N. 37 inverno 2009

 

 

 

 

 

IN COPERTINA
Ritratto di Gustav Mahler, di cui ricorre nel 2010 il centocinquantenario della nascita (a Kaliste, un piccolo villaggio della Boemia). A Mahler si deve la trasformazione della sinfonia da una composizione con un progetto dichiarato e sviluppato in una faticosa ricerca di un obiettivo e di un significato. Diceva il compositore statunitense Aaron Copland: “quando sul lavoro di quest’uomo si è detto tutto, resta ancora da dire qualcosa di straordinariamente commovente”.

Il ritratto è di Stefano Nespor, in matita e carboncino su carta da pacchi.

 

IN QUESTO NUMERO
Oltre a un breve brano introduttivo, ci sono due storie per ricordare la fine di una invasione: entrambe si occupano di eresia, anche se gli eretici questa volta sono diversi da quelli di cui solitamente scrivo.
La seconda storia, inoltre, è dedicata a un mio caro amico. C’è poi una storia che ricorda l’inizio di un’altra, precedente invasione: tutte riguardano un paese ora scomparso, la Cecoslovacchia. Ci sono tre brani di autori americani che trattano, con tono assai diverso, di Venezia: tra questi, una non molto nota poesia di Melville che offre un suggestivo e improbabile paragone tra gli architetti che nel tempo hanno realizzato Venezia e i piccoli autori delle costruzioni corallifere. Ci sono come al solito le poesie. Di due autrici polacche, Wislawa Szimborska (presenza ormai abituale nei TI) e Julia Hartwig e, ancora una volta, una stupenda poesia su un padre, ritrovata casualmente e tempestivamente segnalata da uno dei principali sostenitori dei TI.
Infine, c’è anche questa volta la parte dedicata ai libri da leggere.

 S.N.

 

IL CAPO DEL GOVERNO

Il capo del governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Ma un popolo onesto non lo avrebbe mai posto a capo del governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto. Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt’al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente a causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio di italiano. Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare.

Da Elsa Morante. Lo scritto, del 1° maggio 1945, è in Pagine autobiografiche postume, pubblicate in Paragone Letteratura n.456, febbraio 1988. Il capo del governo descritto da Elsa Morante è, ovviamente, Mussolini. Ma non dimentichiamo l’esordio di Marx nel saggio Il Diciotto brumaio di Luigi Bonaparte (scritto nel 1852 originariamente per la pubblicazione a puntate): “Hegel osserva che tutti i grandi fatti della storia del mondo e i loro personaggi compaiono in due riprese. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”.

 

TRE AMERICANI A VENEZIA

I

Ne ho abbastanza di Venezia. È un posto bizzarro, adatto ai castori, non agli esseri umani. Ci si sente sempre soli e in prigione. Due persone possono vivere per mesi in strade vicine e non incontrarsi mai: si va in giro in gondole, tutte uguali e tutte idonee a nascondere il passeggero. Poi, a parte piazza San Marco, non c’è un luogo pubblico, dove sia possibile informarsi e scambiare notizie. Si vive isolati, come marinai nel mezzo dell’oceano. D’altra parte, riconosco che per un breve periodo è molto gradevole restare immersi nei cuscini delle gondole e leggere, parlare o disegnare ciò che si intravede, senza essere visti. Tuttavia, dovunque ci sono odori sgradevoli e le case sono fatiscenti, desolate e prive di comodità. Dopo pochi giorni sono ripartito.

II

La città non era mai apparsa così irreale come in questa luce dell’addio – quella fioca triste luce che il nostro affetto e il nostro dispiacere gettavano su di essa. Come in un sogno, noi andavamo in cerca ancora e per l’ultima volta delle scene che avevamo conosciuto così a lungo.

Trascorremmo la nostra ultima sera a piazza S. Marco. Lanciammo, sotto i raggi della luna, il nostro muto addio alle isole e alla laguna, alle chiese e ai palazzi, e poi facemmo ritorno al nostro palazzo, e restammo a lungo sul balcone che si affaccia sul Canal Grande. Lì il futuro pareva improbabile e incredibile come il passato. Se spesso ci era sembrato assurdo essere venuti a vivere in un posto così strano, ora sentivamo, con ben maggiore intensità, la crudele assurdità dell’idea di vivere in qualsiasi altro posto. Eravamo divenuti parte di Venezia: come avrebbero potuto gli atomi della sua fantastica personalità combinarsi con il mondo esterno?

