Verso l’hydrogen economy?

Verso l’hydrogen economy?

di Stefano Nespor

A Contursi Terme, in provincia di Salerno, il pastificio Orogiallo ha utilizzato l’idrogeno immesso nella rete del gas dalla Snam per generare l’energia necessaria per la sua produzione alimentare. È stato uno dei primi esperimenti al mondo dell’impiego di idrogeno per la produzione di energia per un’attività di questo tipo (oggi l’idrogeno è impiegato soprattutto per grandi produzioni industriali).

Tutto è pronto per l’utilizzo di una nuova fonte di energia sostitutiva dei combustibili fossili, secondo un articolo pubblicato su La Repubblica del 6 ottobre.

In effetti, secondo Hydrogen scaling up, uno studio di McKinsey per l’Hydrogen Council, un consorzio delle maggiori imprese industriali che operano in questo settore, l’idrogeno potrebbe divenire uno strumento fondamentale per contenere il cambiamento climatico, insieme ad altre energie rinnovabili: in meno di 25 anni potrebbe costituire il 18% del consumo globale di energia, oltre a creare milioni di nuovi posti di lavoro.

La prospettiva di un nuovo efficace modo per contenere il cambiamento climatico utilizzando l’elemento più abbondante nell’universo è certamente allettante. Su questo tema sono apparsi negli ultimi tempi, non solo in Italia, molti articoli sui principali quotidiani.

In realtà, più che una novità, si tratta di un ritorno. All’inizio degli anni 2000 era diffusa in Europa e negli Stati Uniti la convinzione che l’idrogeno potesse porre fine alla dipendenza dal petrolio. Tuttavia, le ricerche avviate in quel periodo sono state frenate dai costi collegati alla produzione e alla distribuzione: l’hydrogen economy non è mai partita e sembrava fino a qualche anno fa un’illusione presto accantonata.

Mai dire mai. L’hydrogen economy è divenuta oggi una priorità per l’Unione europea, nei piani in via di predisposizione per il dopo-Covid: il Green Deal europeo impegna i paesi membri a trasformare l’Europa nel primo continente decarbonizzato entro il 2050 (il precedente obiettivo era una riduzione delle emissioni tra l’80% e il 95% entro quella stessa data). Nel documento è scritto che l’idrogeno “pulito” potrebbe soddisfare il 24% della domanda mondiale di energia entro il 2050, con un fatturato annuo dell’ordine di 630 miliardi di euro.

In realtà, due aspetti non devono essere trascurati.

Il primo: molto dipende da come l’idrogeno viene prodotto.

Oggi il processo di produzione avviene per la maggior parte utilizzando gas naturale, quindi con emissioni di anidride carbonica: in questo caso, l’obiettivo della decarbonizzazione non potrebbe essere realizzato. A meno della “cattura” delle emissioni con appositi processi, il carbon and capture storage, c.d. CCS, soluzione peraltro ancora in fase poco più che sperimentale, anche se, poche settimane fa, la International Energy Agency ha affermato che lo sviluppo della tecnologia CCS è indispensabile per raggiungere in tempo gli obiettivi di completa decarbonizzazione.

Solo l’idrogeno “verde”, ottenuto mediante processi chimici di elettrolisi dell’acqua, realizza un effettivo contenimento del cambiamento climatico. L’idrogeno rinnovabile è lo strumento per consentire la completa decarbonizzazione delle industrie europee. Così due società che producono energia rinnovabile, SolarPower Europe e WindEurope hanno lanciato l’iniziativa “Choose Renewable Hydrogen”, in coerenza con il Green Deal europeo.

Il secondo. L’idrogeno non è un combustibile alternativo ai combustibili fossili: è infatti semplicemente un mezzo per conservare il surplus di energia rinnovabile prodotta dal vento o dal sole e poi trasportarlo da un luogo all’altro.

Ad van Wijk, docente presso l’Università di Delft in Olanda, osserva che un pannello solare collocato nel deserto del Sahara genera il triplo di energia dello stesso pannello posto su un tetto in Olanda. Se si riesce a convertire l’energia accumulata nel Sahara in idrogeno, trasportarla dal Sahara in Olanda e riconvertirla poi in energia, si ottiene un enorme guadagno di energia rinnovabile. L’obiettivo è quindi quello di convertire le attuali condutture per il trasporto del gas naturale nel trasporto di idrogeno.

Molti esperti però invitano alla cautela: attualmente, la produzione dell’idrogeno è assai inefficiente e costosa (e inoltre, come si è visto, ottenuta mediante combustibili fossili). Investire su questa tecnologia può comportare la distrazione di risorse e di mezzi finanziari che potrebbero essere impiegati per estendere la quantità e l’efficienza delle fonti di energia rinnovabile.

Tuttavia il Wwf segnala che “la strategia rischia di ritardare la decarbonizzazione industriale tenendo la porta spalancata per i combustibili fossili, come il gas”. Analogamente, un esponente di Greenpeace ha osservato che “La Commissione invita a utilizzare gas ed energie rinnovabili per produrre massicce quantità di idrogeno invece di utilizzare l’energia pulita per abbandonare il prima possibile i carburanti fossili”.

Ancor più drastico il parere di altre associazioni ambientaliste sul Green Deal dell’Unione secondo le quali la strategia per l’idrogeno è un regalo alle fonti fossili di energia.

Certamente nei prossimi mesi si aprirà un dibattito che questa Rivista dovrà seguire con attenzione.