Il colibrì e l’armadillo

Il colibrì e l’armadillo

Di Stefano Nespor

Una antica leggenda Maya racconta che un giorno divampò un enorme incendio nella foresta. Uomini e animali guardavano, silenziosi e disperati, la foresta dove vivevano che andava in fumo. Solo un colibrì si era messo a raccogliere in uno stagno poco lontano delle gocce d’acqua a trasportarle e a scaricarle sull’incendio. Un armadillo gli chiese se davvero credeva di poter fermare l’incendio. Il colibrì rispose “Da solo no. Ma io faccio la mia parte”.

Di fronte al disastro del cambiamento climatico, tutti, salvo pochi colibrì, stanno a guardare, tra sensazione di inutilità, scetticismo o indifferenza.

Che cosa spinge i pochi colibrì a fare la loro parte, seppur consci dell’inutilità del loro comportamento se tutti gli altri non partecipano? E che cosa impedisce, per converso, a tutti gli altri di fare la loro parte, seppur consci che, in questo modo, nulla potrà fermare il cambiamento climatico?

Molte diverse spiegazioni sono state offerte da sociologi, psicologi, cognitivisti.

Anche Elinor Ostrom ha provato a dare una risposta nei suoi studi sui beni comuni, cioè quei beni gestiti da comunità più o meno ampie di soggetti in modo da conservarne l’utilità: un prato adibito a pascolo, un bosco dal quale trarre la legna per l’inverno, un lago dove pescare, un corso d’acqua per irrigare le coltivazioni che attraversa.

Ostrom ha osservato che, pur essendo i beni comuni assai diversi tra di loro, ed essendo diverse le situazioni di partenza, gli atteggiamenti dei membri delle comunità interessate possono sempre essere ricondotti a quattro tipologie.

Ci sono i free riders e con loro i negazionisti che non si curano del futuro e vogliono trarre subito tutti i benefici possibili dal bene comune.

Ci sono dall’altra parte gli altruisti che prendono l’iniziativa e si impegnano per ottenere che la comunità regoli l’uso del bene comune, in modo da conservarne le utilità anche per le generazioni future.

Tra questi due estremi, stanno due gruppi: quelli che sono disponibili a cooperare se si convincono che anche altri lo faranno e quelli che sono restii a collaborare, stanno a guardare e prendono tempo prima di decidere fino a che non ricevono assicurazioni che tutti gli altri non ne approfitteranno.

L’elemento decisivo, quello che permette a tre dei quattro gruppi di promuovere una strategia comune, è quindi la fiducia.

Ebbene, non sono i free riders e i negazionisti e neppure, sull’altro estremo, gli altruisti che, alla lunga, decideranno della sorte del clima del nostro pianeta.

Sulla base di questa ripartizione Elinor Ostrom ha indicato quale dovrebbe essere la strategia da adottare per affrontare il cambiamento climatico. (il documento, con il titolo A Polycentric Approach For Coping With Climate Change, è inserito in un rapporto pubblicato dalla Banca Mondiale nel 2010, World Development Report 2010: Development in a Changing Climate).

È sbagliato, osserva, affrontare il problema del cambiamento climatico a livello globale perché in questo modo difficilmente si ottiene la necessaria fiducia di coloro che delle emissioni sono responsabili. Infatti, mentre gli effetti del cambiamento climatico sono globali, le sue cause sono azioni poste in essere ogni giorno da singoli individui, da famiglie, da aziende, da grandi multinazionali. Osserva Ostrom che «Lo slogan Think Globally but Act Locally coglie appieno il problema. Per contenere il cambiamento climatico, il comportamento quotidiano di milioni e milioni di attori e poi di comunità, di autorità regionali e di governi centrali deve cambiare in modo sostanziale». La gente è disposta ad accollarsi sforzi e costi per raggiungere un determinato scopo, ma solo se sa che anche gli altri lo fanno: regole poste a livello globale non generano questa certezza.

Questo percorso che deve partire dal basso e non essere imposto da organismi internazionali, è da molti anni seguito. Decine di migliaia di comunità locali, di città di varie dimensioni, di strutture regionali, sospinte da organizzazioni ambientaliste locali o da gruppi di cittadini, progettano e pongono in essere iniziative volte a limitare le emissioni di gas serra, avvalendosi delle possibilità di scambio di comunicazioni e informazioni offerte dal web. Tutte queste iniziative muovono dalla convinzione che la risoluzione del problema del clima presupponga l’attiva partecipazione dei soggetti coinvolti in modo da imporre ai governi di attivarsi per il rispetto delle scelte e degli obiettivi fissati a livello globale.