III

Con panteistica forza della volontà

Il piccolo artigiano del mar dei coralli

Erige infaticabile negli abissi marini

Meravigliose gallerie, arcate di marmo,

apricciose colonne adorne di orli con marmorei merletti.

Laborioso sul mare increspato dalle onde

Esperto in arti analoghe

Un più orgoglioso artefice manifesta la forza di Pan

Quando Venezia emerge dalle acque in marmoree barriere di palazzi.

 

Il primo brano è tratto dal diario di Ralph Waldo Emerson che visita l’Europa tra il 1832 e il 1833. Di quest’ultimo anno è il breve soggiorno a Venezia (descritto nel quarto volume della raccolta The Journals and Miscellaneous Notebooks, Harvard University Press 1964). Dopo alcune pagine di descrizioni entusiastiche di monumenti e dipinti, le pagine dedicate alla città si concludono in data 3 giugno con questo brano. Di Emerson è reperibile in traduzione italiana il volume Il trascendentalista e altri saggi, Mondadori 1990.

Il secondo brano è di William Dean Howells, nominato da Lincoln console a Venezia durante il periodo della guerra di secessione. Sono gli ultimi anni della dominazione austriaca sulla città. Howells lascia di questi anni appunti, immagini e osservazioni, raccolti in due volumi (Venetian Life, Londra 1891; l’opera è consultabile nella biblioteca di Google). Il brano è tratto dalle pagine che precedono la partenza per il ritorno in patria.

La poesia conclusiva è di Herman Melville. È inserita nella raccolta Timoleon, pubblicata da Melville nel 1891, l’anno della sua morte, in sole 25 copie. Nella raccolta ci sono un’altra poesia su Venezia, In a Bye-Canal e varie composizioni dedicate a città italiane, tra cui Milan Cathedral e Pisa’s Leaning Tower. Tutte queste poesie risalgono probabilmente alla fine degli anni Cinquanta e sono state composte nel corso di un lungo giro europeo (di cui resta il diario Journal of a visit to Europe and the Levante). Melville trascorre alcuni giorni a Venezia, tra il 1° e il 6 aprile del 1857. Rimane impressionato soprattutto dalle architetture e scrive sul suo diario: “E’ incredibile quello che si può fare con il marmo”. La poesia contrappone le costruzioni corallifere ai monumenti veneziani. Venezia è la risposta della cultura alla natura o è la risposta della natura alla stupefacente capacità artigianale dei piccoli animali che erigono la barriera corallina? Prevale il panteismo che costruisce palazzi di corallo, o l’estetismo di Pan che presiede alla ”emersione” dal mare di barriere di palazzi? Questa riflessione riprende una delle tesi più note proprio di Emerson secondo cui la natura produce il muratore e ciò che il muratore realizza.

 

