Arte Rubata

Considerazioni sul Recupero delle Opere d’Arte Trafugate Durante la Seconda Guerra Mondiale.·

Relazione per il Convegno Nazionale di Gubbio “Il Testo Unico in Materia di Beni Culturali e Ambientali”,

Gubbio 26/27 Novembre 1999

1. Quattro Esempi.

Primo esempio: “Notte d’estate in spiaggia” di Edvard Munch.

Rimasta vedova di Gustav Mahler, Alma sposò Walter Gropius, il celebre architetto fondatore della Bauhaus, con il quale ebbe una figlia, Manon; alla nascita di Manon Alma Mahler Gropius ricevette in regalo dall’amico Edvard Munch un quadro, “Notte d’estate in spiaggia”.

Nel marzo del 1933 Alma, che nel frattempo aveva lasciato Gropius e sposato Franz Werfel, lo scrittore ebreo i cui libri erano stati bruciati dai nazisti in quanto classificati come “entartete Kunst” (arte degenerata) fu costretta a fuggire precipitosamente da Vienna e a raggiungere il marito, già in salvo a Parigi. I quadri di Alma, tra cui Manon, furono affidati alla sorella di Alma, Marie, moglie del Presidente del Tribunale di Vienna (entrambi di provata fede nazista). Marie dopo qualche tempo, violando gli impegni assunti con la sorella, vendette il quadro alla Galleria Nazionale, la quale lo acquistò pur sapendo che il quadro apparteneva ad Alma Mahler (avendolo ricevuto da quest’ultima in deposito pochi anni prima).

Finita la guerra, l’Austria ritornata indipendente promulgò una legge con la quale erano annullate tutte le cessioni, a qualsiasi titolo, effettuate da o per conto di ebrei durante il periodo dell’Anschluss. Ma nel contempo, emanò anche una legge che vieta l’esportazione di opere d’arte di particolare valore dal territorio austriaco.

Alma Mahler, nel frattempo stabilitasi a New York, chiese alla Galleria Nazionale la restituzione del quadro (oltreché di altri quadri di sua proprietà, tra i quali un suo ritratto ad opera di Oskar Kokoschka, tutti ceduti abusivamente dalla sorella).

La galleria rifiutò. Da allora, si è avviata una vicenda giudiziaria che tuttora perdura, ed è portata avanti attualmente dalla nipote di Alma, Marina contro la Galleria Nazionale e il Governo austriaco che si sono sempre rifiutati di restituire i quadri, sia sostenendo che erano stati legittimamente acquistati dalla sorella sia avvalendosi del divieto di esportazione.

Sembra che entro il 1999 il Ministro della Cultura austriaco abbia intenzione di restituire almeno il quadro di Munch agli eredi di Alma Mahler.
Secondo esempio: Odalisca di Matisse.

Il giorno in cui Le truppe naziste entrarono in Parigi, Paul Rosenberg, il più importante commerciante d’arte moderna della città, fuggì abbandonando la sua collezione, subito sequestrata per ordine di Goering. La maggior parte delle opere è scomparsa dopo essere stata trasferita in Germania. Due sono recentemente ricomparse: un grande quadro di Matisse, Odalisca, e Ninfee, dipinto da Monet nel 1904.

Il percorso di Odalisca è stato ricostruito da uno dei più famosi cacciatori di arte rubata dai Nazisti: Hector Feliciano[2].
Odalisca fu prelevata dalla Banca Nazionale per il Commercio e l’industria nel 1941, e custodita fino al 1943 al Jeu de Paume a Parigi. Venne quindi affidata a Gustav Rochlitz, un tedesco che viveva in Francia, con l’incarico di scambiarla con altre opere d’arte, più gradite ai gusti nazisti. Così, tre Matisse, tra cui Odalisca, cinque Picasso e un Braque furono scambiati con un quadro di un pittore tedesco del XIV secolo[2].

Gli eredi di Rosenberg avviarono subito dopo la guerra azioni giudiziarie per recuperare le opere scomparse, ma senza esito.

