Stefano Nespor, Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore, in RGA 2005, pag.1

E ` passato un anno. Il primo numero del 2004 della RGA e` stato dedicato agli accordi sul cambiamento climatico e il Protocollo di Kyoto.
Si era da poco conclusa, a Milano, la 9a Conferenza delle Parti contraenti della Convenzione quadro sul cambiamento climatico, segnata dall’annuncio di Putin, poche settimane prima, che, dopo molti tentennamenti, la Russia aveva deciso di non ratificare il Protocollo.
Appariva a tutti ben chiaro che — tenuto conto del ben noto rifiuto di ratifica degli Stati Uniti — questa decisione impediva la realizzazione della duplice condizione prevista dal Protocollo per la sua operativita` (55% dei paesi che hanno ratificato la Convenzione quadro sul cambiamento climatico e 55% delle emissioni complessive di gas serra al 1990), e bloccava a tempo indeterminato le speranze di un accordo internazionale sul tema del contenimento delle emissioni di gas serra.
Nell’introduzione ai contributi raccolti in quel numero della RGA, scrivevo che dal punto di vista della tutela dell’ambiente era realistico ritenere che l’intero percorso degli accordi sul cambiamento climatico fosse assai prossimo a un fallimento, pur segnalando alcuni motivi di ottimismo, tra cui il sorgere di iniziative per il contenimento delle emissioni di gas serra a livello regionale o locale che segnalavano il diffondersi di una coscienza della gravita` del fenomeno e l’esistenza di un sistema internazionale in piena attivita` , con organismi appositamente istituiti, incaricato di presiedere alla stabilizzazione del clima.
Improvvisamente, nel dicembre del 2004, poco prima dell’inizio della 10o Conferenza delle Parti a Buenos Aires, quelle previsioni sono state smentite e le prospettive sono radicalmente mutate, a seguito della ratifica del Protocollo da parte della Russia. Il 18 febbraio 2005 il Protocollo di Kyoto e` quindi entrato in vigore ed e` vincolante per tutte le parti contraenti.
E ` sembrato quindi doveroso dedicare ancora una volta un fascicolo della RGA a questo tema e, a un anno esatto di distanza, compensare le note pessimistiche che avevano caratterizzato il primo numero speciale.
Per un curioso ricorso storico, la Russia si e` trovata nuovamente a rivestire un ruolo chiave nell’ambito di uno scontro tra le potenze economicamente piu` sviluppate: proprio come accadde ripetutamente nel XVIII e XIX secolo, allorche´ dalle sue scelte di alleanza con Francia, Inghilterra o Germania dipese in molte occasioni l’equilibrio europeo e il mantenimento della pace sul Vecchio continente.
Anche questa volta, sia pure su scala piu` globale, la Russia ha svolto un ruolo determinante nello scontro tra i due blocchi in cui si erano suddivise le grandi potenze economiche: Unione Europea, Giappone e Canada da una parte, Stati Uniti e Australia dall’altra: uno scontro che, pur riguardando un trattato ambientale, sarebbe miope ridurre alla semplice politica ambientale, riguardando invece scelte di complessiva strategia politico-economica nel futuro delle relazioni internazionali con i paesi meno sviluppati.
Comprensibili sono state le titubanze e i ripensamenti del governo russo, anche perche´ ha dovuto tener conto di una fortissima ed autorevole opposizione interna, tra i cui principali esponenti vi erano Iuri Israel, il direttore dell’Istituto per il clima e membro dell’Accademia delle scienze russa, secondo cui « il protocollo di Kyoto avrebbe comportato seri rischi economici al paese » e lo stesso consigliere economico presidenziale, Andrei Illarionov, che ha parlato di « atto politico destinato a danneggiare gli interessi nazionali della Russia ».
Determinanti per la scelta compiuta sono stati con tutta probabilita` non tanto i pericoli di negative conseguenze sulle relazioni economiche bilaterali con l’Unione Europea quanto — nonostante l’opinione degli oppositori — i concreti vantaggi economici derivanti dall’adesione. Con la sua adesione, la Russia e` stata infatti ammessa a partecipare al mercato delle emissioni di gas serra creato dal Protocollo e riservato ai soli Stati aderenti. La Russia potra` quindi vendere il proprio enorme quantitativo di emissioni disponibili (determinato dal crollo dell’economia dopo il 1990 e dalla conseguente riduzione delle emissioni) agli Stati inadempienti agli obblighi di riduzione assunti: una opportunita` di incalcolabile valore economico (nonostante l’assenza degli Stati Uniti, l’acquirente piu` probabile e piu` ambito).
L’entrata in vigore del Protocollo da un lato rappresenta, sotto molti punti di vista, un successo; d’altro lato, proprio per le modalita` con le quali e` stata ottenuta, prospetta uno scenario denso di problemi.
Cominciamo da questi ultimi.
Il protrarsi della resistenza all’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto — dichiarata e ufficiale da parte di alcuni paesi, guidati dagli Stati Uniti, ostruzionistica e strisciante da parte di altri, solo formalmente sostenitori del Protocollo, ma in realta` convinti fino all’ultimo del fallimento degli sforzi e quindi dell’inutilita` di avviare le procedure necessarie per il contenimento delle emissioni (tra cui i paesi produttori di petrolio e, nell’ambito dell’Unione Europea, l’Italia) — ha comportato gravi conseguenze.
A fronte degli obiettivi fissati a Kyoto nel 1997, e cioe` una riduzione complessiva delle emissioni di gas serra del 5,2% entro il quadriennio 2008-2012 rispetto alle emissioni esistenti nel 1990, non solo non si e` verificata una riduzione, ma le emissioni sono addirittura aumentate.