I WINTON TRANSPORTS

Settembre 2009. Un treno lascia la stazione di Praga diretto a Londra dove arriva il 4 settembre. A bordo c’è un gruppo di attempati passeggeri mescolato a molti altri, giovani e giovanissimi. I primi sono alcuni dei 669 bambini che settanta anni prima furono imbarcati nei treni che fecero lo stesso tragitto fuggendo dall’ormai imminente occupazione nazista. I giovani sono una piccola rappresentanza degli oltre 5.000 discendenti (figli, nipoti e pronipoti) dei fuggitivi. I passeggeri trovano ad attenderli un signore che ha appena compiuto cento anni: è sir Nicholas “Nicky” Winton, l’organizzatore di quelli che sono rimasti famosi come i Winton Transports. Facciamo un salto indietro nel tempo. Siamo al 29 settembre del 1938. Gli europei si illudono che Neville Chamberlain ed Edouard Daladier, a Monaco, abbiano raggiunto un accordo con Adolf Hitler, sacrificando alla pace una parte della Cecoslovacchia che la Germania si sarebbe annessa nell’ottobre. Winton, allora un ventinovenne agente di borsa con numerose relazioni d’affari in Germania, sapeva che non era così: sapeva che in poco tempo tutta la Cecoslovacchia sarebbe stata occupata e che la guerra era inevitabile. In dicembre avrebbe dovuto andare a sciare in Svizzera con un amico. Invece, andò a Praga. Poté così vedere le terribili condizioni in cui vivevano, in accampamenti alla periferia della città, i profughi provenienti dai territori annessi dalla Germania, quasi tutti ebrei. I bambini erano più di 15 mila. Tornato a Londra, scrisse ovunque per ottenere ospitalità per i profughi cecoslovacchi. Si rese tuttavia subito conto che solo per i bambini vi sarebbero state possibilità di risposte positive. Tutti i governi (compresi Stati Uniti e Svizzera) rifiutarono. Salvo due: Gran Bretagna e Svezia. Costituì allora un gruppo di volontari per organizzare il piano di salvataggio: i trasporti, le pratiche burocratiche, i visti, la ricerca delle famiglie disponibili all’ospitalità (pubblicando inserzioni sui principali quotidiani), la ricerca di fondi e di finanziamenti. A Praga un altro inglese, Trevor Chadwick, contattò tutte le famiglie che desideravano far espatriare i loro figli; in breve, formò una lista d’attesa di 5.000 bambini. Il primo dei Winton Tansports partì da Praga il 14 marzo 1939 con venti bambini. Nei mesi successivi Winton organizzò altri sette trasporti, ponendo in salvo 669 bambini, tutti tra i 6 e i 12 anni. I bambini erano condotti al treno dai loro genitori o dai parenti: li lasciavano sapendo che, con tutta probabilità, non si sarebbero più rivisti. Il nono trasporto, programmato per i primi giorni di settembre, era quello più numeroso: c’erano 250 passeggeri in lista. Il treno fu però bloccato dallo scoppiò della guerra il 1° settembre. Nessuno di quei bambini e pochissimi degli altri iscritti nella lista sono sopravvissuti.
Winton non ha mai parlato con nessuno della sua attività che è stata scoperta dalla moglie nel 1988, rovistando in un baule dimenticato in soffitta. A seguito di questa scoperta, la vicenda è stata raccontata dalla televisione inglese e Nicholas si è incontrato con molti dei bambini che è riuscito a porre in salvo. Tra i bambini salvati, ci sono dottori, maestri, musicisti, artisti, scrittori, piloti, scienziati, ingegneri, imprenditori e persino un deputato del Parlamento inglese.

Uno dei bambini salvati, Vera Gissing, ha scritto insieme a Muriel Emanuel, un libro: Nicholas Winton and the Rescued Generation: Save One Life, Save the World, Vallentine Mitchell. Londra 2001

 

TRE POESIE DI WISLAWA SZYMBORSKA

Assenza

C’è mancato poco
che mia madre sposasse
il signor Zbigniew.
Se mai fosse nata una figlia – non sarei stata io.
Forse avrebbe avuto più memoria per i nomi
e per volti e melodie udite una volta soltanto
Avrebbe avuto eccellenti voti in chimica e fisica
E più scarsi in polacco
Ma di nascosto avrebbe scritto poesie
Più interessanti delle mie.

C’è mancato poco
che mio padre sposasse
la signorina Jadwiga di Zakopane.
Se mai fosse nata una figlia – non sarei stata io.
Sarebbe stata forse più ostinata,
sarebbe saltata senza paura nell’acqua profonda,
di rado sarebbe stata vista su un libro,
molto più spesso in cortile
a giocare a pallone con i ragazzini.
Forse le due ragazze si sarebbero incontrate
Avrebbero frequentato la mia stessa scuola
O magari anche la mia stessa classe.
Ma senza divenire amiche
E ben distanti nella foto di gruppo annuale.
Ragazzine, mettetevi qui
Avrebbe detto il fotografo,
quelle più basse davanti, le più alte dietro,
e al mio segnale fate un bel sorriso.
Ci siete tutte?

Si, tutte!

Esempio

Una bufera
Di notte
ha strappato tutte le foglie dell’albero
Tranne una fogliolina
Lasciata
A dondolarsi su un ramo spoglio.
Così
La violenza
dimostra
Che a volte
Le piace scherzare un po’.

Gente

Gente in fuga davanti a altra gente.
In un qualche paese sotto il sole.
Si lasciano alle spalle tutto, campi seminati, galline, cani
hanno sulle spalle brocche e fagotti
quanto più vuoti, tanto più pesanti
con il passare dei giorni.
Davanti a loro una via che non è mai quella giusta
Un ponte che non è quello che servirebbe,
intorno spari,
in alto un aereo che fa qualche giro.

Qualcosa ancora accadrà.
Qualcuno verrà incontro,
se potrà scegliere
forse non vorrà essere nemico.

