evidente che Galileo è un nemico del genere umano e va trattato di conseguenza: l’uomo è la gemma del creato la suprema e prediletta creatura di Dio.
È concepibile che Dio abbia affidato la sua più sublima fatica a un piccolo grumo di terra fuori mano? E che per di più abbia inviato lì il suo figlio adorato, per farlo uccidere? Possono esistere cervelli così pervertiti che possono creder questo?
(Poi, in preda all’ira e rivolgendosi a Galileo come se fosse presente) Galileo, avete voluto degradare la terra di cui vivete e che vi dà tutto. Avete sputato sul piatto che vi nutre. Ma sappiatelo: io non sono una nullità collocata su una stella qualunque, che si muove di qua e di là. Io cammino con passo sicuro sulla Terra che sta ferma ed è al centro di tutte le cose, e io sto al centro e l’occhio di Dio è sopra di me. Intorno a me, fissate a otto volte di cristallo, girano le stelle fisse e il sole, creato apposta per diffondere la sua luce su tutto ciò che mi circonda e su di me, in modo che Dio possa vedermi.

*

La figlia Virginia: Com’è la notte, padre?
Galileo: La notte è chiara.

I tre brani sono tratti da BERTOLT BRECHT (1898 – 1956), Leben des Galilei, Aufbau 1958. Su “La vita di Galileo” di Brecht si può vedere su La Stampa del 13.10.95 l’intervista a Giorgio Strehler “Strehler-Brecht: la passione ci chiama” in occasione della lettura che il regista dedicò a Brecht al Piccolo Teatro di Milano. Una poesia di Brecht è su Testi Infedeli, estate 2001.

TRE POESIE DI GIOCONDA BELLI

Castelli di sabbia

Perché non mi hai detto che stavi costruendo
Questo castello di sabbia?
Sarebbe stato così bello
Poter entrare per quella piccola porta
Correre per i suoi corridoi dal sapore di sale
Aspettarti in stanze tappezzate di conchiglie
Parlarti dal balcone
Con la bocca piena di schiuma trasparente
Con parole leggere
Che non pesano più
Dell’aria che passa tra i miei denti.

Sarebbe stato così bello il mare
Visto dal nostro castello di sabbia
E rivivere, mentre il tempo è lambito
dall’onda tenera e profonda dell’acqua
le storie che ci raccontavano
quando, bambini, eravamo tutt’uno con la natura
intorno a noi.
Adesso l’acqua si è portata via il tuo castello di sabbia
Con l’alta marea
Si è portata via le torri,
i fossati, la porticina dove avremmo potuto passare
con la bassa marea
quando la realtà era ancora lontana
e c’erano castelli di sabbia
che ci aspettavano sulla spiaggia.

Frantuma la luna

Frantuma la luna tra le tue mani
Falla a pezzi
E cospargiti della sua polvere
Fine e scura.
Proteggiamoci dai simboli
E dai sogni
Respingiamo le insidie della vita con un duro schermo di realtà. Accettiamo
il giorno e la notte
attraversando il tempo
con spalle rette e occhi ben aperti.

Lucciole

Alle cinque della sera
Quando il chiarore si attenua
E il giardino si immerge nell’ultima dorata luce del giorno
Sento il gruppetto di bambini
Che va a caccia di lucciole.
Correndo sul prato
Si disperdono tra gli alberi
Gridano la loro eccitazione
Poi in gruppo corrono vicino alla bimba più piccola
Che esibisce la luminosa concavità delle mani giunte
Tremando.
Ti ricordi dell’ultima volta nella quale abbiamo creduto
Di poter illuminare la notte?
Il tempo ci ha svuotati di ogni brillio.
Ma l’oscurità
Continua ad essere popolata di lucciole.

