La tutela internazionale dell’ambiente

La tutela internazionale dell’ambiente, Convegno di studi in ricordo di Enzo Capaccioli, ISLE – Camera dei deputati, 20 dicembre 2002

1. L’invito a partecipare a questo incontro per ricordare Enzo Capaccioli mi è particolarmente gradito. Infatti la Rivista Impresa Ambiente e Pubblica Amministrazione, che Capaccioli ha ideato fondato e diretto per molti anni, costituisce per molti versi la madre della Rivista Giuridica dell’Ambiente di cui sono il direttore.
Infatti, proposi a Gaetano Giuffré l’iniziativa di una rivista interamente dedicata al diritto dell’ambiente negli anni immediatamente successivi al 1982, data in cui Impresa Ambiente Pubblica Amministrazione (anch’essa pubblicata da Giuffré) cessava di esistere, sostenendo sia che il successo riscosso da quest’ultima costituiva un indice del fatto che i tempi anche in Italia erano ormai maturi, sia che la strada, ormai aperta da Capaccioli, non poteva essere abbandonata.
Il rischio, certo, era consistente in una situazione culturale italiana in cui i temi dell’ambiente scontavano un vistoso ritardo rispetto ad altri Paesi – gli Stati Uniti prima di tutto, ma anche la Germania e l’Inghilterra – e in una corrispondente situazione della cultura giuridica in cui ancora non esisteva una voce “Ambiente” nei Repertori maggiormente diffusi, né tantomeno esistevano corsi universitari o manuali in materia, sicché ben comprendo oggi, a tanti anni di distanza, le perplessità di Gaetano Giuffré. Poi, nel 1986, il disastro di Cernobil e la diretta conseguenza di lì a pochi mesi nell’ordinamento italiano, l’istituzione del Ministero dell’Ambiente, dissiparono gli ultimi dubbi. In quello stesso anno comparve il primo numero della Rivista giuridica dell’Ambiente.

2. Da allora sono trascorsi quasi venti anni: uno spazio di tempo molto breve nel mondo del diritto, che in nome della stabilità e della certezza tende a rifiutare i cambiamenti, oppure ad assorbirli e ricomporli all’interno delle categorie preesistenti.
Eppure, questo spazio di tempo ha testimoniato l’affermazione, senza precedenti quanto a rapidità, del diritto ambientale a livello nazionale e soprattutto – e questo è l’oggetto di questo mio breve intervento – a livello internazionale e transnazionale.
Il diritto ambientale, che nel corso di tutto il secolo passato aveva costituito nel diritto internazionale un tema di importanza secondaria, riservato ad esperti di nicchia, in questo breve tempo ne è divenuto il settore più prorompente e più innovativo, insieme, ma con ben minor peso, al settore dei diritti umani, sotto molti aspetti collegato (per esempio, la Carta africana dei diritti dell’uomo, adottata dagli Stati africani nel 1981, include specifiche disposizioni a tutela dell’ambiente considerato come un diritto dell’uomo e delle collettività che vi abitano).
Ciò conferma che a metà degli anni Ottanta i tempi erano maturi per una rivista di diritto dell’ambiente; conferma però anche la straordinaria e ben precedente intuizione di Capaccioli, alla soglia degli anni Settanta (allorché solo negli Stati Uniti si cominciava ad affrontare in modo organico il tema del diritto ambientale: del 1970 è appunto il National Environmental Policy Act di Nixon).
Può solo aggiungersi che il trinomio che costituisce il titolo della rivista fondata da Capaccioli, osservato nel suo versante internazionale e quindi sostituendo l’espressione Stato a quella Pubblica Amministrazione, coglie esattamente e con larghissimo anticipo il punto focale del dibattito attuale del diritto ambientale internazionale che è indirizzato alla ricerca di un non conflittuale coinvolgimento di pubblico e privato, di stato e impresa, nella soluzione dei problemi ambientali che si prospettano per il futuro: la dimostrazione è data dal fatto che nel convegno indetto dalle Nazioni Unite a Johannesbourg del 2002 nel quale alcune giornate sono state specificatamente dedicate all’apporto delle multinazionali per la tutela dell’ambiente.