Wislawa Szimborska è ospite abituale dei Testi infedeli. Altre sue poesie sono nel volume dell’ inverno 1999 e in quello dell’inverno 2005. Queste poesie sono tratte da varie raccolte: Assenza è nella raccolta Due punti; Gente è nella raccolta Attimo; Esempio dalla raccolta Qui (pubblicata in Polonia nel 2009). Una raccolta delle sue poesie dal 1945 al 2009 è stata pubblicata nel 2009 da Adelphi con il testo a fronte: La gioia di scrivere (a cura di Pietro Marchesani).

DUE STORIE DA PRAGA E DINTORNI

Il contadino e il cardinale

Augustin Navràtil vive a Lutopecny, un piccolo villaggio della Moravia nei pressi di Kromeriz. Quando sono arrivato, la moglie stava spazzando il vialetto d’accesso alla modesta casa in mattoni rossi. “E’ nell’orto”, mi ha detto, “vado a chiamarlo”. Mentre aspettavo ho visto mucche, galline e arrugginiti attrezzi agricoli nel cortile; nel soggiorno c’erano alcuni quadri di soggetto religioso e vari libri: oltre a quelli di soggetto religioso, un manuale di francese, una traduzione dei romanzi di Mark Twain.

Poi, Navràtil è comparso. Una figura tarchiata con uno sguardo intenso e una possente stretta di mano. La sua famiglia abita in quella zona da oltre trecento anni, mi ha raccontato. Erano contadini, piccoli proprietari terrieri. Il governo comunista ha requisito tutte le terre della sua famiglia e, come indennizzo, gli ha assegnato un posto di lavoro come guardiano della locale stazione ferroviaria. Mentre la moglie mi somministrava salsicce fatte in casa, Navràtil ha cominciato il suo racconto. Mi ha parlato delle sue petizioni al Governo in difesa della libertà religiosa e del diritto di diffondere pubblicazioni religiose. La sua prima petizione risale al 1976. Ha raccolto 700 firme, prima di essere internato per sei mesi in un ospedale psichiatrico. Navràtil ha inviato la petizione successiva, nel 1987, al ministro dell’Interno e ad altri esponenti del Governo, chiedendo se, sulla base delle norme vigenti, gli era consentito di diffonderla. Non ha ricevuto risposta.

Dopo qualche giorno, però, la polizia lo ha arrestato e lo ha nuovamente rinchiuso in un ospedale psichiatrico, in attesa di un processo. Dopo vari mesi, il Tribunale ha statuito che era affetto da paranoia querulans, lo ha giudicato socialmente pericoloso e lo ha condannato al carcere per un tempo indeterminato.

È stato scarcerato dopo un anno, anche per merito della pressione dell’opinione pubblica internazionale: durante la prigionia, ha ricevuto centinaia di lettere di solidarietà e sostegno, soprattutto dall’Olanda, dalla Germania e dalla Scozia. La sua ultima petizione per la libertà della Chiesa, in trentuno articoli, giunge puntuale dopo la scarcerazione, nella primavera del 1988. Navràtil me la mostra in una copia ciclostilata su ruvida carta giallastra, insieme a una lettera del cardinale Frantisek Tomàsek, arcivescovo di Praga. La lettera conclude invitando tutti i fedeli a firmarla e farla circolare concludendo “La viltà e la paura non sono degne di un vero cristiano”. Il sostegno del cardinale è stato determinante per il successo dell’iniziativa: la petizione in poco tempo ha raccolto 440 mila firme, ed è stata uno degli episodi più importanti che hanno portato al crollo del regime comunista in Cecoslovacchia.

Il guardiano notturno e la musica rock

Sono stato varie volte a Praga nel periodo tra il 1968 e il 1989. Di solito alloggiavo in un piccolo albergo, oggi scomparso, collocato all’estremità di una piazza dislocata poco al di fuori della zona centrale della città.

Tra i miei amici c’era Milan, giovane e promettente laureato in legge all’epoca della primavera del 1968 (iniziata, in realtà, nel gennaio). Il suo sostegno al governo di Dubcek gli aveva precluso, con i governi succeduti all’invasione sovietica di Husak prima e di Bilak dopo, la possibilità di svolgere attività professionale nel settore pubblico o privato connessa con la sua preparazione universitaria. Aveva così accantonato i libri di diritto e, con difficoltà, era riuscito a ottenere un posto di guardiano notturno della Loreta, la chiesa eretta dagli Absburgo proprio alle spalle del castello di Hradcany sul modello del santuario di Loreto, trasformata in un museo ove erano custoditi i gioielli imperiali.

