Stefano nespor, Legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste: questioni nuove e vecchie, nota a T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 8 ottobre 2004, n. 5515, pag. 137

La decisione riguarda una controversia promossa contro una variante del Prg per l’insediamento degli impianti sportivi in occasione dei Campionati mondiali di sci alpino del 2005.
Sul punto della legittimazione dell’associazione ambientalista riconosciuta Legambiente, la decisione qui annotata si limita a richiamare Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1382 (in questa Rivista, 2002, p. 526, con nota di SILVIA MARCHESE) che nega la legittimazione attiva di Italia Nostra ad impugnare atti che riguardano un centro storico in base all’assunto che « il concetto giuridico di ambiente non abbraccia ogni bene che abbia valenza ‘‘naturalistica’’ o ‘‘sociale’’, ovvero che abbia come unico riferimento definizioni extragiuridiche facenti leva sull’idea di habitat, in cui vivono gli uomini e gli animali ». Nello stesso senso in precedenza, espressamente richiamata dalla decisione del 2001, Cons. St., Sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 223 (in Foro it., 1993, III, 97, nota di BENINI; in Cons. St., 1992, I, p. 207; e in Giust. civ., 1992, I, 1961) secondo il quale « e` inammissibile il ricorso di Italia Nostra contro il programma integrato di recupero della zona Arena-Ticinese di Milano, interessata da testimonianze archeologiche, proposto a tutela di interessi culturali (quelli della conservazione del patrimonio archeologico) e urbanistici in generale, poiche´ la legittimazione delle associazioni di cui all’art. 13, L. 8 luglio 1986, n. 349, a ricorrere in sede giurisdizionale amministrativa, sussiste solo per la tutela di interessi naturalistici». Sempre nello stesso senso, Cons. St., Sez. V, 10 marzo 1998, n. 278 (in Foro it., 1998, III, 267; in Foro amm., 1998, p. 708; e in Urbanistica e appalti, 1998, 560, p. 872, con nota di TOSCHEI) che esclude la legittimazione di Legambiente ad impugnare « atti a contenuto meramente urbanistico… senza alcun’incidenza sui valori ambientali » precisando che « la nozione di ‘‘ambiente’’ va desunta non dall’art. 82, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 — norma, questa, precedente alla L. n. 349 del 1986 e concernente soltanto il riparto delle competenze tra Stato e Regioni in soggetta materia, senza dar disciplina alcuna ai poteri processuali delle associazioni ambientalistiche — ne´ tampoco dall’art. 130 R, trattato CE (nel testo introdotto dall’art. 438 del trattato Maastricht) — disposizione comunitaria che regola le nuove competenze dell’Unione Europea in materia di ambiente — ne´, ancora, dall’art. 17, comma 46, L. 15 maggio 1997, n. 127, che si limita a ribadire la possibilita` per dette associazioni, nei soli limiti gia` stabiliti dall’art. 18, L. n. 349 del 1986, di adire il giudice amministrativo anche contro gli atti di Regioni, Province e Comuni ». Sul punto pero` , e sulle varie sue sfaccettature, la giurisprudenza e` tutt’altro che consolidata, e sui suoi futuri sviluppi dovranno certamente incidere sia la riforma del Titolo V della Costituzione (e in particolare la formulazione dell’art. 118, ultimo comma) e la nuova Costituzione dell’Unione Europea. Gia` Cons. St., Sez. IV, 13marzo 1991, n. 181, in Cons. St., 1991, I, p. 347, ha ritenuto che le associazioni ambientaliste riconosciute (nella specie, Italia Nostra) possano proporre censure non solo attinenti alla violazione delle norme date a protezione dell’ambiente, ma anche di norme perseguenti interessi pubblici diversi, strumentalmente se atte a comportare l’annullamento del provvedimento impugnato e Cons. St., Sez. VI, 16 luglio 1990, n. 728, in Giur. it., 1992, III, 1, p. 518; in Giust. civ., 1991, I, 1096; e in Foro it., 1991, III, 485, ha ritenuto ammissibile il ricorso (nella specie, proposto da Legambiente) anche in difetto di allegazione di un danno ambientale specifico.