Nel 1954, Odalisca fu acquistata da una galleria di New York, Knoedler & Co. Nello stesso anno, fu acquistata dai signori Bloedel i quali nel 1991 la donarono al Museo di Seattle.

Nel 1994 la figlia dei signori Bloedel riconobbe una riproduzione di Odalisca ne libro di Feliciano e avvertì il museo. Il museo la incluse subito  nell’elenco delle opere rubate dai nazisti a Rosenberg. Gli eredi di Paul Rosenberg hanno promosso nel’agosto del 1998 un’azione giudiziaria per recuperare il quadro, il cui valore è stimato in circa 4 miliardi di lire.
A differenza della Galleria Nazionale austriaca, il Museo ha deciso di restituire il quadro agli eredi Rosenberg, rifiutandosi di trattenere un’opera rubata.

Terzo esempio: il caso Elicofon.

Un legale di New York, Edward J. Elicofon, comprò nel 1946 due ritratti di Durer da un soldato americano, pagandoli 450 dollari, senza comprenderne il reale valore.

Nel 1966, quando venne casualmente a sapere il reale autore dei quadri, rese pubblico di esserne il proprietario.

Immediatamente il Museo di Weimar, dal quale il soldato americano aveva sottratto i due quadri, ne chiese la restituzione. Elicofon rifiutò e si difese nella successiva causa, promossa nel 1969, sostenendo che in base al diritto tedesco aveva usucapito i quadri, avendone acquistato il possesso in buona fede, e avendolo mantenuto per oltre dieci anni.

Ma il Tribunale di NY affermò  che doveva applicarsi al caso la legge dello stato di New York, essendo lì avvenuto l’acquisto delle opere.
Successivamente, il Tribunale ritenne che l’acquisto di un oggetto rubato non determina il sorgere di alcun diritto nell’attuale detentore, ancorché in buona fede; ritenne inoltre che la prescrizione non era maturata, in quanto nello stato di NY c’è una prescrizione (statute of limitations) di tre anni, che decorre però dal momento in cui il derubato richiede la restituzione e l’attuale possessore rifiuta.

Nel 1983, i Durer fecero ritorno a Weimar.

Quarto esempio: ritratto di Wally di  Schiele.

Lea Bondi e Fritz Grunbaum – collezionisti d’arte viennesi – persero tutte le loro opere durante l’occupazione nazista dell’Austria. Nel 1997 due di queste opere, Ritratto di Wally e Città morta n.3 di Egon Schiele, vengono esposte dal MOMA di New York e gli eredi ne chiedono immediatamente il sequestro, in modo da evitarne il ritorno in Austria a coloro che ne erano gli attuali proprietari. La Procura della Repubblica accoglie l’istanza, nonostante che una specifica normativa dello stato di New York del 1968 e una normativa federale del 1965[2] precludano il sequestro di opere d’arte concesse in prestito senza scopo di lucro a fini di esposizione “per qualsiasi possibile motivo”, ritenendo che la disposizione non poteva essere applicata in caso di sequestri determinati dall’esigenza di investigare su reati. Il giudice di primo grado annulla il sequestro, su richiesta del MOMA, ma, in sede di appello, il sequestro viene nuovamente confermato[3]. Attualmente le opere sono state affidate in custodia giudiziaria allo stesso MOMA, in attesa di un accertamento sulla legittima proprietà delle stesse.
La reazione dei musei europei è stata quella di preannunciare il rifiuto di concedere per il futuro opere d’arte ai musei americani per mostre temporanee, in mancanza di precise garanzie in ordine all’immunità da sequestri o altri interventi giudiziari rivolti a impedire il ritorno delle opere.

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I primi due esempi si propongono di contrapporre il diverso atteggiamento delle istituzioni museali europee e statunitensi di fronte ai problemi di restituzione derivanti dalla sottrazione di opere d’arte durante l’ultima guerra.

Il terzo e il quarto esempio si propongono di illustrare la diversità tra sistema giuridico continentale e sistema giuridico anglosassone, e specificatamente americano, su questo medesimo tema.