GIOCONDA BELLI è nata in Nicaragua nel 1948. È vissuta in esilio in Messico, è ritornata in patria nel 1978 dopo la vittoria dei Sandinisti collaborando con il governo rivoluzionario. Poi, si è trasferita negli Stati Uniti. Ha scritto romanzi e poesie. Línea de Fuego ha vinto il premio Casa de las Américas nel 1978. Nel 2001 El País Bajo mi Piel, Memorias de amor y de Guerra e, da ultimo, nel 2005 una biografia di Giovanna la Pazza, El pergamino de la seduciòn 2005. Le sue poesie sono raccolte in El Ojo de la mujer poesia 1970 – 1990. Gioconda Belli è stata intervistata da Anna Maria Torriglia: si veda “Faguas di passioni” in l’Unità del 26 giugno 1995. I libri in italiano (L’occhio della donna, La fabbrica delle farfalle; Waslala; Sofia dei presagi; La donna abitata sono tutti editi da E/O.) Si veda anche il sito www.giocondabelli.com.

VERITÀ E POLITICA

I

Un esponente della Repubblica di Weimar chiese a Clemenceau negli anni venti del secolo scorso che cosa, secondo lui, avrebbero detto gli storici del futuro sulla questione della responsabilità dello scoppio della prima guerra mondiale. “Non lo so”, rispose Clemenceau, “ma certamente nessuno dirà che è stato il Belgio a invadere la Germania”.