Lì Milan organizzava nottetempo sontuosi ricevimenti a base di birra, salsicce e intrattenimenti musicali: si cantava con l’accompagnamento di chitarre e, negli intervalli, un amico di cui non ricordo il nome offriva improvvisate composizioni al magnifico organo della chiesa (su cui anche Mozart aveva suonato).

Di giorno, Milan scriveva bollettini di informazione delle novità musicali nel mondo occidentale e diffondeva registrazioni clandestine di canzoni e brani musicali degli autori di successo. Milan era un esperto di musica rock e di jazz, generi sommamente invisi al regime in quanto considerati espressione di decadimento e corruzione capitalista. In uno dei paesi più oscurantisti e repressivi dell’intero blocco sovietico, erano comportamenti pericolosamente rivoluzionari.

A seguito dell’attività di Milan e pochi altri, negli anni Ottanta si era creato un movimento musicale alternativo che contava a Praga forse un centinaio di aderenti. Milan aveva così cominciato a organizzare i primi concerti. Poiché la musica occidentale era vietata nei luoghi pubblici, le comunicazioni erano basate su un rigido passaparola. Per sfuggire ai divieti, i concerti venivano dislocati di volta in volta in piccoli villaggi nei dintorni della città, raggiungibili in treno. Al giorno e all’ora stabiliti, gruppi di giovani si presentavano all’appuntamento (un parco pubblico o un’area alla periferia della località prescelta). Poi, i suonatori sfoderavano i loro strumenti e il concerto aveva inizio. Non durava molto. In entrambe le occasioni alle quali ho partecipato la polizia è sopraggiunta in poco più di mezz’ora e, dopo alcune trattative (durante le quali i suonatori fuggivano mettendo in salvo i loro strumenti), l’assembramento era sciolto, rudemente ma senza far uso della forza. I partecipanti facevano ritorno alle loro case.

Poi, il 3 dicembre 1989, una fredda domenica invernale, mentre Vaclav Havel e Valter Komarek organizzavano il primo governo postcomunista, Milan era sul palco degli organizzatori di una grande manifestazione. Nel corso della serata cantò anche la più amata cantante praghese, Marta Kubisova, dopo oltre venti anni di silenzio impostole quale punizione per il suo sostegno a Dubcek (su Youtube si possono trovare brani di un suo concerto a New York). Negli anni successivi, Milan ha compiuto una brillante carriera nell’amministrazione pubblica della Repubblica Ceca. È attualmente ambasciatore in un importante stato americano.

Il primo brano è tratto da Timothy Garton Ash, We, the People, Granta Books 1992. Il secondo è un mio ricordo di un amico di Praga.

 

LO STRANIERO, MIO PADRE

(COURCELLES (BELGIO ), 6 MAGGIO 2009)

Signori, dopo tant’anni di dolori e di sofferenza per malattia di minatori,
è morto mio povero marito. Non è potuto tornare a vedere Sogliano, suo paese. Vi mando suo ricordo, scritto da sua figlia. Cordiali saluti
Signora Castellani Vandermeulen

E’ venuto, più di sessant’anni fa
nel nostro paese per lavorarvi
non lo sapeva,
era deportato
dove andare a sudare il suo sangue.

Scendendo dal treno, lo trascinano
lui come gli altri, tutti gli altri
sale su di un camion, nelle mani
non ha che una valigia
e il suo destino.

Lo straniero, mio padre
lo stesso giorno, lo hanno
trascinato nella miniera,
per scavare Lui non sapeva cosa fosse

Nel buio
lui scendeva
scoprì l’inferno, scoprì l’inverno
picchia comunque la pietra e
risale con il cuore a pezzi.

Lo straniero, mio padre
ha scavato così vent’anni
vi ha lasciato i suoi polmoni
ma per lui non era importante.

Quel che conta,
siamo noi i suoi figli
la morte più volte l’ha sfiorato
mai si è scoraggiato
sempre stringeva i denti.

Lo straniero, mio padre
ora è pensionato,
ma continua a lavorare
ha avuto il suo pieno d’ingiustizia
ha avuto il suo pieno di derisioni.

Se l’è comunque cavata
vent’anni tutte le sere e ora continua
non perde la speranza.

Lo straniero, mio padre,
mi racconta spesso
il suo arrivo nel nostro bel paese
la gente lo additava.