Su tutti gli esempi avremo modo di ritornare.

2. LE RAGIONI DELL’ATTUALITÀ DEI PROBLEMI DELL’ARTE RUBATA.

Negli anni Novanta, le azioni giudiziarie contro musei o contro privati promosse per recuperare opere di arte rubate sono enormemente aumentate di numero.

Il fenomeno giudiziario non è casuale, ma riflette una situazione di diffusa e dilagante illegalità in questo settore, che ha ormai assunto proporzioni straordinarie.

Secondo stime recenti, il mercato dell’arte è l’unico settore economico dove la probabilità di acquistare oggetti rubati è del 90%. Nel solo 1997, secondo stime del FBI, il mercato dell’arte rubata ha trattato merce per almeno 6 miliardi di dollari all’anno collocandosi così al terzo posto nella classifica dei mercati criminali, dopo la droga e le armi[2].
Tuttavia, l’incremento della conflittualità giudiziaria non sarebbe stato possibile senza una generale sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni nazionali e internazionali.

Le ragioni e le cause di questa sensibilizzazione sono almeno tre:

Il processo di globalizzazione.
Con questo termine si intende la crescente interdipendenza economica e culturale tra i vari Stati. Sebbene questo fenomeno non sia senza precedenti (Marshall McLuhan scrisse già nel 1962 che l’interdipendenza elettronica “ricrea il mondo ad immagine di un villaggio globale”) e si sia già verificato, ovviamente con modalità diverse, prima della Prima Guerra Mondiale, si tratta per molti versi di un evento totalmente nuovo, caratterizzato dalla disponibilità della tecnologia elettronica a basso prezzo,  dalla liberalizzazione e dal conseguente crollo del costo delle telecomunicazioni, dalla espansione di Internet e dalla connessa diffusione delle informazioni. Tutto ciò ha reso possibile l’accesso a dati e la diffusione di notizie prima non facilmente reperibili. Basti pensare che in pochi anni sono stati organizzati e sviluppati numerosi registri e sistemi di raccolta che offrono agli interessati (gratuitamente o taluni a pagamento) una informazione completa sulle opere d’arte “scomparse”. Tra questi i più importanti sono:
à Il Registro dell’arte rubata, con sede a Londra.

à The Art Loss Register, che contiene descrizioni e foto di migliaia di opere disperse durante la guerra. Il registro permette sia ai proprietari originari di rendere pubbliche le loro ricerche, sia agli acquirenti di verificare i loro acquisti.
à Stolen Works of Art, un CD-ROM, recentemente pubblicato, che contiene il data-base ufficiale dell’Interpol, ove sono descritte tutte le opere rubate nei vari paesi associati (il CD-Rom è parzialmente visibile sul sito www.jouve-diffusion.com).

L’erosione del principio di sovranità.
Oggi è osservazione sempre più comune che la sovranità, intesa come potere dello Stato di escludere la possibilità di altri Stati di interferire nei propri affari interni, sta rapidamente erodendosi, in quanto “l’immagine convenzionale della sovranità, associata alla giurisdizione esclusiva dello Stato sul proprio territorio, non è più  compatibile né teoricamente né praticamente con la crescente internazionalizzazione dei rapporti economici e sociali”[2].  Gli Stati e i Governi sono sempre meno liberi di fare quello che vogliono nel loro territorio e dei loro popoli e sempre più debbono tenere conto dei bisogni e delle richieste della comunità internazionale nell’applicare le loro leggi o nel formulare le loro scelte politiche[3].
Sta quindi decomponendosi quel principio che fino a pochi anni offriva un comodo, impenetrabile e sicuro guscio protettivo per commercianti e acquirenti di arte rubata: il passaggio di una o più frontiere era infatti il meccanismo più utilizzato per riciclare opere d’arte rubata, rendendo pressoché impossibile ai legittimi proprietari di penetrare utilizzando strumenti giudiziari la barriera della sovranità.