Vi e` poi un orientamento, minoritario ma decisamente meno restrittivo.
Secondo Cons. St., Sez. IV, 7 ottobre 2002, n. 5365, in Foro amm.-CDS, 2002, p. 2344, la legittimazione ad agire alle associazioni ambientaliste (nella specie, Italia Nostra che aveva impugnato atti concernenti la ristrutturazione della sede del Tribunale di Monguelfo in Trentino), contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado spetta « non solo per la tutela degli interessi ambientali in senso stretto (che possono essere individuati negli aspetti fisico-naturalistici di una certa zona o di un certo territorio) bensi` anche per quelli ambientali in senso lato comprendenti proprio la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali, dell’ambiente in senso ampio, del paesaggio urbano, rurale e naturale, dei monumenti e dei centri storici e della qualita` della vita… ».
Ha osservato in proposito la decisione che « solo attraverso la nozione allargata di ambiente… puo` raggiungersi l’effettiva tutela del patrimonio ambientale, culturale, storico e artistico di cui e` fornita l’Italia, patrimonio che sarebbe esposto a gravissimi rischi di sopravvivenza se la legittimazione ad agire fosse stata circoscritta ai soli singoli cittadini direttamente e autonomamente lesi da provvedimenti amministrativi».
In questo senso e` anche T.A.R. Lombardia, Sez. II, 6 dicembre 2002, n. 5093, in Foro amm.-T.A.R., 2003, p. 410, con nota di CALABRO ` , secondo la quale una associazione ambientalistica riconosciuta (nella specie, Legambiente) puo` ritenersi legittimata ad impugnare concernenti interventi su beni monumentali (nella specie, la ristrutturazione del Teatro alla Scala a Milano), se vi sia la dimostrazione concreta di una attivita` dell’associazione nel detto settore. In questo senso e` infine T.A.R. Liguria,Sez. I, 13 marzo 2003, n. 309, in Foro amm.-T.A.R., 2003, p. 489, secondo cui « gli atti impugnabili dalle associazioni ambientaliste (nella specie, Legambiente), non possono essere limitati in modo rigido a quelli che comportino una incisione materiale del bene ambiente, ma devono ricomprendere tutti i provvedimenti idonei a recare un apprezzabile pregiudizio al bene stesso, indipendentemente dalla loro specifica natura ». La decisione precisa al riguardo che la tutela del valore ambiente « deve essere assicurata in via prioritaria rispetto ai diversi e spesso confliggenti interessi di minor rango, con cui venga a confrontarsi nell’ambito dei complessi procedimenti che sempre piu` caratterizzano l’agire dei pubblici poteri. E tale tutela non puo` certo essere aprioristicamente limitata sul piano oggettivo a talune categorie di atti, ben potendo e dovendo, viceversa, essere perseguita con riguardo a qualsivoglia provvedimento se ed in quanto incisivo del valore protetto ».
L’ambiente non e` quello legislativamente definito — ricorda il T.A.R. Liguria — ma un valore di rango costituzionale, riportandosi cosi` alla ormai consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale — a partire da Corte Cost., 15 maggio 1987, n 167, in Giur. cost., 1987, p. 1212, fino a Corte Cost., 20 dicembre 2002, n. 536, secondo la quale « la tutela dell’ambiente non puo` ritenersi propriamente una materia, in quanto l’ambiente e` invece un valore costituzionalmente protetto in funzione del quale lo Stato puo` dettare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale anche incidenti sulle competenze legislative che ex art. 117 Cost. spettino alle regioni su materie (governo del territorio, tutela della salute) per le quali quel valore costituzionale assume rilievo ».
Questo orientamento pare in linea anche con le disposizioni del Trattato dell’Unione Europea, ove e` affermato il principio generale dell’integrazione trasversale delle esigenze connesse con la tutela dell’ambiente nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie (art. 6).