La gente gli urlava.
Torna a casa tua
nei bar si poteva leggere
niente cani, niente stranieri.

Lo straniero, mio padre,
adesso vuole una cosa sola
gioca con i suoi nipoti
i suoi figli sono grandi ora
Lui li guarda, un sorriso tra i denti.

Salvatore Giannella, visitando a Sogliano sul Rubicone (Forlì Cesena) il Museo dedicato a Leonardo da Vinci in Romagna, ha trovato il notiziario comunale, “Soglianoinforma”, ove sono pubblicate questa lettera e questa poesia.

TRE POESIE DI JULIA HARTWIG

Contemporaneamente

Essere ovunque nello stesso momento
Senza muoversi da dove ci si trova
Chi nella mia testa sta sfogliando le pagine
Dei libri letti tanto tempo fa?
Chi mi sta portando verso avvenimenti
lontani nel tempo?

Dell’infanzia un’immagine sola che sempre ritorna
Mi vedo prendere sonno nelle braccia dei miei
fratelli più grandi
Che passeggiano in solaio, e guardo il mare
Da cui soffia un vento freddo.

Poi, senza preavviso,
la fattoria sui Pirenei
la cena sotto la pergola alla luce di una lampada
impiastricciata di falene
sulla tavola il cibo,
in lontananza la frontiera spagnola.
Poi una ragazza sparecchia
Un ragazzo corre sulla riva del mare.
Gioca con la sabbia
Il padre, seduto lì vicino lo chiama.
Ora schiere di gabbiani si scagliano in ordine sparso nel cielo
Compiono un grande arco
come una squadra di aerei
Che scompare lontano.
Si sta bene in una città straniera
Tra gente sconosciuta
Nessuno ti chiede
Di ciò che ti è più caro.

Attesa

Tutti i poeti del mondo scrivono la stessa poesia
Descrivono la stessa roccia su cui si frange il mare
La stessa perdita che nessuno di loro ha risparmiato
Nello stesso attimo comprendono il segreto dell’esistenza

Tutti eseguono insieme la stessa sinfonia
Ma, al termine, solo i primi violini sono ringraziati
dal direttore
Gli altri attendono, ma sono trascurati
Delusi, tutti vorrebbero la loro parte

Compagne di classe

La voce dell’insegnante di latino era sempre
Un po’ più severa quando si rivolgeva a loro
Mai chiamandole con il loro nome
Miriam era la più brava di tutte
Regina un po’ meno, ma sempre diligente
Stavano insieme
E insieme uscivano dall’aula prima dell’ora di religione.
L’ultima vola che le vidi era all’incrocio di via Lubarska
Al confine del ghetto creato poche settimane prima
Erano lì intimidite come se si vergognassero
Per quel che era loro capitato.

Julia Hartwig è nata a Lublino nel 1921. È stata soprannominata da Czeslaw Milosz la gran dama della poesia polacca. Durante la guerra ha vissuto a Varsavia e nel 1944 ha pubblicato il suo primo libro di poesie. Dal 1947 al 1950 ha studiato in Francia. Dal 1970 al 1974 è vissuta negli Stati Uniti con il marito Artur Miedzyrzecki, noto saggista e scrittore. Negli anni Ottanta, dopo la dichiarazione della legge marziale, ha aderito a Solidarnosc e ha fatto parte del comitato cittadino di Varsavia. Nel 1987 ha ricevuto il Premio Solidarnosc per la poesia. Ha tradotto, da sola o con il marito, molti poeti francesi (tra cui Rimbaud, Apollinaire, Blaise Cendrars, René Char, Henry Michaux) e americani (tra cui Marianne Moore, Carl Sandburg, Gertude Stein, Sylvia Plath, Allen Ginsburg). Con il marito ha scritto anche tre libri di racconti per bambini. Queste tre poesie sono state scritte tra il 2000 e il 2004 e sono state pubblicate con il testo a fronte e tradotte in italiano da Silvano De Fanti e vari collaboratori in Sotto quest’isola, Donzelli 2007.

 

DIMENTICARE TIAN-AN-MEN

Dormivo di primavera senza
Sapere dell’aurora
I canti degli uccelli
Si potevano udire
Da ogni parte

Nella notte piovve
e soffiò il vento

Quanti fiori caddero
Nessuno poté sapere

È una poesia cinese della dinastia Tang (VI – IX secolo d.c.). È tratta da Davide Reviati, Dimenticare Tiananmen, Becco Giallo 2009.

