CITTÀ GLOBALI

Questa rubrica è dedicata alla globalizzazione. È dedicata cioè a un vocabolo che è ormai abbondantemente liso per l’uso smodato che ne è stato fatto, tanto che riesce sempre più difficile comprendere che cosa esso davvero significhi e quale realtà intenda rappresentare.

Globale è oggi l’economia, la finanza, il commercio e il mercato. Ma globali sono anche il lavoro, la disciplina dell’ambiente e la produzione industriale.

Globali sono il turismo, la moda, la cultura. Globali sono la comunicazione e l’informazione. La fortuna del termine ha segnato anche la sua erosione e la sua crescente inutilizzabilità. È accaduto in passato, e accade tuttora per altri vocaboli: si pensi nella politica a “imperialismo” negli anni Settanta (termine questo, sia detto per inciso, che presenta molte affinità e molte sovrapposizioni con globalizzazione), a “evoluzione” nelle scienze naturali e sociali, e, più recentemente, a “sostenibilità” nel campo dell’ambiente e dell’economia.

Proprio per questo un noto sociologo francese, Alain Touraine, ha proposto di mettere globalizzazione definitivamente al bando.

Eppure, questo vocabolo esprime una realtà importante, sviluppatasi a partire dagli anni Ottanta: una realtà che non solo non può essere ignorata, ma deve essere capita e seguita. Un modo giusto per farlo può essere quello di commentare libri, articoli che su questa realtà “globale” e su questi fenomeni di “globalizzazione” si sono soffermati, ma anche episodi e casi che di questa realtà e questi fenomeni hanno costituito un esempio, e compiere così quella che è stata chiamata da un altro noto sociologo, Guido Martinotti, un’opera di restauro filologico del termine e del concetto. Il luogo ideale per compiere questa attività è certamente una rivista telematica, una E-zine, che – avvalendosi esclusivamente di Internet per la sua diffusione – costituisce di per sé un caso tipico, secondo l’uso corrente del termine, di globalizzazione dell’informazione.

Voglio cominciare con un libro di Saskia Sassen apparso negli Stati Uniti nel 1991, ma solo nel 1997 tradotto in Italia con il titolo Città globali (Torino, Utet, prefazione di Guido Martinotti). Il libro, partendo dalla premessa che in ogni epoca la città è in gran parte il prodotto dei rapporti economici esistenti, si propone di comprendere come essa sia stata trasformata e riplasmata dall’economia mondiale degli anni Ottanta: un’economia basata su attività produttive che per effetto dell’affermarsi di nuove tecnologie soprattutto nelle comunicazioni e nei trasporti si disperdono e si distribuiscono sul territorio a livello mondiale, ma che proprio per questo richiedono e impongono una più rigorosa e più pervasiva centralizzazione del controllo e della gestione.

Ed ecco che, quasi dieci anni fa, appare, nel saggio di Sassen, un primo concetto di globalizzazione, emergente dall’analisi congiunta dell’economia e dell’urbanistica, e degli effetti della prima sulla seconda.

Per secoli le città sono state i centri nevralgici del commercio e delle attività bancarie nazionali e internazionali. Ma, a partire dalla metà degli anni Ottanta, alcune città cominciano ad assumere una diversa fisionomia, assolvendo a quattro nuove funzioni: esse divengono stanze dei bottoni dell’economia internazionale; sedi privilegiate delle società finanziarie e delle aziende del terziario avanzato che operano su scala mondiale; luoghi di produzione e innovazione tecnologica per queste ultime attività; infine, mercati per la compravendita di quei prodotti.

Queste sono le città globali. Naturalmente, in queste città, e proprio per effetto di questi cambiamenti, si è modificato anche il governo locale, è decresciuta ‘importanza della popolazione residente rispetto all’importanza della popolazione non-residente, ma che della città fa un uso produttivo, è cambiato il lavoro (con una crescente presenza di lavoratori autonomi o free-lance, ma anche con crescente lavoro nero e immigrazione, e quindi con una crescente polarizzazione sociale), sono mutati l’edilizia, lo spazio urbano, la cultura, il divertimento.

Quel che è certo, è che le tesi variamente sostenute agli inizi degli anni Ottanta, secondo cui il processo di deindustrializzazione e l’affermarsi delle tecnologie telematiche avrebbero producendo decentramento e dispersione, avrebbero segnato il declino e forse anche la scomparsa delle grandi metropoli, sono state radicalmente smentite dalla realtà, e il saggio di Saskia Sassen ne offre una preziosa dimostrazione.

Si delinea invece un mondo in cui la dispersione e il decentramento delle attività produttive, l’affermarsi del commercio elettronico e di Internet e delle nuove tecnologie di comunicazione richiede e impone luoghi superspecializzati di controllo e gestione della frammentazione.

Secondo Saskia Sassen, tre sono oggi le città globali: New York, Londra e Tokyo. Esse hanno avuto, in poco più di un decennio, una evoluzione parallela (pur essendo assai diverse tra loro).

A queste tre città, alle modalità della loro globalizzazione e alle caratteristiche, assai simili che hanno assunto è specificatamente dedicata l’analisi del libro, al fine di dimostrare empiricamente l’assunto di partenza. Altre città sono probabilmente sulla strada di divenire città globali: per esempio, Parigi o Francoforte.

E Milano? Si incarica Guido Martinotti nella prefazione di togliere ogni illusione sul punto che Milano sia o stia per divenire una città globale. Se si tiene conto dei principali indicatori che qualificano le città globali, Milano si colloca a distanze abissali dalle tre città globali , e circa alla metà della classifica europea.