Quanto al carattere tassativo o meno del riconoscimento operato dal Ministero ai fini della legittimazione (implicitamente affermato dalla decisione in esame), nel senso della tassativita` vi e` la gia` citata decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 luglio 1990, n. 728, che qualifica il riconoscimento come condicio iuris della legittimazione ad agire, con esclusione di un potere concorrente del giudice amministrativo; si vedano inoltre T.A.R. Trentino-Alto Adige, 2 giugno 1987, n. 134, in T.A.R.,1987, I, p. 2868; T.A.R. Marche, 23 novembre 2001, n. 1223, in Foro amm., 2001, p. 2963.
Nel senso invece della non tassativita` del riconoscimento ministeriale e dell’esistenza nel nostro ordinamento di un duplice sistema di accertamento della legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste, e quindi nel senso che il potere di individuazione ministeriale conferito dall’art. 13 della legge n. 349 del 1986 non esclude il potere del giudice di applicare direttamente la norma dell’art. 18, accertando, caso per caso, la sussistenza della legittimazione in capo ad una determinata associazione ad impugnare provvedimenti lesivi di interessi ambientali vi sono T.A.R. Veneto, 4 giugno 1998, n. 858, in Dir. regione, 1998, p. 873, con nota di FURLANETTO, secondo il quale sussiste « la legittimazione ad agire del comitato popolare per la verifica della compatibilita` ambientale dell’International Foam Italia nel giudizio concernente la realizzazione di impianto di deodorizzazione, tenuto conto della finalita` che tale comitato persegue e del particolare favore che l’attuale momento storico-politico riserva alle associazioni di tutela ambientale, intesa come tutela delle condizioni di vita della collettivita` nell’ambiente », e T.A.R. Veneto, 12 agosto 1998, n. 1414, in questa Rivista, 1999, p. 364, con nota di S. CIVITARESE MATTEUCCI; e in Dir. e giur. agr., 1999, p. 110, con nota di DI SCIASCIO, secondo cui l’accertamento della rappresentativita` delle associazioni ambientalistiche ai fini della liquidazione processuale delle stesse si basa su un duplice sistema, derivante rispettivamente dagli artt. 13 e 18, L. 8 luglio 1986, n. 349, il secondo dei quali affida al giudice l’accertamento, caso per caso, della legittimazione. Si veda inoltre Cons. St., Sez. VI, 7 febbraio 1996, n. 182, in questa Rivista, 1996, p. 694, con nota di A. MAESTRONI secondo la quale « Il Codacons puo` ritenersi legittimato a ricorrere in sede giurisdizionale amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi lesivi dell’ambiente, per le finalita` di tutela ambientale che esso persegue, intese come complesso delle condizioni di vita dei singoli e della collettivita`, nonche´ per la continuita` dell’attivita` svolta e la rilevanza esterna di cui e` connotata la sua azione». Questo secondo orientamento sembra trovare un solido fondamento normativo nella nuova formulazione dell’art. 118 della Cost. (« Stato, Regioni, Citta` metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento delle attivita` di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarieta`»). In proposito, il Consiglio di Stato ha osservato che l’ultimo comma dell’art.118 della Cost. « sancisce e conclude un percorso di autonomia non piu` collegato al fenomeno della entificazione, ma correlato piu` semplicemente alla societa` civile e al suo sviluppo democratico a livello quasi sempre volontario » (cosi` Cons.St., Sez. consultiva per gli atti normativi, 25 agosto 2003, n. 1440/2003. Sul punto degli effetti del nuovo art. 118 della Cost. si veda A. MAESTRONI, Ambiente e associazioni ambientaliste nel quadro della riforma del Titolo V della Costituzione, Univ. Ddgli studi di Bergamo, 2004, pp. 105 ss., e, piu` in generale, B. POZZO-M. RENNA (a cura di), L’ambiente nel nuovo Titolo V della Costituzione, Quaderni della Rivista Giuridica dell’Ambiente, n. 15, 2004).