 

LIBRI DA LEGGERE

Jonathan Littell, Les Bienveillantes, Gallimard 2006 (è tradotto in italiano da Einaudi).

Aue (che vuol dire striscia di sabbia lungo il fiume), l’ufficiale nazista che racconta la storia, non è volgare ma è insopportabile. Quello di lui che non si regge ha a che fare con i rapporti nevrotici col padre scomparso e idolatrato, con la madre odiata perché si risposa, con la sorella gemella da cui non riesce a staccarsi. Finisce a Stalingrado per punizione, perché accetta che si facciano fuori gli ebrei, ma non … che li si maltrattino! Si oppone sommessamente allo sterminio perché gli sembra irrazionale; meglio far lavorare i prigionieri nelle fabbriche di guerra tedesche e nutrirli bene. A che serve decimarli di stenti? Diciamo che è un nazista ragionevole; contradictio in adjecto di cui paga le conseguenze con il vomito e la diarrea continui e con la pazzia omicida che lo rende odioso. Ci sono poi altri personaggi inventati che meritano menzione, i restanti sono parte della storia, come il linguista Voss che cerca di spiegare invano che non ci sono razze ma solo lingue. E pezzi di grande letteratura come il capitolo su Stalingrado o l’inferno di Berlino invasa dai russi e dall’acqua nei tunnel dell’U-Bahn. Il libro è importante e terrificante per quello che di vero racconta. Il capitolo su Stalingrado, il pezzo migliore.

William Golding, The Inheritors, Harvest Books 1963.

È il secondo romanzo di Golding, più noto per Lord of the Flies. Questo, scritto nel 1955, era però il suo romanzo favorito. Riguarda un gruppo di uomini di Neanderthal e la loro lotta contro i nostri più evoluti, ma assai più sanguinari antenati (che poi avranno il sopravvento). Sul tema dello scontro tra Neanderthaliani e Homo sapiens c’è un romanzo di Jack London del 1907, Before Adam e, di Björn Kurtén’s, Dance of the Tiger: A Novel of the Ice Age del 1995.

Han Suyin, L’amore è una cosa meravigliosa, Martello 1955.
Un best-seller degli anni Cinquanta. La contrastata storia d’amore tra una giovane medico anglo-cinese e un giornalista inglese a Hong Kong tra il 1949 e il 1950. È un libro d’altri tempi. Lo si avverte dal modo di scrivere e da molte espressioni (la protagonista dice alla figlia “Non si va al cinema tutti i sabati perché fa male agli occhi”). Ma merita leggerlo per tutto ciò che alla storia d’amore fa da sfondo. I comunisti di Mao sono alle porte della colonia inglese, le truppe di Ciang-kai-scek sono in rotta, i profughi arrivano portando costumi, malattie, colori e abitudini di una Cina che sta scomparendo, gli inglesi osservano con disprezzo, razzismo e paura, gli abitanti di Hong Kong si dividono tra il sostegno alla nuova Cina e il terrore del comunismo: una realtà che l’autrice ci rappresenta con vigore e con partecipazione. Il titolo originale è Love Is a Many-Splendored Thing. Dal libro è stato tratto un film (regista Henry King. Con William Holden e Jennifer Jones).

Don Wislow, L’inverno di Frankie Machine, Einaudi 2008

“La Nike paga 29 centesimi a un bambino tailandese per la fabbricazione di una canottiera e la vende a 140 dollari. E sarei io il criminale? La verità è che anche il governo, come la mafia, è criminalità organizzata. Siamo in competizione. L’unica differenza tra loro e noi è che loro sono più organizzati”. Queste sono le considerazioni di Frankie Machine, il killer buono della mafia americana, al termine di una vicenda che lo trascina da tranquillo pensionato nel mezzo di un complesso scontro, dove diventa un obiettivo da eliminare per ragioni che solo alla fine saranno chiarite. Non è solo un thriller. Se si sopportano morti, violenze e brutalità, è qualcosa di diverso: non si potrà non ricordare Frankie Machine.

Melvin I. Urofsky, Louis D. Brandeis. A Life, Pantheon Books 2009.
La vita di un grande avvocato e di un grandissimo giudice della Corte suprema degli Stati Uniti in 1000 pagine. Un’impresa ciclopica, per chi l’ha scritto e per chi lo legge. Nessun altro giudice ha avuto un impatto così fondamentale sulla giurisprudenza americana, afferma l’autore. A Brandeis, nominato dal Presidente Wilson, si devono, tra l’altro, le basi della teoria della tutela della privacy e, indirettamente, del diritto delle donne all’aborto nel 1973.