II

Nessuno ha mai dubitato che verità e politica siano termini conflittuali e nessuno, d’altro canto, ha mai inserito la sincerità tra le virtù del politico.
Al contrario, le bugie sono sempre state considerate come strumenti necessari o comunque giustificabili non solo del politico ma anche dello statista più rispettabile.
Qual è la ragione di ciò? C’è un detto latino, Fiat justitia et pereat mundus (coniato però solo nel sedicesimo secolo, probabilmente dall’imperatore Ferdinando I) che, se adattato alla verità, esprime sinteticamente questa situazione di conflitto: la ricerca della verità ad ogni costo può far crollare l’organizzazione sociale.
Solo Kant ha apertamente manifestato il proprio dissenso, osservando che “gli uomini non vorrebbero mai vivere in un mondo privo di giustizia e di verità; quindi questo valore deve essere considerato sacro, a prescindere dai sacrifici richiesti al potere politico e dalle conseguenze sulla vita associata”.
Ma è davvero ragionevole questa anteposizione ad ogni costo della verità alla salvezza dell’organizzazione sociale? Non avevano invece ragione i filosofi del Settecento allorché affermavano, per usare le parole di Spinoza, che “non c’è legge più alta che quella che impone la sicurezza e la salvezza della collettività”? Non è quindi più ragionevole sacrificare la verità, se il prezzo è la salvezza della comunità?
Del resto, osservava Hobbes che in molte occasioni la menzogna è spesso utilizzata per raggiungere i fini voluti, al posto di mezzi più rudi o violenti, sicché le menzogne possono essere ritenute strumenti sostanzialmente innocui nel vasto armamentario dell’azione politica. È però vero anche il contrario: la storia recente – è il caso dell’aggressione all’Iraq da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia – dimostra che le menzogne sono assai spesso usate non per evitare, ma per favorire l’uso di mezzi violenti. In questo caso, esse possono costituire strumenti letali dell’azione politica.
D’altro canto, se sembra inconcepibile la vita in un mondo privo di giustizia o, magari, di libertà, addirittura incomprensibile sembra la vita in un mondo privo di verità, dove sia impedito all’uomo, come dice Erodoto, to legein ta eonta, raccontare ciò che esiste.
Eppure, nel corso della storia, coloro che hanno detto la verità si sono trovati spesso a malpartito quando hanno tentato di convincere i propri concittadini ad abbandonare menzogna ed illusione.
Già Platone osservava (nella sua allegoria della caverna) che chi insiste nel dire la verità a coloro che vivono nell’inganno corre il rischio di essere ammazzato.
A questo rischio è sottratto, secondo Hobbes, solo chi enunci verità indifferenti rispetto al potere, al profitto o al piacere, quali le verità matematiche o fisiche; eppure lo stesso Hobbes riconosce che anche queste sarebbero soppresse o contestate non appena costituissero un pericolo per il potere o per gli interessi economici della collettività: l’esempio di Galileo è nella mente di tutti.
Certamente però per il potere la verità dei fatti è più facile da falsificare o nascondere che la verità delle idee: l’esempio della scomparsa di Trotsky da tutti i libri e le foto sulla rivoluzione russa esistenti nell’Unione sovietica o la damnatio memoriae inflitta dai faraoni egiziani ai loro predecessori sgraditi sono un ottimo esempio. I fatti sono più fragili che gli assiomi, le scoperte e le teorie; e, una volta cancellati o perduti, è spesso assai arduo farli riemergere o ricostruirli con esattezza. Al contrario, sembra probabile che le teorie di Euclide, di Galileo o di Einstein, quand’anche vietate o soppresse per lungo tempo, sarebbero prima o poi tornate alla luce e “riscoperte”.
Tuttavia, anche se le verità politicamente più rilevanti sono quelle che concernono i fatti, il conflitto tra verità e politica si è inizialmente manifestato con riguardo alle teorie, alle verità razionali.
In proposito, è interessante notare che nel plurisecolare dibattito in merito al conflitto tra verità e politica, da Platone a Hobbes, a nessuno è venuto in mente che la menzogna politicamente organizzata potesse costituire un’arma terribile contro la verità. Il pericolo, come insegna ancora Platone nel mito della caverna, era rappresentato dall’ignoranza, non dalla menzogna.
In effetti, nessuna delle maggiori religioni dell’epoca – salvo lo Zoroastrismo – includeva il mentire tra i peccati capitali.
Solo con il Puritanesimo e con il contemporaneo affermasi del metodo scientifico che presupponeva la verità dei fatti e la sincerità dello scienziato la menzogna comincia ad essere considerata un’offesa grave. Prima di questa data, l’opposto della verità non era la menzogna, ma l’opinione, parificata secondo Platone all’illusione e all’ignoranza.
“Tutti i governi sono basati sull’opinione” e non sulla verità, affermava James Madison: nessuno, neppure un tiranno, potrebbe mantenere il potere senza sostegno di gente che ne condivide le opinioni.
Nel contempo, chiunque affermi di proclamare delle verità assolute che in quanto tali non necessitano di essere sostenute da opinioni favorevoli, costituisce un pericolo per ciascun governo.
Tracce di questo conflitto sopravvivono ancora nell’era moderna. Molti ritengono che l’affermazione di Lessing “ciascuno dica ciò che gli sembra vero, e lasciamo la verità nelle mani di Dio” significhi che l’uomo non può conoscere la verità: quelle che considera verità sono solo opinioni.
Lessing intendeva dire, al contrario, che gli uomini sono fortunati perché non possono conoscere la verità: l’inesauribile ricchezza delle opinioni diffuse tra gli uomini è quindi meglio che la conoscenza della verità. Ecco che quindi che la fragilità della ragione umana, incapace di conoscere la verità, in sostanza l’opinione, acquisisce gradualmente una connotazione positiva.
Si giunge così alla critica della ragion pura kantiana, ove la ragione si rende conto della sua limitatezza e all’idea di Madison secondo cui “la ragione umana è timida quando è sola ma diviene forte e coraggiosa se le idee sono condivise da molti”.
Sono queste le considerazioni, molto più che la difesa dei diritti umani, che conducono nell’epoca successiva alla vittoria nella battaglia per ottenere la libertà di espressione. È per questo che Spinoza, ancora sicuro che l’uomo possa arrivare a conoscere la verità, non difende mai il valore di questa libertà, ritenendo anzi una debolezza della mente umana quella di aver bisogno di comunicare con altri e di essere incapace di mantenere il silenzio e il segreto sulle proprie idee.
Per converso, Kant ritiene che “il potere che priva l’uomo della libertà di comunicare pubblicamente i suoi pensieri priva l’uomo anche della sua libertà di pensare”.
Nel mondo contemporaneo, le tracce di questo conflitto tra verità razionale e politica, tra verità e opinione, sono ormai da tempo scomparse. Né la verità delle religioni rivelate, né quella dei filosofi riesce ormai ad esplicare influenza decisiva sugli affari umani.
Al contrario, si è sviluppato il conflitto tra la verità dei fatti e la politica. Anche nei paesi più liberi, i fatti sgraditi non sono cancellati, ma sono deformati e trasformati in opinioni.
Si riapre così l’antico conflitto tra verità e opinioni, concentrato però non più sulle idee, ma sui fatti.

III

Una sola cosa neppure a Dio può essere concessa: cancellare il passato.