L’aumento e` poi ancora piu` consistente, se si tiene conto che le riduzioni nelle emissioni, ove si sono verificate, sono state dovute non all’adozione di politiche ambientali, ma solo a contingenze economiche o politiche che, in molti paesi, hanno frenato — in taluni paesi in modo davvero massiccio — lo sviluppo industriale e quindi l’incremento nelle emissioni dopo il 1990.
Salvo sporadiche eccezioni, nessun paese ha ridotto le emissioni di gas serra a seguito di interventi puramente finalizzati al contenimento climatico.
Nessun paese, neppure tra quelli piu` fervidamente schierati a sostegno del Protocollo di Kyoto, ha rinunciato a perseguire obiettivi di crescita economica con tutti i mezzi a disposizione, per soddisfare obiettivi di sviluppo, di produzione, di profitto e di concorrenza internazionale.
Se si escludono questi paesi, se si escludono quindi le riduzioni delle emissioni non verificatesi per scelte di politica ambientale o di volontario adeguamento agli obiettivi fissati dal Protocollo, l’aumento complessivo delle emissioni verificatosi dal 1990 ad oggi e` dell’8,7%.
Quindi, entro il 2012, nei sette anni ancora a disposizione, la riduzione complessiva da effettuare rispetto ai livelli del 1990 e` addirittura del 13,9%: si tratta di un obiettivo che e` impossibile da realizzare se non a prezzo di una contrazione della produzione e dello sviluppo politicamente insostenibile.
Ancor piu` critica e` la posizione dell’Italia: a fronte di un impegno di ridurre le emissioni del 6,5% rispetto al livello del 1990, vi e` stato un aumento, ad oggi, di circa il 9%.
Le previsioni degli esperti ipotizzano infatti una riduzione massima su scala globale del 3,5/3,7 %, ammesso che venga posto in essere uno sforzo serio da parte di tutti gli Stati coinvolti.
Vi e` pero` da osservare che, come detto, il ritardo maturato nell’esecuzione degli obblighi previsti per questa prima tappa della Convenzione quadro e` in gran parte imputabile al ritardo nell’entrata in vigore del Protocollo (e, di piu` , alla ragionevole convinzione che esso non sarebbe mai divenuto operativo), sicche´ l’inattivita` di molti paesi trova almeno parziali giustificazioni.
Inoltre, passando ad esaminare gli aspetti positivi, e` questo uno dei casi in cui vale il detto che non tutto il male viene per nuocere.
Infatti l’impossibilita` per i paesi sviluppati di ridurre le proprie emissioni per raggiungere gli obiettivi stabiliti costringera` inevitabilmente — se si vuole evitare per quanto possibile di comprare emissioni disponibili sul mercato — a ricorrere alle misure flessibili alternativamente previste e quindi agli strumenti di intervento per la riduzione delle emissioni da attuarsi nei paesi in via di sviluppo.
Se cosi` sara` , si sviluppera` nei prossimi anni un concreto coinvolgimento di tutti i paesi firmatari della Convenzione nel raggiungimento degli obiettivi posti dal Protocollo e quindi nella messa a punto e nel trasferimento di tecnologie e strumenti che favoriranno uno sviluppo « pulito » nei paesi che, a partire dal 2012, dovranno essere almeno parzialmente coinvolti nella responsabilita` per la riduzione delle emissioni globali.
Sotto questo profilo, non bisogna trascurare che siamo solo alle battute iniziali di un lungo processo che, nelle sue tappe successive, dovra` prevedere la partecipazione anche dei paesi in via di sviluppo, attualmente del tutto esclusi da ogni impegno di riduzione delle emissioni (in virtu` dell’applicazione del principio della responsabilita` comune ma differenziata, infatti, gli impegni di riduzione delle emissioni sono stati assunti, nella prima fase, e quindi fino al 2012, soltanto dai paesi maggiormente sviluppati). In futuro, quindi, dovra` attenuarsi se non scomparire una delle ragioni che hanno indotto gli Stati Uniti a non aderire al Protocollo (assumendo una posizione non illogica da un punto di vista strettamente ambientale: gli sforzi compiuti dai paesi maggiormente sviluppati per raggiungere gli obiettivi di contenimento delle proprie emissioni entro il 2012 potranno essere — secondo le piu` attendibili previsioni — totalmente annullati dagli incrementi incontrollati di emissioni in alcuni paesi in via di forte sviluppo, quali Cina, India e Brasile).
L’entrata in vigore del Protocollo costituisce quindi una importante conferma su scala internazionale del principio, sostenuto in primo luogo dall’Unione Europea, della necessita` di una gestione multilaterale e cooperativa dei problemi globali (non solo ambientali), e un rifiuto della logica unilaterale seguita dagli Stati Uniti.
Costituisce poi un concreto riconoscimento per l’enorme sforzo — finanziario, organizzativo e politico — posto in essere dalla comu nita` internazionale e dagli organismi che ne sono espressione, a partire dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, per coinvolgere tutti i paesi nel perseguimento di un obiettivo ambientale globale e comune — la riduzione degli effetti delle attivita` umane sul cambiamento climatico — indipendentemente dai vantaggi particolari che ciascuno avrebbe potuto ottenere.
Ma e` anche un successo della politica ambientale tenacemente perseguita dall’Unione Europea, basata sul principio che il rispetto degli accordi internazionali stipulati, anche se carenti e difettosi. sia l’unica strada per realizzare il contenimento degli effetti dello sviluppo economico sul cambiamento climatico e, piu` in generale, per raggiungere obiettivi di tutela globale dell’ambiente.