Un trattato che è una pietra miliare

Il principio di precauzione applicato ai POP ha messo d’accordo organizzazioni internazionali, ONG e industrie
Il Trattato sulle sostanze organiche inquinanti persistenti, stipulato a Stoccolma il 21 maggio del 2001, costituisce il risultato di una elaborazione condotta a livello internazionale durata poco più di otto anni, ed è una prima, importante tappa per vietare la produzione, l’uso e la diffusione nell’ambiente di composti chimici tossici.
Esso ha individuato 12 POP (di cui otto pesticidi) la cui produzione dovrà cessare definitivamente entro termini variabili. In alcuni casi l’eliminazione dovrà essere immediata, in altri casi (per esempio il DDT) sarà graduale, in altri casi ancora (diossine, e esaclorobenzene) vi è un impegno più vago a ridurre l’immissione nell’ambiente, con l’obiettivo di una totale eliminazione. Inoltre, è stato fissato il criterio in base al quale in futuro dovranno essere individuati altri POP da assoggettare alle disposizioni del trattato. Esso è il principio di precauzione.
Ma – e questo è uno degli aspetti più significativi del Trattato – del principio è stata formulata un’applicazione innovativa. E’ stato così stabilito che gli interventi a tutela della salute e dell’ambiente volti a limitare o bandire determinate sostanze possono avere luogo anche allorché l’impatto del POP non sia pienamente conosciuto, purché vi siano sufficienti informazioni idonee a sollevare legittima preoccupazione.
Il trattato infine utilizza un meccanismo già sperimentato con il Trattato di Montreal per la messa al bando del CFC e degli altri prodotti che danneggiano la fascia di ozono, e previsto anche dal Protocollo di Kyoto, e cioè l’impegno da parte dei paesi sviluppati a finanziare gli interventi dei paesi in via di sviluppo rivolti all’eliminazione dell’uso dei POP.
La vicenda dell’elaborazione e della firma del trattato sui POP permette di trarre alcune considerazioni, sotto quattro diversi profili.
1. L’efficienza. Il trattato dimostra che la comunità internazionale, se sollecitata da esigenze reali e verificabili, e se messa di fronte a obiettivi realizzabili nel campo ambientale e della salute umana, riesce a raggiungere risultati concreti. Ma dimostra anche che i risultati, per quanto importanti, sono ridottissimi, rispetto alle questioni affrontate. Il graduale divieto di produzione e uso di alcuni dei più tossici prodotti chimici attualmente diffusi sul mercato costituisce un risultato significativo: ma centinaia di prodotti parimenti tossici, o dei quali non si conoscono i reali effetti sull’ambiente e sulla salute, restano in commercio, e centinaia di nuovi sono immessi in commercio ogni anno.
2. La velocità. L’intero processo di redazione del trattato, dalla prima informale e generica ipotesi alla conclusione dell’accordo, è durato poco più di otto anni. In questo spazio di tempo sono stati portati a termine studi e ricerche scientifiche su centinaia di prodotti da includere nella lista dei POP, sono state organizzate decine di incontri tra esperti e rappresentanti delle varie organizzazioni internazionali, statali e non governative. Ben poco tempo è stato sprecato. Tuttavia, otto anni, se sotto molti profili rappresentano un record di velocità, sono anche uno spazio di tempo assai lungo per affrontare e risolvere le questioni ambientali, tenuto conto che almeno altrettanti saranno necessari perché il trattato cominci a esplicare effetti positivi.
3. La partecipazione. All’elaborazione del trattato hanno partecipato non solo, in misura rilevante, gli stati, ma anche, a pieno titolo, diecine di organizzazioni non governative e numerose associazioni rappresentative dei produttori di prodotti chimici. E’ un ulteriore importante esempio del superamento del modello tradizionale che permetteva solo agli stati sovrani di gestire i temi internazionali, in quanto unici esponenti degli interessi delle collettività che essi rappresentano. Oggi la scena internazionale è popolata da un numero di soggetti non immaginabile solo mezzo secolo fa, e ciascuno di essi contribuisce – nei limiti delle proprie competenze – a realizzare meccanismi di governo globale dell’ambiente e dei rapporti economici e di sviluppo che la tutela dell’ambiente inevitabilmente implica.
4. La mediazione. La formulazione finale del Trattato è il frutto di una enorme attività di discussione e confronto, non tanto tra gli stati, quanto tra le organizzazioni rappresentative di interessi contrapposti. L’esempio è offerto proprio dalla formulazione del principio di precauzione. Da un punto di partenza che vedeva contrapposti gli ambientalisti e le organizzazioni dei produttori – i primi sostenitori della necessità di un divieto in mancanza della certezza scientifica dell’innocuità del prodotto, i secondi dell’ammissibilità del divieto solo se la nocività fosse stata provata scientificamente – e faceva ritenere impossibile qualsiasi accordo, è emersa una definizione applicativa che appare utilizzabile, e tale da offrire una base di accordo ragionevole. L’insegnamento del trattato è quindi quello dell’importanza della mediazione anche di fronte a temi in cui essa appare votata all’insuccesso.