Il primo brano è tratto da MADELEINE MICHEL CLEMENCEAU, Georges Clemenceau – Sa Vie Racontee A La Jeunesse De France, L’inconnu, Parigi 1972. Il terzo brano è quasi tutto ciò che resta degli scritti di AGATONE, nato a Leonzio nel 447 a.C. vissuto ad Atene dove morì nel 400 a.C. Autore di liriche e tragedie, amico di Socrate e Platone, citato da Dante (nel XXII canto del Purgatorio). Il secondo è una sintesi della prima parte della lunga dissertazione di HANNA ARENDT, Reflections. Truth and Politics, pubblicata sul New Yorker del 25 febbraio 1967. Hannah Arendt è nata cento anni fa, nel 1906, a Konigsberg.
Studia a Berlino, Marburgo, Friburgo e Heidelberg negli anni venti con Heidegger, Husserl e Jaspers. Frequenta Benjamin e Broch.
Abbandona la Germania nel 1933 (sfuggendo alla Gestapo) e si rifugia prima in Francia, poi, nel 1941, negli Stati Uniti. Nel 1951 pubblica la sua opera più nota, Le origini del totalitarismo. Nel 1961 segue a Gerusalemme il processo contro Adolf Eichmann, inviando al New Yorker corrispondenze, poi rielaborate nel volume La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme (1963). Scrive per la Partisan Review e per la New York Review of Books, schierandosi contro la guerra del Vietnam e le tendenze imperialistiche degli Stati Uniti. Muore a New York nel 1975. L’archivio di Hanna Arendt, che comprende anche, in copia, i documenti custoditi negli Stati Uniti presso la Library of Congress, è presso l’ Hannah Arendt-Zentrum dell’Università Carl von Ossietzky di Oldenburg (consultabile all’URL www.uni-oldenburg.de /arendt-zentrum/1078.html). È stata recentemente tradotta in italiano e pubblicata da Bollati Boringhieri una accurata biografia della Arendt, scritta da una sua allieva, Elisabeth Young-Bruhl.

POESIE DI GIORGIO MANNACIO
Figure fuori campo

A volte i pazzi scorgono
nell’angolo della stanza o dove
un corridoio finisce
luoghi chiusi, stremati –
ombre che si dileguano o qualcosa di simile.
Non c’è neppure il tempo per richiamarle
Anche se conosciute
Tanto veloce è il moto che le torce e le incalza
(e poi fuga, abbandono
Disperazione, sangue e morte infine
Sono da pronunciare a cuor leggero?)
Per questo forse nel medesimo istante
Dolcissimo e feroce il loro sguardo brilla.
Patire sorridendo tutto quanto è invincibile
Può essere segno di grande saggezza
O invece
Fingere anima indomita, senza pietà
(lei che sa amare e uccidere con la stessa
Struggente serenità).

Il sonnambulo bambino

Si dice che il sonno allenti
Catene di sospetti, trame di falsità;
bisogna, dunque, fingere un discorso dormendo
e affidare a mezze parole, a gesto strano
una sonnambula verità?
Ma quale è il luogo sconosciuto e lontano
Dove potrà restare in eterno
Il dipinto spostato da quell’incerta mano?
È solo un bambino o almeno
Così si mostra nell’incerta luce
E questa non è neppure una malattia
Ma forse il filo di un’utopia
Con un occulto ardore lo conduce ad apparenti difficoltà
E poi, nell’amnesia che l’accompagna
Si legge la cifra di un destino
comune a tutti, che non conosce l’età.

Preparativi contro tempi migliori

I

Era un giorno di meraviglia che incantava
il reticente visitatore,
la residua pietà che lo portava
nel silenzio d’estate a commentare
malattie immaginarie.
Ride bene chi ride l’ultimo e poi
bisogna prepararsi alla guerra
contro i tempi migliori che verranno.

II

Frugando col bastone in mezzo all’erba
cercava quella radice, forse un fiore
o soltanto il suo nome (la memoria
ha stremato la forma ed i colori;
non ho tempo per ricordare perché devo
prepararmi alla guerra
contro i tempi migliori che verranno).