3. I DATI SULL’ARTE RUBATA DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE.

Nell’ambito del generale problema della illecita sottrazione e dell’illecito traffico di beni culturali, le opere d’arte rubate durante la seconda guerra mondiale hanno una posizione specifica e sinora trascurata non solo dal punto di vista storico e quantitativo, ma anche dal punto di vista giuridico.

La depredazione di opere d’arte durante la guerra o dopo la fine delle ostilità da parte del vincitore è un fatto che si ripete da centinaia e centinaia di anni. Mai però si è verificato in modo così capillare, sistematico e globale,  addirittura impiegando apposite squadre di esperti per rintracciare e confiscare le opere d’arte, come in questo secolo, ad opera dei Nazisti nei territori occupati tra il 1935 e il 1944.
È stato calcolato che in nove anni i Nazisti abbiano rubato almeno 1/5 di tutte le opere d’arte di valore esistenti nei territori occupati. Soltanto in Francia, sono state rubate circa 100.000 opere d’arte: di queste, 55.000 risultano ancora disperse o comunque non sono state restituite ai legittimi proprietari.

Per la verità non solo i Nazisti hanno partecipato al saccheggio. Sia pure in modo ridotto, anche i Paesi alleati hanno dato il loro contributo, non riconsegnando ai legittimi proprietari le opere trafugate dalle truppe tedesche. Per esempio, Belgio, Olanda e Francia hanno approvato leggi che attribuiscono alla proprietà dello Stato tutte le opere d’arte recuperate dai nazisti. Solo nei musei francesi ci sono 2000 opere di questo tipo. L’Unione Sovietica ha trattenuto molte opere prelevate in Gemania (molte delle quali a loro volta sottratte nei paesi occupati) come risarcimento dei danni di guerra. Inoltre, numerosi paesi europei hanno adottato normative che vietano l’esportazione di opere d’arte, precludendo la possibilità di restituzione a legittimi proprietari che si trovino in altri paesi.

Vi sono poi opere recuperate dalle truppe Alleate e illegalmente trattenute o sottratte da singoli componenti per commerciarle in patria (è il caso Elicofon descritto all’inizio).
Vi sono infine opere che nella situazione di necessità creata dall’occupazione nazista i legittimi proprietari hanno ceduto ad astuti profittatori per poche lire con contratti formalmente validi, o hanno affidato a amici o istituzioni, contando  di poterle recuperare in seguito (è il primo esempio descritto).

Tutte queste opere hanno contribuito e continuano a contribuire in modo massiccio al mercato dell’arte rubata mondiale: basti pensare che un rapporto della CIA recentemente reso pubblico indica i nomi di 2000 persone che hanno commerciato stabilmente nel dopoguerra arte rubata dai Nazisti.
Il problema dell’arte rubata durante la seconda guerra mondiale è faticosamente emerso, raggiungendo in modo sempre più consistente le aule giudiziarie di alcuni paesi per effetto di alcuni specifici fattori, che si aggiungono a quelli generali che – come si è visto – hanno portato ad una generale presa di coscienza del problema del mercato illegale delle opere d’arte. Almeno due di questi fattori specifici vanno segnalati:

Il mutato clima politico internazionale, per effetto della distensione determinata dalla scomparsa del blocco sovietico.
È oggi divenuta improvvisamente disponibile documentazione, prima conservata e mantenuta segreta dai paesi Alleati durante tutto il periodo della guerra fredda (anche se permangono omertà e reticenze da parte di molti stati, in primo luogo la Svizzera e il Vaticano: quest’ultimo è rimasto l’unico Stato che rifiuta in modo radicale di rendere pubblici i suoi archivi in materia, nonostante che gli esperti siano sicuri che essi contengono informazioni essenziali per rintracciare il percorso seguito da molte opere rubate).

Le conferenze internazionali aventi ad oggetto il diritto dei legittimi proprietari di ottenere la restituzione delle opere d’arte rubate.
Queste conferenze hanno prodotto una sensibilizzazione dei Governi maggiormente interessati e hanno individuato  linee d’azione comuni dei vari Stati. Da ultimo, nel novembre 1998 ad una conferenza organizzata dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e dal Holocaust Memorial Museum  44 Stati hanno raggiunto un accordo di massima per porre regole comuni per facilitare il ritorno delle opere d’arte depredate dai nazisti ai legittimi proprietari.