Richard David Precht, Ma io chi sono? (ed eventualmente quanti sono), Garzanti 2009.
Un filosofo tedesco poco più che quarantenne che, in modo leggero e molto comprensibile, compie un viaggio nella filosofia in cerca di risposta a tre domande fondamentali: che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa posso sperare?, facendo puntuali riferimenti anche a quanto messo in luce sugli interrogativi dalla neurofisiologia.

Michael Egan, Barry Commoner and the science of survival. The remaking of American environmentalism, Mit press, 2007.
La nascita dell’ambientalismo negli Stati Uniti, a partire dagli anni Sessanta, raccontata non dal punto di vista delle organizzazioni ambientaliste o dello studioso di fenomeni sociali o politici, ma dal punto di vista della carriera di una delle più importanti figure del movimento ambientalista non solo americano, Barry Commoner. Egan illustra così l’impatto dell’attività di Commoner, focalizzata sulla critica radicale dei modi di produzione che diffondevano distruzione dell’ambiente e povertà.
Dalle prime battaglie contro gli esperimenti nucleari e l’uso dell’energia nucleare, a quelle degli anni seguenti sui disastri provocati dalle industrie chimiche non sottoposte ad adeguati controlli, il libro segue così lo sviluppo delle idee di Commoner in merito alla politicità della scienza e alla necessità di democratizzarne la conoscenza, le sue critiche al libero mercato e alle scelte di politica economica come principali responsabili della distruzione dell’ambiente.

Mario Calabresi, La fortuna non esiste, Mondadori 2009.

Tante storie di coraggio. Una crisi cupa e dolorosa raccontata attraverso le reazioni di coloro che non hanno mai smesso di credere in loro stessi.
Armando Brignolo – Salvatore Giannella, I Nicola, Allemandi, 2009.

Storie di restauri nella storia di una famiglia che da mezzo secolo restituisce colori e vita ai capolavori dell’arte e che è riuscita a spezzare il pregiudizio legato al nome del borgo in cui opera: Aramengo, tra Torino e Asti, ieri destinazione dei falliti da parte dei severi giudici sabaudi (da qui la dizione popolare “andare a ramengo”, cioè fallire), oggi méta dell’arte, con 48 dipendenti a tempo indeterminato su un centinaio di abitanti che lavorano sulla bellezza e sulla creatività.

Namita Devidayal La stanza della musica, Neri Pozza 2009.

E’ un libro sulla musica indiana e la sua storia. Racconta di una grande cantante di Jaipur e dei grandi cantanti che l’hanno preceduta attraverso gli occhi di una giovane allieva. Consigliato a chi è attratto dalla musica non occidentale e a chi ama l’India e la sua cultura.

Sabino Cassese, I Tribunali di Babele, Donzelli 2009.

Un breve e illuminante saggio sulla erosione della sovranità statale e sulla progressiva sovrapposizione di ordinamenti giuridici globali e, in particolare, di molteplici organismi giudiziari e quasi giudiziari internazionali, con molti esempi e molti recenti casi concreti.
Le recensioni sono di Augusto Bianchi, Gherardo Colombo, Ada Lucia De Cesaris, Joseph DiMento, Salvatore Giannella, Marina Nespor, Pasquale Pasquino, Lorenza Zanuso e Stefano Nespor.

Questo trentasettesimo volume dei Testi Infedeli è stato stampato nel novembre del 2009 in duecentocinquanta copie non numerate e fuori commercio da Compostudio s.r.l. di Cernusco sul Naviglio, Milano. Come sempre, ho liberamente e infedelmente tradotti e talvolta riscritti quasi tutti i testi; spesso è stato rispettato – non sempre integralmente – il pensiero dell’autore. Il volume non sarà più inviato a chi non ne accusa ricevuta per due volte consecutive. I Testi Infedeli escono dal 1989. I fascicoli apparsi a partire dal 1992 possono essere letti nel sito www.stefano. nespor.it, curato e aggiornato da Stefano Rossi. Ringrazio tutti coloro che hanno collaborato alla sezione dedicata ai libri da leggere e inoltre Salvatore Giannella, Margherita Giannico, Maria Inglisa, Marina Nespor e Pasquale Pasquino per le segnalazioni, i suggerimenti e la revisione del testo.