Le prime due poesie sono tratte da Visita agli antenati, con la prefazione di Arturo Schwarz, Philobiblon edizioni 2006. La terza da Preparativi Contro Tempi Migliori, Aleph, Torino 1993. Giorgio Mannacio è stato per molti anni Presidente prima del Tribunale, poi della Corte di appello del lavoro di Milano; è autore anche di Fragmenta Mundi Edizioni del Leone 1998, Storia di William Pera, Campanotto 1998.

MEMORIE DI LIBRERIA
Quando lavoravo in un negozio di libri usati ciò che più mi stupiva era la scarsità di clienti amanti dei libri. Il negozio aveva uno stock di libri assai consistente e di grande pregio, ma ben pochi riuscivano a distinguere un libro buono da uno cattivo. Gli snob alla ricerca di prime edizioni erano più comuni che gli amanti della letteratura; ancor più frequenti erano studenti asiatici alla ricerca di libri di testo a poco prezzo; la categoria più numerosa era però costituita da signore interessate all’acquisto di regali di compleanno per i loro nipotini.
La gran parte degli avventori, poi, sarebbe stata considerata un flagello quasi ovunque, mentre in un negozio di libri usati riuscivano ad ottenere attenzione. Per esempio, la vecchia signora che vuole un libro adatto per un amico malato (richiesta questa assai frequente), e quell’altra che vuole una copia del libro così interessante che aveva letto dodici anni prima: purtroppo non ricordava né il titolo, né l’autore; ricordava solo che si trattava di una storia d’amore e che la copertina era rossa.
Ci sono inoltre due ben note tipologie di clienti pericolosi che affliggono tutti i negozi di libri usati. La prima è costituita dall’avventore attempato, con vestiti logori che odorano di briciole di pane, che viene tutti i giorni, spesso più volte al giorno, e cerca di vendere pacchi di libri senza alcun valore.
L’altra è il cliente che ordina libri che poi non intende acquistare. In realtà, circa la metà delle persone che ci chiedevano di procurare un libro, per lo più assai raro, costoso e difficile da trovare, non si faceva più vedere. All’inizio, non riuscivo a capire perché si comportassero in questo modo. Mi resi conto pian piano che la maggior parte erano dei paranoici. Ce ne sono sempre molti che si aggirano per città come Londra, e tutti, per lo più, gravitano intorno alle librerie perché è uno dei pochi posti dove si può sostare per un po’ senza dover acquistare o consumare qualcosa. Tutti questi provano piacere per il semplice fatto di ordinare un libro costoso: probabilmente, si illudono di essere davvero ricchi.
Uno dei nostri principali settori di attività era costituito dal prestito: avevamo a questo scopo circa seicento volumi, tutti di narrativa. Non chiedevamo alcun deposito: certamente, c’erano quelli che ottenevano in prestito il libro versando la somma pattuita e poi, dopo aver rimosso l’etichetta, lo rivendevano ad un altro negozio. Tuttavia, l’esperienza insegnava che era preferibile subire alcuni furti che scoraggiare molti da richiedere il prestito pretendendo un deposito.
Solo nel prestito si vedono i reali interessi dei lettori. Per esempio, pochissimi richiedono volumi degli autori classici come Dickens, Thackeray, Austen, Trollope. I libri di questi autori sono invece facili da vendere, come è sempre facile vendere Shakespeare. La ragione è che questi libri devono essere presenti nelle biblioteche, ma non vengono necessariamente letti.
Mi sono spesso chiesto se mi sarebbe piaciuto dedicarmi durevolmente a questo lavoro. La risposta, tutto considerato, è no. La ragione è che lavorando in una libreria si perde interesse per i libri e per la lettura. Infatti, in quel periodo smisi di comprare libri. Ancora oggi, a tanti anni di distanza, l’odore dolciastro delle pagine che invecchiano non mi attira più.