Per effetto di una di queste conferenze, è stato istituito nel 1997 il progetto HARP con cui è stato predisposto un database facilmente accessibile per assistere tutte le vittime delle predazioni naziste a rintracciare le proprie opere d’arte perdute.

4. L’ARTE RUBATA DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE: LE CARATTERISTICHE GENERALI.

I percorsi seguiti dalle opere d’arte sottratte durante la seconda guerra mondiale presentano invariabilmente caratteristiche comuni.

Il furto o comunque la spoliazione sono avvenuti oltre cinquanta anni fa, quindi oggi ampiamente al di là di ogni termine di prescrizione per l’azione di prescrizione previsto dal diritto comune dei paesi continentali;
Le opere d’arte sono state sottoposte a numerosi – spesso fittizi o dolosamente realizzati –  passaggi di proprietà in modo creare posizioni di buona fede dei successivi acquirenti: ad ogni successivo passaggio infatti le prove dell’iniziale illecita appropriazione divengono più sfumate;
Le opere d’arte sono state spostate attraverso numerosi confini statali in modo da far perdere le tracce agli organi di polizia nazionali e in modo di avvalersi della protezione dei gusci di sovranità più appropriati (il contrabbando di opere d’arte è assai semplice e sicuro: il suggerimento di Willi Korte, un avvocato specializzato nel recupero di opere d’arte rubata, è di mettere l’opera in valigia e, nell’improbabile caso di essere fermati al controllo doganale, dichiarare di averla comprata per poche lire da un rigattiere).
Vi è stata una generale indifferenza, acquiescienza o talvolta connivenza dei mercanti d’arte, dei musei pubblici e privati e spesso degli Stati, che hanno in generale rimosso il problema e spesso acquistato o consentito l’acquisto di ingenti quantità di arte rubata senza adottare la minima diligenza nel verificarne la provenienza;
Gli esempi in proposito sono innumerevoli.

Il Metropolitan Museum of Art di New York ha accettato come donazione un quadro di Monet (Le Repos Dans Le Jardin Arguenteuil) senza compiere alcuna indagine, anche se il donatore aveva comprato il quadro da Alexander Ball, un noto esperto d’arte, collaboratore dei Nazisti per individuare quadri da confiscare in cambio di opere d’arte.
Una mostra della National Gallery of Art ha esposto contemporaneamente quattro opere rubate dai Nazisti e poi pervenute a Emil G.Buhrle, il più noto acquirente di arte rubata dai Nazisti durante la guerra. Il solo fatto che le opere fossero di proprietà di Buhrle avrebbe dovuto destare sospetti nel museo.

Del resto lo stesso direttore del Metropolitan Museum of Art ha riconosciuto nella sua autobiografia che fino a pochi anni fa i direttori dei musei erano sicuri in molti casi della provenienza illecita delle opere che acquistavano.

È stato materialmente impossibile per i legittimi proprietari, o più spesso per gli eredi, di rintracciare le opere, in mancanza di documentazione e di informazioni, e in mancanza di collaborazione degli Stati nazionali; si è inoltre approfittato del fatto che molti dei legittimi proprietari o degli eredi sono scomparsi per effetto delle vicende belliche (in gran parte nei campi di concentramento nazisti), o si trovano nella materiale impossibilità di sapere se e quali opere d’arte possano essere rivendicate.
Nel quadro di questa generalizzata attività illegale di riciclaggio  – pubblica e privata – sono stati indispensabili due istituti giuridici che, sia pur nelle diverse articolazioni che presentano nei vari sistemi giuridici, favoriscono oggettivamente il commercio e l’acuisto dell’arte trafugata durante la seconda guerra mondiale: la protezione dell’acquirente di buona fede e la prescrizione.