Un cammino decennale

La storia della creazione del trattato merita di essere delineata. Il punto di partenza è costituito dal capitolo 19 dell’Agenda 21 approvata alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 su ambiente e sviluppo, che così esordisce:”Un uso consistente di prodotti chimici è essenziale per raggiungere gli scopi economici e sociali della comunità mondiale. La pratica attuale dimostra che questi prodotti possono essere usati con diligenza e attenzione, tutelando la salute. Resta tuttavia molto da fare per assicurare una gestione ambientalmente corretta dei prodotti chimici tossici, compatibile con il principio dello sviluppo sostenibile”.
A questa generica indicazione seguono i programmi di azione. In particolare, il Terzo Programma di Azione individua la necessità di stabilire a livello internazionale procedure che garantiscano il consenso preventivo e informato (PIC) per il commercio di determinati prodotti chimici. In effetti, il PIC si afferma come principio autonomo in materia ambientale negli anni novanta, ed è oggi oggetto di un accordo internazionale: il Trattato sul consenso preventivo informato aperto per la sottoscrizione a Rotterdam nel 1998.
Il Quarto Programma di azione ha indicato la necessità di vietare gradualmente l’uso di prodotti chimici tossici (POP), individuati dalla presenza di quattro caratteristiche: la tossicità per l’uomo, la persistenza, e cioè la resistenza a operazioni di eliminazione o dissolvimento mediante altri composti chimici, l’accumulabilità nel corpo umano e la volatilità. Già nel 1994, al terzo meeting della Commissione delle Nazioni unite sullo sviluppo sostenibile, viene promossa l’attività per definire un accordo che rifletta i programmi di azione stabiliti a Rio.
Le basi per il futuro Trattato POP sono state però poste al Convegno di Manila del 1996 organizzato dall’Intergovernmental Forum for Chemical Safety – IFCS – costituito a Stoccolma nel 1994. Qui furono presentati e discussi due rapporti in merito ai possibili contenuti di un trattato sui POP. In particolare, i due rapporti hanno suggerito di concentrare le trattative sui POP ritenuti universalmente più pericolosi (per la maggior parte pesticidi), ponendo nel contempo le basi per un successivo incremento dei POP assoggettati a divieto.
Sulla base di queste indicazioni, il Consiglio dell’United Nations Environmental Programme – UNEP – ha costituito nel febbraio del 1997 una commissione con l’incarico di studiare e predisporre un trattato da sottoporre alla firma degli stati non oltre l’anno 2000. La commissione si è riunita otto volte, con la partecipazione di delegati di oltre cento stati, delle principali organizzazioni internazionali (OMS, FAO, Banca mondiale e altre), di diecine di organizzazioni non governative e di organizzazioni rappresentative delle industrie chimiche.
L’ultima riunione – svoltasi nel dicembre del 2000 a Johannesburg – ha condotto alla definizione del contenuto del trattato: erano presenti ben 122 stati, e la firma del trattato è avvenuta nel 2001 a Stoccolma.

Quella sporca dozzina

Le sostanze organiche inquinanti persistenti, o POP, sono composti chimici che persistono nell’ambiente, si accumulano negli organismi viventi attraverso la catena alimentare, e vi permangono per tempi lunghi, perché solubili nei grassi. attraverso il latte, passano dalla madre al figlio. I POP rappresentano un pericolo per la salute umana e per l’ambiente. Danneggiano i sistemi nervoso, immunitario e riproduttivo e sono cancerogeni. Il Trattato di Stoccolma ne ha messi al bando 12. Sono: i pesticidi aldrina, clordano, DDT, fieldrina, endrina, eptacloro, mirex e tossafene; i prodotti chimici industriali policlorobifenili ed esaclorobenzene; i sottoprodotti diossine e furani.

Articolo apparso su Scienzaesperienza, 1, 2003. <URL:http://www.scienzaesperienza.it/2003/new.php?id=0001>