In effetti, in diretta applicazione dei nuovi principi costituzionali e in particolare del principio di sussidiarieta`, il T.A.R. Liguria, Sez. I, 18 marzo 2004, n. 267 (in Foro amm.-T.A.R., 2004, p. 642) ha riconosciuto ad una associazione costituita ad hoc per la protezione di un bene ambientale (Comitato per la salvaguardia e lo sviluppo del Golfo dei Poeti) la legittimazione ad impugnare provvedimenti per la messa in sicurezza del porto di La Spezia.

Stefano Nespor, Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore, in RGA 2005, pag.1

E ` passato un anno. Il primo numero del 2004 della RGA e` stato dedicato agli accordi sul cambiamento climatico e il Protocollo di Kyoto.
Si era da poco conclusa, a Milano, la 9a Conferenza delle Parti contraenti della Convenzione quadro sul cambiamento climatico, segnata dall’annuncio di Putin, poche settimane prima, che, dopo molti tentennamenti, la Russia aveva deciso di non ratificare il Protocollo.
Appariva a tutti ben chiaro che — tenuto conto del ben noto rifiuto di ratifica degli Stati Uniti — questa decisione impediva la realizzazione della duplice condizione prevista dal Protocollo per la sua operativita` (55% dei paesi che hanno ratificato la Convenzione quadro sul cambiamento climatico e 55% delle emissioni complessive di gas serra al 1990), e bloccava a tempo indeterminato le speranze di un accordo internazionale sul tema del contenimento delle emissioni di gas serra.
Nell’introduzione ai contributi raccolti in quel numero della RGA, scrivevo che dal punto di vista della tutela dell’ambiente era realistico ritenere che l’intero percorso degli accordi sul cambiamento climatico fosse assai prossimo a un fallimento, pur segnalando alcuni motivi di ottimismo, tra cui il sorgere di iniziative per il contenimento delle emissioni di gas serra a livello regionale o locale che segnalavano il diffondersi di una coscienza della gravita` del fenomeno e l’esistenza di un sistema internazionale in piena attivita` , con organismi appositamente istituiti, incaricato di presiedere alla stabilizzazione del clima.
Improvvisamente, nel dicembre del 2004, poco prima dell’inizio della 10o Conferenza delle Parti a Buenos Aires, quelle previsioni sono state smentite e le prospettive sono radicalmente mutate, a seguito della ratifica del Protocollo da parte della Russia. Il 18 febbraio 2005 il Protocollo di Kyoto e` quindi entrato in vigore ed e` vincolante per tutte le parti contraenti.
E ` sembrato quindi doveroso dedicare ancora una volta un fascicolo della RGA a questo tema e, a un anno esatto di distanza, compensare le note pessimistiche che avevano caratterizzato il primo numero speciale.
Per un curioso ricorso storico, la Russia si e` trovata nuovamente a rivestire un ruolo chiave nell’ambito di uno scontro tra le potenze economicamente piu` sviluppate: proprio come accadde ripetutamente nel XVIII e XIX secolo, allorche´ dalle sue scelte di alleanza con Francia, Inghilterra o Germania dipese in molte occasioni l’equilibrio europeo e il mantenimento della pace sul Vecchio continente.
Anche questa volta, sia pure su scala piu` globale, la Russia ha svolto un ruolo determinante nello scontro tra i due blocchi in cui si erano suddivise le grandi potenze economiche: Unione Europea, Giappone e Canada da una parte, Stati Uniti e Australia dall’altra: uno scontro che, pur riguardando un trattato ambientale, sarebbe miope ridurre alla semplice politica ambientale, riguardando invece scelte di complessiva strategia politico-economica nel futuro delle relazioni internazionali con i paesi meno sviluppati.