5. I VINCOLI GIURIDICI ALLA RESTITUZIONE.

La buona fede.
L’istituto dell’acquisto a non domino e della protezione dell’acquirente di buona fede è trattato in modo assai diverso negli ordinamenti interni dei vari Stati. Soprattutto, è trattato diversamente tra sistemi giuridici europei e anglosassoni.
Tutti gli ordinamenti continentali europei proteggono fortemente, sia pure con diverse modalità, l’acquirente di buona fede.

Nei sistemi giuridici anglosassoni, e specificatamente nel diritto statunitense, vale invece, sia pure con qualche correttivo, il principio in base al quale nemo plus iuris transferre potest quam ipse habuit. Questo significa che l’acquirente a non domino, sia pure in buona fede, è tutelato in misura assai ridotta: il possesso di buona fede, ancorchè protratto per un lungo periodo di tempo, non costituisce di per sé solo titolo.

Alla radice di questo diverso rattamento stanno diverse opzioni culturali e istituzionali.

Il sistema continentale privilegia la sicurezza e la libertà del commercio, la certezza delle transazioni: tutela il mercato. Il sistema anglosassone privilegia e tutela la proprietà.

Questo significa anche, da un punto di vista puramente economico, che il sistema contitnentale massimizza la commerciabilità dell’arte in generale (e quindi anche dell’arte rubata), facilitandone l’intermediazione e il commercio e l’acquisizione della proprietà nei compratori.

Se si riducono le questioni concernenti il titolo, si riducono ovviamente gli ostacoli sulla vendita e sull’acquisizione della proprietà.
Se si applicano invece criteri di moralità del commercio e del mercato, il pendolo si sposta necessariamente dalla parte del legittimo proprietario: da un lato si richiedono quindi adeguate investigazioni al commerciante e la necessaria prudenza all’acquirente, d’altro lato si priva di valore l’eventuale posizione di buona fede dell’acquirente a non domino.

Del resto, è evidente che il mercato dell’arte rubata prolifera perché non è richiesto al commerciante e all’acquirente di verificare in modo approfondito la provenienza del bene: se opere d’arte di inestimabile valore fossero trattate in Europa come sono trattate con la stessa prudenza che si applica per il passaggio di proprietà di auto utilitarie (registrazioni, documentazione, ecc.), il mercato illegale sarebbe velocemente polverizzato.

Queste considerazioni sono a maggior ragione valide per tutta l’arte rubata durante la Seconda Guerra Mondiale: le depredazioni utilizzate dai Nazisti sono state in realtà utilizzate come il trampolino di lancio per giganteschi profitti e per enormi speculazioni: è stato osservato che il problema – come il problema dell’oro conservato nelle banche svizzere, o il problema delle assicurazioni di cui è stato incassato il premio e mai pagato – è stato semplicemente ignorato da tutti.

Il rigore dei principi americani a tutela del proprietario (in realtà, validi nella maggior parte degli Stati dell’Unione federale, ma non in tutti, il che pone ulteriori problemi)  prevede, in linea di massima, una eccezione: il possesso di buona fede costituisce titolo se esso sia aperto, pubblico, notorio e protratto con queste modalità continuativamente per un certo periodo di tempo.

Sulla base di questo principio, è stata ordinata nel 1975 al possessore di buona fede la restituzione al legittimo proprietario di opere d’arte rubate nel 1946, avendo il possessore attuale esposto le opere nel suo domicilio, ma non in pubblico.
Vi è poi un’ulteriore distinzione che accentua la differenza tra i due sistemi: nel diritto continentale, la buona fede dell’acquirente a non domino è in generale presunta, mentre non lo è nei sistemi anglosassoni: la buona fede deve essere provata dall’acquirente.

Così, non è stato ritenuto in buona fede Elicofon (vedi il terzo esempio iniziale), avendo acquista opere d’arte a basso prezzo da un soldato americano.

La prescrizione.
Il secondo vincolo alla restituzione delle opere d’arte rubate è costituito dalla prescrizione.
Nel diritto anglosassone, la prescrizione (c.d. statute of limitations) dell’azione di restituzione di beni mobili decorre, non diversamente dalla maggior parte degli Stati europei, in un periodo limitato: da due a quattro/cinque anni in genere (l’Italia, con dieci anni, costituisce la punta estrema nel diritto continentale, che si attesta, in genere, tra i due\tre e i cinque anni).

