DUE RECENSIONI SULLA BIODIVERSITÀ

RICCARDO PAVONI, Biodiversità e biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, Università di Siena – Dipartimento di diritto pubblico, Giuffrè Editore, Milano, 2004, pp. 512, € 32.
NICOLAS DE SADELEER – CHARLES-HUBERT BORN, Droit international et communautarie de la biodiversitè, Dalloz, Paris, 2004, pp. 780, € 60.
Nel 2004, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, sono apparsi due ottimi studi in materia di biodiversità, un argomento da alcuni anni al centro del dibattito ambientalista, sul quale, però mancavano ad oggi studi di portata generale. Entrambi questi libri riempiono in modo del tutto soddisfacente questo vuoto: anzi, come diremo fra breve, unitariamente considerati, costituiscono una trattazione davvero completa sull’argomento.
Il primo dei due studi è apparso in Francia: ne sono autori uno dei maggiori esperti europei di diritto ambientale, Nicolas de Sadeleer (autore di un volume sui principi del diritto ambientale, già recensito su questa rivista), e Charles-Hubert Born, assistente di ricerca presso l’Università di Lovanio (dove de Sadeleer insegna). Il secondo in Italia, ad opera di un giovane studioso dell’Università di Siena, Riccardo Pavoni.
I volumi hanno in comune una scelta di fondo: quella di associare nella trattazione la normativa internazionale e comunitaria in materia di biodiversità, essendo impossibile una comprensione delle origini della seconda senza conoscerfe la prima.
Entrambe le opere (ma in maggior misura quella di Pavoni) si soffermano anche sui profili che attengono alla proprietà intellettuale sulle risorse biogenetiche.
Le strade seguite nella ricerca sono però parzialmente diverse.
Il libro degli autori belgi si propone di ricostruire l’insieme della normativa internazionale e comunitaria che forma il presupposto della normativa specifica in materia di biodiversità o concorre a realizzarne gli obiettivi. Il libro si sofferma quindi in modo analitico sia sulla storia delle normative che si sono proposte di regolare le modalità di conservazione della natura o di particolari aspetti di essa, sia sugli strumenti di attuazione della normativa, evidenziandone i rapporti e le connessioni con le norme che si occupano di protezione dell’habitat naturale e dell’ecosistema terreste e marino. Particolare attenzione è dedicata all’integrazione della normativa sulla biodiversità con altre politiche settoriali a livello sovranazionale e nazionale, quali la politica agricola, quella forestale e quella della pesca. Secondo gli autori, infatti, il diritto della biodiversità è il risultato di tre tipi di regole: quelle che attengono alla conservazione, quelle che regolano lo sfruttamento, quelle infine che controllano i processi naturali e le attività che minacciano la biodiversità.
Il libro di Pavoni esamina invece, insieme alla normativa della biodiversità quella che regola una materia affine, le biotecnologie, oggetto di attenzione non solo da parte degli esperti di diritto ambientale, ma anche da studiosi della proprietà intellettuale e del commercio internazionale. Questo abbinamento porta Pavoni ad estendere la ricerca ad aspetti economici e commerciali. Una parte di rilievo del libro è quindi dedicata al tema della biosicurezza, alle regole applicabili a livello internazionale e comunitario alla circolazione dei prodotti biotecnologici (con tutte le problematiche che si pongono nei rapporti tra questo argomento e il diritto dell’Organizzazione mondiale del commercio).
Secondo Pavoni, dall’insieme della normativa esistente e della vasta mole di norme pattizie e di prassi vigenti possono essere estrapolati quattro principi informatori di un emergente regime generale della biodiversità e delle biotecnologie: l’interesse comune dell’umanità, l’equa condivisione dei benefici, il principio di precauzione e il mutuo sostegno tra regimi ambientali e commerciali.
Ciascuno dei due libri costituisce un ottimo strumento per affrontare e approfondire il tema della biodiversità e della sua regolamentazione a livello internazionale e comunitario. Ma, come detto, dall’insieme dei due libri, e dalle diverse impostazioni seguite dagli autori, si ottiene un panorama davvero completo dell’argomento.
Infine, i due libri hanno un altro aspetto in comune.
Nessuno dei due si occupa, se non brevemente, di una questione certamente preliminare che invece, soprattutto nella letteratura giuridica americana e tra gli scienziati degli ultimi anni, ha concentrato attenzione e dibattito, e cioè che cosa effettivamente deve intendersi per biodiversità nel diritto internazionale (ma la questione vale anche per il diritto comunitario). Si tratta di una questione tutt’altro che secondaria, come osserva Fred Bosselman (A Dozen Biodiversity Puzzles, in New York University School of Law Environmental Law Journal, 2004, pp. 364 ss.) che pone in evidenza che il termine biodiversità, pur coinvolgendo questioni e temi di enorme importanza, è così indeterminato a livello scientifico e biologico da essere quasi privo di senso con tutti gli effetti negativi che ciò può produrre a livello giuridico e normativo. Bosselman prosegue esponendo numerosi interrogativi sulla biodiversità tratti dalla letteratura scientifica, dove sono tuttora oggetto di dibattito, a partire dallo stesso concetto di specie (da anni oggetto di revisione e ripensamento critico).
Naturalmente, non bisogna dimenticare che la definizione del concetto di biodiversità è il prodotto non solo di ragioni scientifiche: lo storico della scienza David Takacs ha dedicato un intero volume (The Idea of Biodiversity: Philosophies of Paradise, 1996) ad analizzare l’evoluzione del significato del termine, osservando che all’obiettivo di tutela hanno concorso argomentazioni non solo scientifiche, ma anche religiose, etiche, economiche, politiche e estetiche.
Resta il fatto che, l’apporto della scienza è stato proprio quello di dimostrare – a partire da Darwin e da Lamarck – che la natura è in continua trasformazione, e che da sempre le specie si estinguono e nuove specie emergono, sicché non è certamente agevole sostenere oggi, da un punto di vista strettamente scientifico, che la natura, o alcune parti di essa, debbano essere conservate così come sono, se non appunto privilegiando aspetti di carattere “creazionistico” (per cui tutte le creature sono state create da Dio e devono essere conservate), o estetico (per cui le cicogne o le balene hanno più diritto di evitare l’estinzione degli insetti) o addirittura antropomorfico (per cui sono oggetto di conservazione solo le specie utili o gradite all’uomo).