Comprensibili sono state le titubanze e i ripensamenti del governo russo, anche perche´ ha dovuto tener conto di una fortissima ed autorevole opposizione interna, tra i cui principali esponenti vi erano Iuri Israel, il direttore dell’Istituto per il clima e membro dell’Accademia delle scienze russa, secondo cui « il protocollo di Kyoto avrebbe comportato seri rischi economici al paese » e lo stesso consigliere economico presidenziale, Andrei Illarionov, che ha parlato di « atto politico destinato a danneggiare gli interessi nazionali della Russia ».
Determinanti per la scelta compiuta sono stati con tutta probabilita` non tanto i pericoli di negative conseguenze sulle relazioni economiche bilaterali con l’Unione Europea quanto — nonostante l’opinione degli oppositori — i concreti vantaggi economici derivanti dall’adesione. Con la sua adesione, la Russia e` stata infatti ammessa a partecipare al mercato delle emissioni di gas serra creato dal Protocollo e riservato ai soli Stati aderenti. La Russia potra` quindi vendere il proprio enorme quantitativo di emissioni disponibili (determinato dal crollo dell’economia dopo il 1990 e dalla conseguente riduzione delle emissioni) agli Stati inadempienti agli obblighi di riduzione assunti: una opportunita` di incalcolabile valore economico (nonostante l’assenza degli Stati Uniti, l’acquirente piu` probabile e piu` ambito).
L’entrata in vigore del Protocollo da un lato rappresenta, sotto molti punti di vista, un successo; d’altro lato, proprio per le modalita` con le quali e` stata ottenuta, prospetta uno scenario denso di problemi.
Cominciamo da questi ultimi.
Il protrarsi della resistenza all’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto — dichiarata e ufficiale da parte di alcuni paesi, guidati dagli Stati Uniti, ostruzionistica e strisciante da parte di altri, solo formalmente sostenitori del Protocollo, ma in realta` convinti fino all’ultimo del fallimento degli sforzi e quindi dell’inutilita` di avviare le procedure necessarie per il contenimento delle emissioni (tra cui i paesi produttori di petrolio e, nell’ambito dell’Unione Europea, l’Italia) — ha comportato gravi conseguenze.
A fronte degli obiettivi fissati a Kyoto nel 1997, e cioe` una riduzione complessiva delle emissioni di gas serra del 5,2% entro il quadriennio 2008-2012 rispetto alle emissioni esistenti nel 1990, non solo non si e` verificata una riduzione, ma le emissioni sono addirittura aumentate.
L’aumento e` poi ancora piu` consistente, se si tiene conto che le riduzioni nelle emissioni, ove si sono verificate, sono state dovute non all’adozione di politiche ambientali, ma solo a contingenze economiche o politiche che, in molti paesi, hanno frenato — in taluni paesi in modo davvero massiccio — lo sviluppo industriale e quindi l’incremento nelle emissioni dopo il 1990.
Salvo sporadiche eccezioni, nessun paese ha ridotto le emissioni di gas serra a seguito di interventi puramente finalizzati al contenimento climatico.
Nessun paese, neppure tra quelli piu` fervidamente schierati a sostegno del Protocollo di Kyoto, ha rinunciato a perseguire obiettivi di crescita economica con tutti i mezzi a disposizione, per soddisfare obiettivi di sviluppo, di produzione, di profitto e di concorrenza internazionale.
Se si escludono questi paesi, se si escludono quindi le riduzioni delle emissioni non verificatesi per scelte di politica ambientale o di volontario adeguamento agli obiettivi fissati dal Protocollo, l’aumento complessivo delle emissioni verificatosi dal 1990 ad oggi e` dell’8,7%.
Quindi, entro il 2012, nei sette anni ancora a disposizione, la riduzione complessiva da effettuare rispetto ai livelli del 1990 e` addirittura del 13,9%: si tratta di un obiettivo che e` impossibile da realizzare se non a prezzo di una contrazione della produzione e dello sviluppo politicamente insostenibile.
Ancor piu` critica e` la posizione dell’Italia: a fronte di un impegno di ridurre le emissioni del 6,5% rispetto al livello del 1990, vi e` stato un aumento, ad oggi, di circa il 9%.