Ma ciò che importa e che distingue l’istituto dal corrispondente istituto continentale della prescrizione è da quando la prescrizione comincia a decorrere: per dirla con un detto americano, da quando l’orologio si mette in moto.

Nel diritto continentale, la prescrizione decorre, generalmente, da un termine a quo non ben precisato, identificabile con il momento nel quale il diritto può essere fatto valere (cfr. art.2935 c.c.). Ma secondo la giurisprudenza diffusa in tutti questi sistemi continentali costituisce ostacolo al decorso della prescrizione non l’impedimento di fatto, ma solo l’impedimento legale: è quindi ritenuto per lo più irrilevante lo stato di ignoranza del titolare del diritto, o l’impssibilità di individuare il soggetto passivo, o tutte le difficoltà materiali che rendano arduo, ma non giuridicamente impossibile, l’esercizio del diritto.

Nel diritto anglosassone, invece, l’orologio si mette in moto solo in due casi: o quando vi sia una richiesta del legittimo proprietario seguita dal rifiuto dell’acquirente, oppure quando l’ubicazione dell’opera e le generalità dell’acquirente avrebbero potuto essere scoperte usando una normale diligenza.

Richiesta e rifiuto.
Il principio vige praticamente solo nello Stato di New York, che è però il centro della maggior parte delle transazioni di opere d’arte rubate nel mondo.

Si applica quando c’è un possessore di buona fede, il quale viene informato della mancanza di valido titolo, ha l’opportunità di restituire il bene e si rifiuta di farlo.

Questo principio è stato applicato, oltreché nel caso Elicofon di cui abbiamo fatto cenno, anche in un caso riguardante un quadro di Chagall rubato nel 1941 dai Nazisti al proprietario Menzel quando questi abbandonò Bruxelles.
Il quadro venne venduto nel 1955 da una Galleria di New York al signor List, ma solo nel 1962 gli eredi di Menzel riuscirono a rintracciare il quadro. Il Tribunale decise che la prescrizione iniziava a decorrere dal momento della richiesta del quadro.

Scoperta e Diligenza.
La prescrizione comincia a decorrere quando il proprietario, usando la normale diligenza, avrebbe dovuto scoprire la collocazione del quadro rubato.

Esemplare dei vantaggi e dei limiti di questo principio è il caso De Weerth.
Gerda De Weerth mandò il quadro Champs de Ble di Monet alla sorella in Germania, per sottrarlo alle depredazioni naziste in Olanda. Nel 1944 il quadro scomparve. La proprietaria effettuò ricerche del quadro tra il 1946 e il 1957, utilizzando anche le prestazioni di un investigatore e di un avvocato. IL quadro fu trovato solo nel 1981, allorché un nipote lo vide nel catalogo ragionato delle opere di Monet: il catalogo indicava che il quadro era stato ceduto da un mercante svizzero alla Wildenstein Gallery di N.Y. De Weerth fu costretta a promuovere un’azione giudiziaria contro la Galleria per ottenere le generalità dell’acquirente del quadro; ottenutolo, De Weerth promosse un’azione per la restituzione del quadro, ma la richiesta, accolta dal giudice di primo grado, venne respinta dal giudice di appello, che ritenne che non era stata prestata la necessaria diligenza per rintracciare il quadro nel corso dei precedenti anni, non avendo adeguatamente pubblicizzato la scomparsa del quadro e non avendo continuato le ricerche tra il 1957 e il 1981.

La sentenza del giudice di appello è stata criticata, non avendo tenuto conto della difficoltà delle ricerche, della gravosità dal punto di vista economico e dall’omertà delle istituzioni.

Ma soprattutto, è stata criticata perché ha tenuto conto solo della diligenza del proprietario, e non della negligenza dell’acquirente nel verificare la legittimità della provenienza dell’opera.