Da GEORGE ORWELL, Selected Essays, Penguin 1957. Bookshop Memories è stato originariamente pubblicato su Fortnightly nel Novembre del 1936. In quello stesso anno George Orwell (Eric Arthur Blair) sposa Eileen O’Saughnessy e con lei parte per la Spagna per difendere la Repubblica contro il colpo di stato di Franco. Una biografia di Orwell e una amplissima selezione dei suoi si trova in http://www.orwell.ru/. Da segnalare anche l’articolo: “Fbi scatenata, Marilyn ed Einstein nel mirino degli agenti”, in Corriere della Sera del 3.2.97. Dedicato all’inchiesta del giornale inglese Sunday Times, il Corriere pubblica rivelazioni sui controlli svolti dall’Fbi su George Orwell (oltre che su Marilyn Monroe e i Kennedy, Albert Einstein, Ernest Hemingway, Pablo Picasso, John Wayne, John Steinbeck, Elvis Presley).

NOVEMBRINA
Per insonnie nel tempo che si compie
Di vita eterna il tuo settantesimo anno
E non da mio volere che forse tu lo decidi
Dal tuo mai più riemersa quando in me
Trabocchi notturne lacrime:
Tu mia spenta lucerna e vaghezza di cenere
Però non dimenticartene – portami
Dalla scuola il gessetto col quale navi e navi
Disegnavamo alla piccola lavagna più i nostri
Cancellabili nomi – non lasciarmi
Qui adesso senza un dove onde impetrare asilo:
Ahi novembrina ahi rovo di tenerezza.

GIOVANNI GIUDICI, Eresia della sera, Garzanti, 1999.

DAI MANOSCRITTI DI FRANZ KAFKA

I

La disgrazia di Don Chisciotte non è la sua fantasia. È Sancio Pancia.

II

Galoppavamo nella notte. Una notte scura, senza luna e senza stelle, ma ancor più scura di quanto non siano solitamente le notti senza luna e senza stelle. Avevamo una missione importante da compiere, che la nostra guida teneva scritta in una busta sigillata. Per paura di perdere la strada, ogni tanto qualcuno di noi si spingeva avanti e affiancava la guida. Quando toccò a me, mi accorsi che la guida non c’era più. Allora decidemmo di tornare indietro.

III

21 settembre 1920.
Raccolti i resti.
Le membra felicemente sciolte.
Le ginocchia rilassate
Sotto il balcone, nella notte chiara
Alla luce della luna.
Sullo sfondo,fogliame
Nero come i miei capelli.

IV
La via passa su una corda, tesa non in alto, ma vicino al suolo. Non è fatta per essere percorsa, ma per inciampare.

V

Il momento decisivo dell’evoluzione umana è sempre in corso. Quindi, non conta ciò che avvenuto prima. Nulla è ancora avvenuto.

VI

Da un certo punto in là non c’è più ritorno.
Questo è il punto da raggiungere.

VII

Una gabbia andò in cerca di un uccello.

VIII

Capire quale fortuna sia che il terreno sul quale stai non sia più largo dello spazio coperto dai tuoi piedi.

Il primo brano è nel terzo degli Otto Quaderni in ottavo 1916-1918. Il secondo e il terzo sono in Frammenti. I brani seguenti sono in Betrachtungen uber Sunde, Leid, Hoffnung und den wahren Weg 1917-1918. Si possono leggere le traduzioni di Italo Chiusano in Kafka, Confessioni e diari, Meridiani Mondadori 1972. Su Franz Kafka (1883-1924) si veda www.kafka-franz.com, con ampio materiale fotografico e documentario.

TRE POESIE DI FRANTIŠEK HALAS
L’attesa

Non attendo nessuno
Eppure guardo sempre la porta
Se arrivate
Vi prego, non entrate
Non attendo nessuno
Attendo solo me stesso

Passi

Passi che si spengono lontano
A chi appartenete
Come vi amavo
Voi non lo sapete

Appartenete forse a una donna
Che mi amava
Tremare e non riconoscere
Quale sia passata

Passata e non ritorna
È davvero svanita
Il desiderio scompare
Se la passione è perita

Passi che si spengono lontano
A chi appartenete
Forse vi amavo
Sparite e vi perdete.

Quando la bomba esploderà

Striscerà più lontano
Lasciando la sua traccia nella melma
Si aprirà

Una conchiglia
Pallido sesso delle acque

Tutto comincerà di nuovo
Tra l’apatia dei primi pesci
E le stelle
Plancton dei poeti antichi
Si scrolleranno per la noia
Nel tempio delle galassie.