3. A partire dal 1972 data del primo convegno (svoltosi a Stoccolma) organizzato dalle Nazioni Unite in materia di ambiente sono stati proposti, sottoscritti, ratificati e sono entrati in vigore diecine di trattati in materia ambientale, e centinaia e centinaia di cosiddetti MEA (Multilateral Environmental Agreements), accordi multilaterali con contenuti o obiettivi ambientali.
Ancor più impressionante è la produzione a livello transnazionale, ove il diritto ambientale occupa una parte significativa della produzione normativa dell’Unione europea (attualmente, sono emanate circa cento direttive all’anno in materia ambientale), e delle organizzazioni analoghe come Mercosur, NAFTA, OAU (Organisation of African Unity).
Se vogliamo ricercare le ragioni che hanno contribuito a determinare questo fenomeno, vediamo che sono molteplici e assai varie, ma possono essere ricondotte ad alcuni gruppi principali.
Vi sono prima di tutto le ragioni consistenti nelle spiegazioni più frequentemente ricordate dagli ambientalisti e direttamente riferite al contesto ambientale: la crescente importanza per l’opinione pubblica mondiale, e soprattutto dei paesi ricchi, della tutela dell’ambiente, l’accrescersi di emergenze e del deterioramento dell’ambiente a seguito dell’impatto delle tecnologie, l’aumento della popolazione e del diffondersi del benessere e dei consumi, l’intensificarsi dell’uso delle risorse disponibili.

4. Vi è poi un secondo gruppo di ragioni dell’affermazione del diritto ambientale internazionale di carattere istituzionale, in quanto affonda le radici nel modificarsi dell’assetto dell’organizzazione internazionale. Di particolare rilievo appare il triplice mutamento subito dalla posizione dello Stato sullo scenario internazionale.
Gli Stati contano meno: è un fenomeno ben noto – la c.d. crisi dello Stato – studiato e analizzato da oltre un decennio da giuristi, economisti e political scientist.
L’effetto è che molte competenze, una volta considerate come patrimonio indiscusso della sovranità di uno Stato, sono state risucchiate verso livelli sovrastatali e sono state attribuite alla competenza di organismi collocati in quel livello: gli Stati si limitano a recepire ed eseguire le decisioni assunte.
Paradossalmente e nello stesso tempo, gli Stati, a seguito della frammentazione verificatasi negli anni Novanta del secolo passato (si pensi solo agli effetti della dissoluzione del blocco sovietico), contano di più. Questo perché sono quantitativamente più numerosi, e ciò determina l’accrescersi dei conflitti interstatali, sicché ciò che in passato costituiva un dissidio regionale interno ed era risolubile con gli strumenti di carattere amministrativo o giurisdizionale previsti a livello statale, oggi richiede soluzioni che debbono essere necessariamente il frutto di attività sopranazionale. La gestione di risorse ambientali e la progettazione di meccanismi di sviluppo sostenibile in ambienti condivisi tra più stati, e segnati quindi da confini politici, costituisce quindi un argomento che ha assunto grande rilievo nel diritto ambientale internazionale.
A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso le aree di confine internazionalmente riconosciute sono cresciute da 280 a 315. La conseguenza è che, per esempio, i bacini idrici, che richiedono una attenta pianificazione di molteplici problemi ambientali, collocati sul territorio di più stati sono il 47% in più di quelli presenti negli anni Ottanta, con tutti i problemi e le difficoltà che ciò comporta.
Infine, ed è questo il terzo profilo, gli Stati non sono più soli.
Sono oggi affiancati da soggetti e entità presenti di pieno diritto e come protagonisti sullo scenario internazionale: oltre a organizzazioni internazionali con competenze generali, Organizzazioni non governative e Agenzie con competenze settoriali, Società multinazionali.
Ciò comporta l’ampliarsi, il diversificarsi e l’estendersi delle relazioni, delle trattative, degli accordi sopranazionali, che assumono forme e riguardano contenuti nuovi e diversi da quelli tradizionali della comunità internazionale.

5. Un terzo gruppo di ragioni è di carattere economico, e fa capo a quel fenomeno che, in modo forse ormai un po’ consunto, viene chiamato globalizzazione: è il fenomeno di privatizzazione dell’economia e di conseguente interconnessione e liberalizzazione dei mercati sviluppatosi a livello transnazionale e intercontinentale che racchiude molti aspetti diversi: operazioni di privatizzazione di settori dell’economia detenuti da organismi pubblici, abrogazione o attenuazione di norme di controllo o di coordinamento di attività economiche e finanziarie private, sostituzione di nuove regole flessibili alla regolazione pubblica del mercato da parte dello stato o di organismi pubblici, tutti inseriti in un complesso processo di integrazione sopranazionale dei rapporti e degli ordinamenti giuridici, usualmente denominato global governance.
Globalizzazione e global governance sono tra le cause dell’affermarsi del diritto internazionale dell’ambiente con le attuali modalità; ma ne sono in parte anche il prodotto, in quanto permettono di affrontare problemi e emergenze ambientali che sfuggono alla capacità di gestione delle singole unità statali, e non possono che essere affrontate a livello sovranazionale e, assai spesso, globale.
Questo aspetto apparve chiarissimo già verso la metà degli anni Ottanta, allorché la pubblica opinione mondiale si rese conto che il ridursi della fascia di ozono intorno alla terra era causato dall’uso di specifiche sostanze chimiche (CFC), e contemporaneamente del fatto che non vi era diretto collegamento geografico fra luogo in cui le sostanze chimiche erano utilizzate e riduzione dell’ozono: le bombolette spray usate a Milano non danneggiavano, cioè, la fascia di ozono collocata sopra la città, e neppure sopra l’Italia, ma erano trascinate dal vento e raggiungevano l’obiettivo in punti collocati a distanze anche enormi.
Nello stesso periodo di tempo (era il 1988), scoppiò il caso dei rifiuti tossici prodotti dall’inceneritore di Filadelfia, trasportati in precedenza da una nave norvegese in Guinea (dissimulati come materiale da costruzione) e l’analogo caso di rifiuti tossici prodotti in Italia e abbandonati a Koko Beach, in Nigeria.
Così, mentre l’emergenza ozono dimostrava che era ormai superato il principio tradizionale secondo cui ciascuno può inquinare il proprio ambiente, il caso dei rifiuti dimostrava che, senza una adeguata rete internazionale di controlli, ciascuno (o meglio, ciascun paese ricco) era ormai in grado di inquinare a piacimento l’ambiente altrui.
Il diritto internazionale dell’ambiente è quindi legato a doppio filo con la globalizzazione: sia perché l’ambiente è all’origine della globalizzazione e della global governance; sia perché è l’effetto di una economia, ma anche di istituzioni e di regole crescentemente globalizzate.

