Covid e Ambiente: dove guarda l’angelo della storia?

Covid e Ambiente: dove guarda l’angelo della storia?

di Stefano Nespor

Il rapporto tra l’epidemia che si è diffusa a livello globale e l’ambiente è stata oggetto di un enorme quantità di articoli e di riflessioni. Possiamo dividerle in tre gruppi: una parte è rivolta al passato e alla ricerca della cause, l’altra è rivolta al presente, la terza si occupa del futuro e alle opportunità che l’epidemia offre.

Le riflessioni del primo gruppo collegano l’epidemia alla distruzione dell’ambiente.

Secondo il WWF, la distruzione dell’ecosistema ha abolito le barriere tra l’uomo agli animali e di conseguenza anche le malattie. L’allarme del WWF sul commercio di animali selvatici, sulle deforestazioni e sull’habitat per migliaia di specie animali.

Dello stesso parere Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’UNEP: “Non ci sono mai state così tante occasioni per i patogeni di passare dalla natura selvaggia alle persone. La nostra continua erosione della natura ci ha portati pericolosamente vicini agli animali e alle piante che ospitano malattie che possono facilmente passare agli esseri umani”.

Queste riflessioni, e molte altre diffuse soprattutto in alcuni settori dell’ambientalismo, non sono convincenti: esprimono una visione pessimistica e catastrofica dello sviluppo che ricordano l’Angelo della storia. Nelle sue Tesi sulla Filosofia della Storia, Walter Benjamin commenta un quadro di Paul Klee, L’Angelus Novus. Il quadro rappresenta un angelo che procede verso il futuro con le ali spiegate, ma con il volto e lo sguardo rivolti indietro. È l’angelo della storia: con gli occhi rivolti alla memoria del passato e le ali aperte, come trascinate da un vento tempestoso e inarrestabile verso il futuro.

Scrive Benjamin: “Dove ci appare una catena di eventi, l’Angelo vede una sola catastrofe, che accumula rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe trattenersi. Ma una tempesta spira così forte che gli non può chiudere le sue ali. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.

Ma è davvero così? Nella storia dell’umanità, l’uomo è vissuto a stretto contatto con ogni tipo di animale, domestico o meno. E ancora ci convive, in molte parti del mondo. Forse non distruggeva l’habitat degli animali selvatici, ma solo perché ci viveva dentro. Solo in tempi relativamente recenti, con l’affermarsi del benessere e di principi igienici sempre più rigorosi, questa convivenza tra uomo e animale è stata interrotta. E di conseguenza le devastanti epidemie del passato (peste, colera, vaiolo) sono scomparse o si sono ridotte.

Più interessanti sono le riflessioni del secondo gruppo, rivolte al futuro.

Gli articoli del secondo gruppo offrono i dati sui benefici effetti dell’epidemia sul cambiamento climatico. A seguito della riduzione della produzione industriale, dei trasporti e dei consumi energetici (le emissioni globali di anidride carbonica sono diminuite di circa il 17%, secondo Nature Climate Change) e l’Agenzia internazionale dell’Energia prevede un calo della domanda globale di energia del 6% nel 2020, pari a sette volte il calo registrato dopo la crisi del 2008.

Tuttavia, l’esperienza insegna che nel momento in cui l’economia tornerà a crescere, il rimbalzo delle emissioni sarà immediato.

Sono effetti temporanei, strettamente collegati al perdurare dell’epidemia. È probabile che, finito il pericolo, la festa ricominci.

Passiamo al terzo gruppo: sono le riflessioni che si chiedono se questi dati possono offrire una lezione per il futuro e far compiere quel salto di qualità verso la tutela dell’ambiente e il contenimento del cambiamento climatico che si è dimostrato possibile.

Ogni disastro provoca distruzioni e morti, ma offre anche opportunità: quelle opportunità che l’Angelo della storia di Benjamin non può vedere, finché non rivolge lo sguardo in avanti. Molti studi hanno indicato che i disastri, siano essi terremoti, alluvioni o epidemie, stanno all’origine di sviluppi tecnologici e di investimenti: è la “distruzione creativa”, oggetto di un ampio studio apparso nell’aprile 2008 sulla rivista Economic Inquiry. È la conferma del paradosso della finestra rotta esposto da Frédéric Bastiat nel XIX secolo: i vetri rotti dalle sommosse urbane danno lavoro ai vetrai e sviluppano tecnologie per produrre vetri più robusti. Così, produzioni obsolete sono sostituite da altre innovative: è l’effetto Jacuzzi su cui si sofferma il Yokohama Strategy and Plan of Action for a Safer World: le tradizionali vasche da bagno, distrutte da una catastrofe, sono sostituite da altre più moderne.

Naturalmente, alcune condizioni devono essere rispettate: gli investimenti devono essere pianificati e erogati in modo responsabile e trasparente, i destinatari devono garantire il corretto impiego delle somme ricevute, i funzionari devono essere impermeabili alla corruzione. Sarà possibile nel nostro Paese?