Le previsioni degli esperti ipotizzano infatti una riduzione massima su scala globale del 3,5/3,7 %, ammesso che venga posto in essere uno sforzo serio da parte di tutti gli Stati coinvolti.
Vi e` pero` da osservare che, come detto, il ritardo maturato nell’esecuzione degli obblighi previsti per questa prima tappa della Convenzione quadro e` in gran parte imputabile al ritardo nell’entrata in vigore del Protocollo (e, di piu` , alla ragionevole convinzione che esso non sarebbe mai divenuto operativo), sicche´ l’inattivita` di molti paesi trova almeno parziali giustificazioni.
Inoltre, passando ad esaminare gli aspetti positivi, e` questo uno dei casi in cui vale il detto che non tutto il male viene per nuocere.
Infatti l’impossibilita` per i paesi sviluppati di ridurre le proprie emissioni per raggiungere gli obiettivi stabiliti costringera` inevitabilmente — se si vuole evitare per quanto possibile di comprare emissioni disponibili sul mercato — a ricorrere alle misure flessibili alternativamente previste e quindi agli strumenti di intervento per la riduzione delle emissioni da attuarsi nei paesi in via di sviluppo.
Se cosi` sara` , si sviluppera` nei prossimi anni un concreto coinvolgimento di tutti i paesi firmatari della Convenzione nel raggiungimento degli obiettivi posti dal Protocollo e quindi nella messa a punto e nel trasferimento di tecnologie e strumenti che favoriranno uno sviluppo « pulito » nei paesi che, a partire dal 2012, dovranno essere almeno parzialmente coinvolti nella responsabilita` per la riduzione delle emissioni globali.
Sotto questo profilo, non bisogna trascurare che siamo solo alle battute iniziali di un lungo processo che, nelle sue tappe successive, dovra` prevedere la partecipazione anche dei paesi in via di sviluppo, attualmente del tutto esclusi da ogni impegno di riduzione delle emissioni (in virtu` dell’applicazione del principio della responsabilita` comune ma differenziata, infatti, gli impegni di riduzione delle emissioni sono stati assunti, nella prima fase, e quindi fino al 2012, soltanto dai paesi maggiormente sviluppati). In futuro, quindi, dovra` attenuarsi se non scomparire una delle ragioni che hanno indotto gli Stati Uniti a non aderire al Protocollo (assumendo una posizione non illogica da un punto di vista strettamente ambientale: gli sforzi compiuti dai paesi maggiormente sviluppati per raggiungere gli obiettivi di contenimento delle proprie emissioni entro il 2012 potranno essere — secondo le piu` attendibili previsioni — totalmente annullati dagli incrementi incontrollati di emissioni in alcuni paesi in via di forte sviluppo, quali Cina, India e Brasile).
L’entrata in vigore del Protocollo costituisce quindi una importante conferma su scala internazionale del principio, sostenuto in primo luogo dall’Unione Europea, della necessita` di una gestione multilaterale e cooperativa dei problemi globali (non solo ambientali), e un rifiuto della logica unilaterale seguita dagli Stati Uniti.
Costituisce poi un concreto riconoscimento per l’enorme sforzo — finanziario, organizzativo e politico — posto in essere dalla comu nita` internazionale e dagli organismi che ne sono espressione, a partire dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, per coinvolgere tutti i paesi nel perseguimento di un obiettivo ambientale globale e comune — la riduzione degli effetti delle attivita` umane sul cambiamento climatico — indipendentemente dai vantaggi particolari che ciascuno avrebbe potuto ottenere.
Ma e` anche un successo della politica ambientale tenacemente perseguita dall’Unione Europea, basata sul principio che il rispetto degli accordi internazionali stipulati, anche se carenti e difettosi. sia l’unica strada per realizzare il contenimento degli effetti dello sviluppo economico sul cambiamento climatico e, piu` in generale, per raggiungere obiettivi di tutela globale dell’ambiente.