La prima poesia è tratta dalla raccolta Il gallo spaventa la morte del 1930; la seconda dalla raccolta Genziana del 1933; la terza dalla raccolta Ebbene? Del 1957. Le poesie sono tratte dalla edizione di tutte le poesie Bàsnê, curata da Jan Grossman (Praga 1957). Halas nasce a Brno, in Moravia nel 1901 e muore nel 1949. Tra il 1916 e il 1921 lavora come commesso in una libreria. Si iscrive al partito comunista nel 1921, svolge intensa attività politica e viene arrestato. Nel 1925 è a Parigi si stabilisce a Praga dove lavora come redattore della casa editrice Orbis. Qui pubblica il suo primo libro di poesie, Seppie. Firma nel 1938 un appello per denunciare i processi di Stalin.
Durante la guerra e l’occupazione nazista, partecipa alla resistenza in Moravia. Dopo la guerra, è deputato nel Parlamento e presidente degli scrittori cecoslovacchi, ma rinuncia alla carica dopo il colpo di stato comunista del 1948.
Nel 1950, dopo la morte, è accusato dal regime stalinista di pessimismo morboso, amore del disfacimento, spiritualismo, decadentismo e esistenzialismo. È bollato come eretico e le sue opere sono messe al bando. Rimane uno dei più amati poeti di lingua ceca. In italiano, alcune sue poesie sono tradotte, con una bellissima introduzione, da Angelo Maria Ripellino in Imagena, Einaudi 1971.

NOTIZIE DA LUWEERO
Ecco il resoconto del progetto “25 euro per Luweero”, lanciato con lo scorso numero dei Testi Infedeli. Ho raccolto complessivamente 2.110,00 euro offerti da alcune diecine di donatori (molti dei quali hanno deciso di incrementare, talvolta in modo consistente, la somma richiesta). Li ho consegnati direttamente a Piero Pomponi di passaggio a Milano che ha destinato €. 500,00 all’acquisto di retrovirali per la cura di Perpetua, la bambina affetta dall’HIV. Di Perpetua si è occupato Raffaele Masto in due radiocronache a Radio Popolare. La restante somma di €. 1.610,00 è stata consegnata alle suore di Luweero per l’acquisto periodico dei medicinali di prima necessità, in particolare antibiotici indispensabili per la cura delle infezioni secondarie nei pazienti in stato avanzato da HIV/Aids. I medicinali verranno erogati gratis e solo a persone in effettivo stato di necessità sotto la diretta sorveglianza di Piero. Non un euro sarà sprecato o utilizzato per finalità religiose.
Molti dei donatori hanno già ricevuto le foto-regalo promesse (alcune ritraggono, appunto, Perpetua). Chi non l’ha ricevuta me lo segnali. In aggiunta, Piero Pomponi offre ai donatori una piccola strenna per il capodanno (inclusa nella busta).
Grazie a tutti: l’iniziativa, grazie alla piccola comunità dei lettori dei Testi Infedeli, ha avuto un discreto successo. Agli interessati darò ulteriori notizie su Luweero.

SN
Questo trentunesimo volume dei Testi Infedeli è stato stampato nel giugno del 2006 in duecentocinquanta
copie non numerate e fuori commercio da Compostudio s.r.l. di Cernusco sul Naviglio, Milano.
Come sempre, ho liberamente e infedelmente tradotti e talvolta riscritti quasi tutti i testi; spesso è stato rispettato – non sempre integralmente – il pensiero dell’autore.
Il volume non sarà più inviato a chi non ne accusa ricevuta per due volte consecutive.
I Testi Infedeli escono dal 1989. I fascicoli apparsi a partire dal 1992 possono essere letti nel sito www.stefano.nespor.it, e non più sul sito www.nespor.com.
Il sito è curato e aggiornato con perizia e scrupolo ineguagliabili da Stefano Rossi.
Ringrazio Maria Inglisa, Marina Nespor, Pasquale Pasquino e Salvatore Giannella che hanno compiuto la consueta opera di supervisione del testo. Ringrazio inoltre Giorgio Mannacio e Benedetta Barzini.

Non è difficile essere saggi quando si è in compagnia. Basta pensare di dire una cosa molto stupida, poi restare in silenzio.