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Risulta quindi manifesto che, stante il diverso regime degli acquisti a non domino e della prescrizione, solo l’ordinamento giuridico anglosassone e in particolare l’ordinamento giuridico degli Stati Uniti offre ai legittimi proprietari di opere d’arte rubate durante la Seconda Guerra Mondiale delle ragionevoli chances di recuperare le opere rubate. È per questo che Elicofon ha tentato con ogni mezzo di sfuggire alla giurisdizione americana, ed è per questo che gli eredi di Bondi e Grunbaum hanno atteso che le opere di Schiele si trovassero negli Stati Uniti per tentare di ottenerne il recupero.

Basterebbe quindi che commercianti e venditori di opere d’arte rubate evitassero i paesi con sistemi giuridici non continentali per ridurre sostanzialmente i rischi di vedersi privati delle opere illegittimamente acquisite. Ma, per uno scherzo (o per una nemesi) del destino, proprio nei paesi giuridicamente da evitare – specificatamente negli Stati Uniti, e in particolare New York, che possiede una normativa particolarmente severa in materia – si è progressivamente concentrato il mercato dell’arte: lì si trovano la maggior parte dei possibili acquirenti di queste opere.

6. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE. LE CONVENZIONI INTERNAZIONALI IN MATERIA E IN PARTICOLARE LA CONVENZIONE UNIDROIT.

Dopo la Seconda guerra mondiale, sono state approvate ben quattro convenzioni internazionali in materia di restituzione di beni culturali illegittimamente sottratti (l’Unione Europea ha inoltre approvato specifiche normative, valide peraltro solo all’interno dell’Unione, e quindi tra i Paesi membri della stessa). Si tratta della Convenzione dell’Aja, della Convenzione Unesco  e della Convenzione Unidroit.
Nessuna di queste è però stata ratificata dalla maggior parte degli Stati interessati dal traffico delle opere d’arte, sicchè esse sono attualmente prive di concreta efficacia.

Inoltre, la Convenzione UNESCO del 1970, pur avendo aumentato la protezione dei beni culturali ed avendo individuato strumenti per prevenire e combattere il commercio transnazionale di tali beni, riguarda esclusivamente beni di proprietà pubblica: non offre tutela per il privato cui il bene sia stato trafugato.

Il 24/6/1995 è stata firmata a Roma la Convenzione Unidroit, allo studio sin dal 1988, rivolta espressamente a “contribuire alla lotta contro il traffico illecito dei beni culturali”. La Convenzione è la prima che ha tra l’altro previsto la diretta possibilità per i privati di avvalersi della Convenzione pr ottenere la restituzione delle opere d’arte trafugate.
Inoltre, la Convenzione ha introdotto numerose disposizioni che certamente possono limitare il commercio illegale di opere d’arte. Due sono le più importanti.

In primo luogo, ha espressamente previsto che la situazione di buona fede del possessore attuale non esclude il diritto alla restituzione (adottando così la soluzione anglosassone e americana): il possessore ha diritto ad un giusto indennizzo da versarsi da parte del legittimo proprietario che recuperi l’opera, ma solo qualora dimostri effettivamente di aver prestato la necessaria diligenza per l’acquisto.

In secondo luogo, ha adottato termini di prescrizione assai ampi rispetto a quelli in generale vigenti nel diritto continentale: un termine di tre anni dal momento in cui il richiedente ha cognizione del luogo ove il bene si trova e dell’identità del possessore, e un termine assoluto di 50 anni; in realtà, la Convenzione prevede la possibilità per uno Stato di elevare la prescrizione massima a 50 anni, ma è una facoltà che ben difficilmente sarà adottata dagli Stati europei.

Ma, a prescindere dalla considerazione che la Convenzione non risolve il problema dell’arte rubata nella Seconda guerra Mondiale, non essendo ùne possibile una applicazione retroattiva, il reale problema, cui già si è accennato, è che dei 70 Stati che hanno partecipato ai lavori per l’elaborazione della Convenzione, ben pochi la hanno a tutt’oggi ratificata, rendendola così, allo stato, uno strumento privo di qualsiasi utilità pratica.