6. Ancora, un quarto gruppo di ragioni che spiega l’affermazione del diritto ambientale internazionale è costituito dal diffondersi a livello globale del bisogno di principi comuni per la gestione e il governo dell’ambiente.
I principi assumono importanza in questo settore del diritto sotto tre diversi aspetti.
Prima di tutto perché il diritto ambientale, per la rapidità della sua affermazione, in modo contemporaneo in molte svariate realtà culturali, istituzionali e giuridiche, ha bisogno di punti fermi generalmente condivisi e tendenzialmente stabili che permettano di organizzare e coordinare la materia.
Poi perché le disposizioni normative o regolamentari statali che si riferiscono direttamente o indirettamente all’ambiente costituiscono una massa in inestricabile e continua crescita (non solo in Italia, ma in tutti i paesi sviluppati) la cui organizzazione sistematica è assai ardua senza norme di livello indiscutibilmente superiore e di carattere generale che permettano un orientamento e una classificazione.
Infine, perché i principi, a differenza delle norme dotate di efficacia vincolante, sono formulati in modo sufficientemente astratto da permettere a ciascuno di sentirsi ad essi vincolato e di rispettarli – o più spesso di pretendere di rispettarli – senza incorrere in verifiche di carattere giurisdizionale o in sanzioni.
Ciò vale per tutti i principi di diritto ambientale più noti: il principio “chi inquina paga”, il principio di prevenzione, il principio di precauzione. Vale soprattutto per il principio attualmente più noto, quello dello sviluppo sostenibile. Il suo successo dipende proprio dalla sua ambiguità e dalla sua genericità.
Così, i paesi ricchi lo sostengono perché privilegiano l’aspetto della sostenibilità, i paesi in via di sviluppo perché sono soddisfatti dall’aspetto che garantisce lo sviluppo. Per entrambi i gruppi, offre una copertura alle scelte che vengono concretamente compiute.

7. Vi è poi un ultimo gruppo di ragioni che giustifica il successo del diritto internazionale ambientale, sul quale voglio brevemente soffermarmi, con un carattere prevalentemente politico.
Le decisioni che attengono alla difesa e alla conservazione dell’ambiente e ancor più quelle che si pongono come obiettivo di migliorarlo, sono economicamente e politicamente costose, difficili da assumere e ancor più difficili da realizzare per la presenza di interessi settoriali contrastanti. Lo sviluppo dell’industria, del commercio, del turismo, le esigenze dell’edilizia, del traffico e dei trasporti, dell’agricoltura, costituiscono tutti interessi di rilievo pubblico che, in un modo o nell’altro, possono essere danneggiati dal perseguimento di obiettivi ambientali.
Questo significa che le decisioni di carattere ambientale sono assai difficili da assumere per i rappresentanti eletti in una prospettiva di breve periodo, i pochi anni di durata di un mandato elettorale, essendo in genere il loro obiettivo quello di conseguire una rielezione. Sono decisioni che in genere non ripagano in termini di voti e di consensi.
È per questo che uno dei padri fondatori del diritto ambientale europeo, Ludwig Kramer, suole affermare che l’aspetto che accomuna tutti gli Stati membri dell’Unione è che nessuno di essi vuole difendere il proprio ambiente.
Lo spostamento delle decisioni ambientali a livello sopranazionale, e la trasformazione dell’attività dei governanti nazionali da scelte politiche in obblighi esecutivi è, sotto questo profilo, il fortunato stratagemma che permette la tutela dell’ambiente senza compromettere le sorti elettorali.